di VINCENZO NIGRO
La pirateria in Somalia è un nemico talmente pericoloso da riuscire a mettere insieme tutti i paesi delle Nazioni Unite. Il Consiglio di Sicurezza ha votato infatti all'unanimità una risoluzione (la quarta del 2008) che rafforza i poteri dei paesi che combattono la pirateria. Ma soprattutto, per la prima volta, la nuova risoluzione autorizza operazioni militari anche sul territorio somalo e nel suo spazio aereo.
Soltanto oggi i banditi che operano dalle coste a Nord di Mogadiscio hanno sequestrato al largo dello Yemen un rimorchiatore indonesiano al servizio della Total francese e una nave cargo turca. In tutto i pirati somali avrebbero nelle loro mani una quindicina di navi anche molto grandi, con a bordo circa 300 uomini di equipaggio.
La risoluzione votata dall'Onu era stata fatta circolare la scorsa settimana dagli Stati Uniti: le nazioni che chiederanno all'Onu di partecipare alla caccia ai pirati dovranno essere autorizzate dal TFG, il governo federale transitorio somalo: secondo il testo della risoluzione questi paesi "potranno prendere tutte le misure necessarie in Somalia, incluso nello spazio aereo, allo scopo di interdire chi utilizza il territorio somalo per pianificare, facilitare e mettere in atto atti di pirateria o assalti armati in mare".
E' una formula diplomatica, non esplicita ma inequivocabile, per autorizzare il cosiddetto "diritto di inseguimento" per cui una operazione militare iniziata in mare potrà essere proseguita anche sulle coste e all'interno della Somalia. La risoluzione prevede che le misure messe in atto dalla flotta autorizzata dall'Onu dovranno rispettare "le leggi umanitarie e i diritti umani", un paragrafo che è stato inserito per rispondere alle preoccupazioni dei paesi (come l'Indonesia) che temono per le vittime civili delle operazioni militari contro i pirati.
Al voto in Consiglio di sicurezza ha partecipato in persona il segretario di Stato Usa Condoleezza Rice, che da lunedì è a New York proprio per seguire una serie di riunioni del Consiglio di sicurezza. Durante i lavori che hanno portato al voto molti ministri o ambasciatori hanno sottolineato una preoccupazione: la pirateria è soltanto il sintomo - grave - di un malessere molto più profondo, l'assenza di uno Stato organizzato in Somalia, l'assenza di una vera forma di governo, di controllo sulla forza militare e dell'ordine pubblico nel paese che una volta è stato una colonia italiana. A Palazzo di Vetro anche l'ambasciatore italiano Giulio Terzi ha ricordato che prima o poi andrà affrontato seriamente il tema della ricostruzione dello Stato somalo e di istituzioni in grado di sottrarre il paese alla pirateria o al terrorismo integralista.
Ieri a Roma di Somalia ha parlato anche il capo di Stato maggiore della Difesa Vincenzo Camporini. In una audizione al Senato il generale ha sostenuto che il problema della pirateria in Somalia "è stato affrontato con una certa superficialità: non esiste un quadro operativo tra tutte le nazioni coinvolte nel fenomeno", non esiste un quadro giuridico omogeneo. Secondo Camporini in alcune nazioni, come l'Italia ad esempio, la pirateria non esiste neppure come reato e "non viene perseguita". Il capo della Difesa ha sostenuto che il pattugliamento dei mari è una soluzione solo parziale, "è come curare un sintomo, non certo il male".
In ogni caso l'Italia, che durante tutto il periodo post-coloniale ha sempre seguito con grande attenzione le vicende del Corno d'Africa, in questa fase sembra aver completamente trascurato le vicende politiche nell'Africa Orientale. Un cacciatorpediniere italiano, il Durand de
(16 dicembre 2008)
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