UMBERTO ECO
Il bello dell'onomatopea del fumetto è che non solo evoca il rumore originario col suono del termine o pseudo termine linguistico, ma ne rappresenta graficamente l'intensità Arf arf bang crack blam buzz cai spot ciaf ciaf clamp splash crackle crackle crunch deleng gosh grunt honk honk cai meow mumble pant plop pwutt roaaar dring rumble blomp sbam buizz schranchete slam puff puff slurp smack sob gulp sprank blomp squit swoom bum thump plack clang tomp smash trac uaaaagh vrooom ..
Credo di appartenere alla prima generazione per cui questo linguaggio è stato familiare, spontaneo, immediato. Le onomatopee dei fumetti non c'erano nelle vignette del 'Corriere dei piccoli' su cui erano cresciuti i nostri genitori, appaiono con i fumetti americani de 'L'avventuroso' e poi col fumetto all'italiana. Abbiamo giocato gridando bang bang e zip zip, e abbiamo pronunciato suoni che ci evocavano certamente un rumore, un evento, senza sapere che in inglese erano anche parole, come mumble, clap, splash, slurp o rumble. Ci stupiva, e se ne discuteva, che le carabine facessero crack crack solo nei fumetti di Cino e Franco (altrove facevano bang o altri suoni) e non ci rendevamo conto che anche il quel caso il suono, in sé abbastanza iconico, era pur sempre una parola che poteva stare per schiocco o colpo.
L'idea che l'onomatopea oltre che immagine aurale di un suono potesse essere anche suggerimento lessicale è apparsa in Italia, se non sbaglio, solo con Jacovitti, che ha decisamente italianizzato il gioco e iniziato a scrivere 'schiaff schiaff'. Il bello dell'onomatopea del fumetto è che non solo evoca il rumore originario col suono del termine o pseudo termine linguistico, ma ne rappresenta graficamente l'intensità, come a dire che c'è una enorme differenza tra un semplice 'bum', un 'BUM' scritto a grandi caratteri e un 'boOOM', dove le lettere diventano via via sempre più visibili e carnose (e in tal caso l'esplosione è apocalittica).
Ho sempre amato le onomatopee dei fumetti e una volta ne ho raccolto circa 150 e le ho passate a Eugenio Carmi e a Cathy Berberian. Ne è uscito un libro-disco dove Carmi aveva dato delle onomatopee una rappresentazione visiva, quasi a renderne evidenti il timbro e le vibrazioni, e Cathy aveva elaborato quel pezzo prodigioso, poi eseguito dappertutto e ancora oggi oggetto di culto, noto come 'Stripsody', dove la musica era fatta solo dai suoni dei fumetti (ovvero dalla sua voce incredibile che li rendeva cantabili). Ma si giocava ancora su un numero limitato di onomatopee - e già credevo di averne individuate molte.
Ora Roman Gubern e Luis Gasca pubblicano un monumentale 'Diccionario de onomatopyas del cómic' (Madrid, Cattedra), più di 400 pagine in buona parte a colori, dove le onomatopee riprodotte e commentate sono più di mille. Anche questa rassegna sarebbe insufficiente, se si considera che Jacovitti vi appare solo tre volte e per tre modestissimi e prevedibili bang, un tompt e un hug, mentre avrebbe avuto ben altro da offrire, tanto per citare, blomp, prà (per un colpo di pistola secco), pamt, ponfete, slappete, cianft, svòff, ciunft, badabanghete, sdenghete, flup e (capolavoro) PÚgno.
Ma, Jacovitti a parte, nel libro di rumori ce ne sono abbastanza per giustificare il titolo dell'introduzione, 'De la onomatopeya como una bella arte'. I due autori non esitano a radicare la loro ricerca in una tradizione antichissima e più che rispettabile, il 'Cratilo' di Platone, dove come si sa viene iniziata la millenaria diatriba se le parole siano in qualche modo prodotte a imitazione delle cose che designano. Gasca e Gubern non riescono a evitare di citare Rimbaud con le sue vocali colorate, faccenda che col cratilismo non ha nulla a che vedere ma rinvia soltanto agli splendidi meccanismi allucinatori di quello spiritato ragazzo. Ma per il resto, benché a volo d'uccello, l'analisi dell'onomatopea fumettistica è fatta con acume, e il volume considera e registra anche fenomeni grafici come i 'sensogrammi', per esempio il ronfare del dormiente rappresentato dal tronco segato, o i casi che direi di onomatopea termica, come quando la nuvoletta stessa cola in stalattiti per suggerire il gelo, equivalendo così visivamente al suono 'brrrrivido'. Per non dire degli usi dell'onomatopea fatti da Roy Lichtenstein.
Gasca e Gubern osservano inoltre che l'uso inglese di legare il semantico col fonosimbolico ha portato i fumettisti d'oltreoceano a usare anche come suggerimento di suoni parole che di fatto non hanno alcuna somiglianza col rumore che nominano. Così noi ormai sentiamo come onomatopeico il chuckle chuckle, che significa sogghignare sotto i baffi. Aggiungerei anche il celebre mumble mumble che è bofonchiare o borbottare ma che, per virtù di Paperon dei Paperoni, è diventato il tipico rumore che fa chi rimugina tra sé e sé. Fanno rumore i pensieri? Nel fumetto sì.
