LA STAMPA
13/12/2008
ALDO RIZZO
ALDO RIZZO
Col vertice europeo di dicembre si è praticamente chiusa l’era di Nicolas Sarkozy, mentre sta per cominciare quella di Barack Obama. Naturalmente, le due cose non sono comparabili. L’era che comincia riguarda la Superpotenza malata e la speranza che il nuovo presidente riesca a guarirla dai suoi guai, conseguentemente alleviando quelli del resto del mondo. L’era che sta per finire è solo quella della presidenza di turno francese dell’Unione europea, alla quale Sarkozy ha dato un particolare e inconsueto spessore. Eppure un nesso c’è, ed è reso più forte e inquietante dal fatto che alla guida dell’Ue subentra, dal primo gennaio, il suo membro quanto meno più contraddittorio, la Repubblica Ceca di Vaclav Klaus.
Obama è la svolta che tutti sappiamo. Semmai, la si è caricata di troppe attese. Ci si aspetta da lui non solo un attacco costruttivo, e in prospettiva decisivo, alla crisi economica, ma anche la soluzione, in tempi prevedibili, dei più acuti problemi politici internazionali, dal Medio Oriente all’Afghanistan, dai rapporti con la Russia alla definizione di uno stabile equilibrio con la Cina, per non parlare del terrorismo. Ma, proprio per questo, non potrà fare tutto da solo, avrà bisogno di partner impegnati e affidabili, e il primo tra questi dovrebbe essere l’Unione europea.
Sarkozy, come presidente di turno dell’Ue, ha dimostrato che l’Europa può essere un tale partner, non succube né rivale dell’America, capace di una sua autonomia, da mettere al servizio di fondamentali interessi comuni. Quasi mezzo secolo dopo il vano appello di Kennedy alla «equal partnership», Sarkozy ha saputo far valere la voce europea in circostanze difficili, dalla guerra russo-georgiana all’esplodere della crisi finanziaria, in questo secondo caso facendo leva sulla zona dell’euro e ad essa quasi cooptando la sterlina di Gordon Brown. Ha fatto questo superando difficoltà istituzionali dell’Ue, che tuttavia restano.
Restano e ora rischiano di essere esaltate dalla presidenza di turno della Repubblica Ceca. Questo Paese relativamente piccolo, di 10 milioni di abitanti, sul quasi mezzo miliardo dell’Ue, ha come capo di Stato quel Klaus del quale l’americana «Herald Tribune» ha pubblicato nei giorni scorsi, in prima pagina, un ritratto estremamente critico, a riprova che le preoccupazioni non sono solo europee. Come presidente della Repubblica, Klaus non ha poteri politici effettivi, ma, a parte il fatto che il primo ministro, Mirek Topolanek, è del suo stesso partito, il personaggio sembra avere una grande diretta influenza sul Paese. Economista ultraliberista, padre di una drastica riconversione dell’economia ceca dopo il comunismo, ha sul tavolo una foto di Margaret Thatcher, considera la difesa del clima «un mito pericoloso», nel 2005 definì l’Ue una costruzione di carta e ha accusato di «irresponsabile protezionismo» le iniziative per il salvataggio del sistema bancario europeo. Non gli è riuscito di far giudicare incostituzionale il Trattato di Lisbona, per poterlo definitivamente affondare, ma non si è certo arreso.
Si può anche sperare che, alla prova dei fatti, un tal quale pragmatismo infine prevalga a Praga, nei sei mesi di presidenza. Per evitare che l’esordio di Obama coincida clamorosamente con una regressione politica europea. Ma il rischio resta, così come resta la giusta pressione di Sarkozy per stabilizzare di fatto il potere decisionale dell’Ue, soprattutto attraverso l’Eurozona, il cui sviluppo, anche politico, nella perenne attesa di unanimità istituzionali, sempre più appare la condizione dell’avvento di un motore europeo. Col necessario concorso di Germania e Italia, in primo luogo.
Obama è la svolta che tutti sappiamo. Semmai, la si è caricata di troppe attese. Ci si aspetta da lui non solo un attacco costruttivo, e in prospettiva decisivo, alla crisi economica, ma anche la soluzione, in tempi prevedibili, dei più acuti problemi politici internazionali, dal Medio Oriente all’Afghanistan, dai rapporti con la Russia alla definizione di uno stabile equilibrio con la Cina, per non parlare del terrorismo. Ma, proprio per questo, non potrà fare tutto da solo, avrà bisogno di partner impegnati e affidabili, e il primo tra questi dovrebbe essere l’Unione europea.
Sarkozy, come presidente di turno dell’Ue, ha dimostrato che l’Europa può essere un tale partner, non succube né rivale dell’America, capace di una sua autonomia, da mettere al servizio di fondamentali interessi comuni. Quasi mezzo secolo dopo il vano appello di Kennedy alla «equal partnership», Sarkozy ha saputo far valere la voce europea in circostanze difficili, dalla guerra russo-georgiana all’esplodere della crisi finanziaria, in questo secondo caso facendo leva sulla zona dell’euro e ad essa quasi cooptando la sterlina di Gordon Brown. Ha fatto questo superando difficoltà istituzionali dell’Ue, che tuttavia restano.
Restano e ora rischiano di essere esaltate dalla presidenza di turno della Repubblica Ceca. Questo Paese relativamente piccolo, di 10 milioni di abitanti, sul quasi mezzo miliardo dell’Ue, ha come capo di Stato quel Klaus del quale l’americana «Herald Tribune» ha pubblicato nei giorni scorsi, in prima pagina, un ritratto estremamente critico, a riprova che le preoccupazioni non sono solo europee. Come presidente della Repubblica, Klaus non ha poteri politici effettivi, ma, a parte il fatto che il primo ministro, Mirek Topolanek, è del suo stesso partito, il personaggio sembra avere una grande diretta influenza sul Paese. Economista ultraliberista, padre di una drastica riconversione dell’economia ceca dopo il comunismo, ha sul tavolo una foto di Margaret Thatcher, considera la difesa del clima «un mito pericoloso», nel 2005 definì l’Ue una costruzione di carta e ha accusato di «irresponsabile protezionismo» le iniziative per il salvataggio del sistema bancario europeo. Non gli è riuscito di far giudicare incostituzionale il Trattato di Lisbona, per poterlo definitivamente affondare, ma non si è certo arreso.
Si può anche sperare che, alla prova dei fatti, un tal quale pragmatismo infine prevalga a Praga, nei sei mesi di presidenza. Per evitare che l’esordio di Obama coincida clamorosamente con una regressione politica europea. Ma il rischio resta, così come resta la giusta pressione di Sarkozy per stabilizzare di fatto il potere decisionale dell’Ue, soprattutto attraverso l’Eurozona, il cui sviluppo, anche politico, nella perenne attesa di unanimità istituzionali, sempre più appare la condizione dell’avvento di un motore europeo. Col necessario concorso di Germania e Italia, in primo luogo.
Nessun commento:
Posta un commento