giovedì 4 dicembre 2008

«Rifarei gli arresti, ma senza più carcere»

IL CORRIERE DELLA SERA

Saverio Borrelli: «La custodia cautelare va fatta in strutture apposite. Il pm piace solo se indaga gli altri»


MILANO - «Mi stupisco del suo stupore...». Diciamo che Saverio Borrelli sorride. L’uomo che fu il procuratore capo di Mani Pulite vive ancora a Milano ma ormai da tempo dirige un conservatorio, nei giorni scorsi era casomai in ansia per lo sciopero che minacciava la prima della Scala, e in effetti «mi era sfuggito - dice - che Clementina Forleo avesse scritto un libro». Dopodiché, ascoltatone un breve sunto telefonico, ribadisce: «Sono passati anni, non è più il mio mestiere. Da osservatore e basta, parlando dei rapporti politica-magistratura, mi limito appunto a stupirmi di chi si sorprende: destra o sinistra, isolati idealisti a parte, la magistratura piace ai partiti solo finché indaga sugli altri. Ma appena rompe le scatole a qualche amico allora non va più bene. Non vedo la novità».

Quanto agli asseriti «eccessi» di Mani Pulite, su cui Clementina Forleo torna pur spiegandoli col «momento storico», Borrelli in tanti anni si è quasi stancato di ripetersi: «A Milano la custodia cautelare è stata usata solo per impedire inquinamenti di prove, non per estorcere confessioni. Il problema grave che invece c’era e c’è tuttora è un altro: il carcere in sé». Cioè? «È assurdo, e questo sì lo capisco oggi più di allora, che la custodia cautelare venga effettuata in galera e che non esistano strutture apposite. E del resto anche nei confronti del carcere come punizione sono diventato un critico molto aspro: il recupero è un’altra cosa». Poi, dice la Forleo, c’è il problema del consenso. «Ma la verità - argomenta Borrelli - è che il consenso della gente nei confronti della macchina giudiziaria è scemato proprio a causa del dissesto della macchina. A cominciare dalla sua lentezza. Detto questo, è vero che oggi è più facile di prima arrestare un piccolo spacciatore anziché un colletto bianco».

Eppure, secondo l’attuale direttore del conservatorio milanese, è proprio in quelle vecchie manifestazioni davanti al tribunale che si rivelava la vera contraddizione italiana: «In realtà lo dico da dieci anni. Era proprio quell’ondata di entusiasmo verso la magistratura, all’inizio di Mani Pulite, ad aver qualcosa di malsano. Perché nasceva solo dal piacere che provano i sudditi quando vedono rotolare teste coronate nella polvere. Poi, quando il cittadino si accorge che anche le sue piccole illegalità quotidiane potrebbero essere sanzionate con lo stesso metro, ecco che il giudice non gli piace più. Tutto qui».

Paolo Foschini
04 dicembre 2008

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Resta il fatto che, probabilmente, nel 1992 fermò Di Pietro lanciato all'attacco di Berlusconi.
Se così fosse, questa sarebbe una responsabilità storica.