(28 novembre 2008)
Credo di appartenere alla prima generazione per cui questo linguaggio è stato familiare, spontaneo, immediato. Le onomatopee dei fumetti non c'erano nelle vignette del 'Corriere dei piccoli' su cui erano cresciuti i nostri genitori, appaiono con i fumetti americani de 'L'avventuroso' e poi col fumetto all'italiana. Abbiamo giocato gridando bang bang e zip zip, e abbiamo pronunciato suoni che ci evocavano certamente un rumore, un evento, senza sapere che in inglese erano anche parole, come mumble, clap, splash, slurp o rumble. Ci stupiva, e se ne discuteva, che le carabine facessero crack crack solo nei fumetti di Cino e Franco (altrove facevano bang o altri suoni) e non ci rendevamo conto che anche il quel caso il suono, in sé abbastanza iconico, era pur sempre una parola che poteva stare per schiocco o colpo.
L'idea che l'onomatopea oltre che immagine aurale di un suono potesse essere anche suggerimento lessicale è apparsa in Italia, se non sbaglio, solo con Jacovitti, che ha decisamente italianizzato il gioco e iniziato a scrivere 'schiaff schiaff'. Il bello dell'onomatopea del fumetto è che non solo evoca il rumore originario col suono del termine o pseudo termine linguistico, ma ne rappresenta graficamente l'intensità, come a dire che c'è una enorme differenza tra un semplice 'bum', un 'BUM' scritto a grandi caratteri e un 'boOOM', dove le lettere diventano via via sempre più visibili e carnose (e in tal caso l'esplosione è apocalittica).
Ho sempre amato le onomatopee dei fumetti e una volta ne ho raccolto circa 150 e le ho passate a Eugenio Carmi e a Cathy Berberian. Ne è uscito un libro-disco dove Carmi aveva dato delle onomatopee una rappresentazione visiva, quasi a renderne evidenti il timbro e le vibrazioni, e Cathy aveva elaborato quel pezzo prodigioso, poi eseguito dappertutto e ancora oggi oggetto di culto, noto come 'Stripsody', dove la musica era fatta solo dai suoni dei fumetti (ovvero dalla sua voce incredibile che li rendeva cantabili). Ma si giocava ancora su un numero limitato di onomatopee - e già credevo di averne individuate molte.
Ora Roman Gubern e Luis Gasca pubblicano un monumentale 'Diccionario de onomatopyas del cómic' (Madrid, Cattedra), più di 400 pagine in buona parte a colori, dove le onomatopee riprodotte e commentate sono più di mille. Anche questa rassegna sarebbe insufficiente, se si considera che Jacovitti vi appare solo tre volte e per tre modestissimi e prevedibili bang, un tompt e un hug, mentre avrebbe avuto ben altro da offrire, tanto per citare, blomp, prà (per un colpo di pistola secco), pamt, ponfete, slappete, cianft, svòff, ciunft, badabanghete, sdenghete, flup e (capolavoro) PÚgno.
Ma, Jacovitti a parte, nel libro di rumori ce ne sono abbastanza per giustificare il titolo dell'introduzione, 'De la onomatopeya como una bella arte'. I due autori non esitano a radicare la loro ricerca in una tradizione antichissima e più che rispettabile, il 'Cratilo' di Platone, dove come si sa viene iniziata la millenaria diatriba se le parole siano in qualche modo prodotte a imitazione delle cose che designano. Gasca e Gubern non riescono a evitare di citare Rimbaud con le sue vocali colorate, faccenda che col cratilismo non ha nulla a che vedere ma rinvia soltanto agli splendidi meccanismi allucinatori di quello spiritato ragazzo. Ma per il resto, benché a volo d'uccello, l'analisi dell'onomatopea fumettistica è fatta con acume, e il volume considera e registra anche fenomeni grafici come i 'sensogrammi', per esempio il ronfare del dormiente rappresentato dal tronco segato, o i casi che direi di onomatopea termica, come quando la nuvoletta stessa cola in stalattiti per suggerire il gelo, equivalendo così visivamente al suono 'brrrrivido'. Per non dire degli usi dell'onomatopea fatti da Roy Lichtenstein.
Gasca e Gubern osservano inoltre che l'uso inglese di legare il semantico col fonosimbolico ha portato i fumettisti d'oltreoceano a usare anche come suggerimento di suoni parole che di fatto non hanno alcuna somiglianza col rumore che nominano. Così noi ormai sentiamo come onomatopeico il chuckle chuckle, che significa sogghignare sotto i baffi. Aggiungerei anche il celebre mumble mumble che è bofonchiare o borbottare ma che, per virtù di Paperon dei Paperoni, è diventato il tipico rumore che fa chi rimugina tra sé e sé. Fanno rumore i pensieri? Nel fumetto sì.
(28 novembre 2008)
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