mercoledì 3 dicembre 2008

Cura drastica per la GM

(Il Segretario USA al Tesoro Henry Paulson)
L'ESPRESSO
LUIGI ZINGALES

Il Congresso dovrà essere inflessibile sul piano di riassetto della casa di Detroit.


Il congresso americano ha dimostrato una coerenza superiore alle previsioni. Di fronte alle richieste di sussidio degli amministratori delegati dei tre colossi automobilistici (General Motors, Ford, e Chrysler) non ha ceduto ed ha chiesto un piano di ristrutturazione credibile entro il 2 dicembre.

La situazione non è facile. Le vendite di automobili, già decimate nel 2007-2008 dagli aumenti del prezzo del petrolio, sono crollate nel mese di ottobre (meno 45 per cento per GM, meno 35 per cento per Chrysler e meno 32 per cento per Ford). Alla recessione si sommano i problemi sul mercato creditizio che hanno reso pressoché impossibile finanziare l'acquisto di autovetture, riducendone fortemente gli acquisti. In questi frangenti, GM ha cassa sufficiente solo per un paio di mesi. Chrysler non sta molto meglio. Solo Ford ha la speranza di evitare la bancarotta anche senza gli aiuti statali.

Di fronte a questa catastrofe, i manager americani si sono lanciati alla ricerca del sussidio statale. Gli interventi a favore delle banche proposti dal ministro del Tesoro repubblicano Paulson (e approvati dal Congresso) hanno scatenato la cupidigia di tutti. Dai comuni, ai falegnami, da General Electric a General Motors la corsa al sussidio sembra inarrestabile. L'America si sta trasformando in un'economia mista dove si privatizzano i profitti, ma si socializzano le perdite.

Con questo non voglio minimizzare il dramma di GM. Con 150 mila dipendenti negli Stati Uniti e 250 mila nel mondo, il fallimento di GM sarebbe un disastro economico e sociale. Il suo fallimento metterebbe in ginocchio anche molti dei suoi fornitori e tutti i suoi concessionari, con una perdita stimata di 3 milioni di posti di lavoro.

Il rischio di tale disastro, però, non può farci dimenticare che i problemi della prima casa automobilistica Usa non nascono ora. Nonostante gli sforzi effettuati, il costo del lavoro di GM è il 50 per cento più elevato di quello di Toyota Usa. E sono da più di 30 anni che GM non produce macchine competitive, con l'eccezione del mostruoso Hummer, in grado di fare solo sei chilometri con un litro di benzina. Non può neppure farci dimenticare che la domanda americana di automobili è in forte contrazione e che questo richiede un'altrettanta forte riduzione dell'offerta. Con o senza fallimento di GM, i licenziamenti nel settore saranno elevati.

Purtroppo il prestito di 25 miliardi di dollari richiesto (più di centomila euro a dipendente) è solo un palliativo. Serve per sopravvivere qualche mese nella speranza di un cambiamento della situazione economica o di un ulteriore sussidio statale. Noi italiani che abbiamo visto il declino dell'Alitalia conosciamo bene i deleteri effetti dei sussidi 'temporanei'.

Ma allora qual è la via di uscita? Per fortuna, l'insolvenza non determina subito la liquidazione. In America esiste la possibilità di una riorganizzazione sotto la supervisione del giudice (chiamata Chapter 11). Il vantaggio di questa soluzione è duplice. Da un lato, permette alla società di ottenere nuovi finanziamenti che godono di priorità (cioè sono pagati prima dei debiti esistenti in caso di liquidazione). Dall'altro, abolisce tutti i contratti esistenti (inclusi gli accordi con i sindacati), permettendo così una rinegoziazione totale.

L'unico vero problema è che nelle attuali condizioni di mercato una società in ristrutturazione (soprattutto se delle dimensioni di GM) non riesce a trovare facilmente i finanziamenti necessari per sopravvivere. Allora sì che l'insolvenza si tradurrebbe immediatamente in liquidazione, con danni per tutti, dipendenti in testa.

In questo caso sarebbe inevitabile che lo stato intervenisse con un prestito, ma si tratterebbe comunque di un prestito con priorità, nel contesto di un'operazione di ristrutturazione. Non un palliativo per rimandare i problemi correnti. Ma il Congresso americano ha giocato d'anticipo, chiedendo un piano di ristrutturazione convincente ancora prima che i colossi automobilistici arrivino allo stato di insolvenza. Vediamo se il 2 dicembre i rappresentanti di Washington si lasceranno incantare da un piano di facciata o se richiederanno interventi sostanziali. Nella seconda ipotesi non avremmo che da invidiare il senso di responsabilità del Congresso: con un parlamento simile, che non regala i soldi ma è in grado di forzare le ristrutturazioni necessarie, forse l'Alitalia sarebbe ancora una compagnia area degna di questo nome.
(28 novembre 2008)

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