ROMA — I più cauti parlano di «malessere », spiegano che «bisogna riflettere. Il direttore di Europa Stefano Menichini ha già riflettuto: «È ora di rompere questa alleanza fasulla e suicida: subito e per sempre». Antonio Di Pietro non sembra averne alcuna intenzione: «Non voglio umiliare il Pd, né l'anima dialogante del partito, che è rappresentata da Veltroni. Ma il Pd deve scegliere: sconfiggere Berlusconi o tarpare le ali a noi». Quanto a lui, ha già deciso. L'Idv deve prendere a esempio la Lega: «Parliamo chiaro, affrontiamo problemi concreti e siamo premiati dagli elettori: proprio come loro.
Dopo questo voto, cambierò lo statuto: come la Lega si è liberata della figura ingombrante del socio fondatore, così l'Italia dei Valori dovrà camminare da sola, diventando un partito vero, federale, con un forte ricambio generazionale ». Prima di entrare a «Porta a porta», Di Pietro si gode il successo. «Certo che sono contento — ridacchia —. Sono risultati stratosferici. Ma un vero condottiero non si crogiola sulla vittoria della battaglia: bisogna vincere la guerra. Ed esportare il modello Abruzzo su scala nazionale».
Non sarà felicissimo il Pd, che nel giorno del trionfo dell'Idv vede il suo tracollo. Difficile non vederci un nesso. Come fa a «Red» il dalemiano Nicola Latorre, autore del «pizzino» inciucista contestato dai dipietristi: «Bisogna ragionare sul fatto che Di Pietro sta erodendo elettorato più a noi che ai nostri avversari». Lo segue Paolo Fontanelli, responsabile enti locali: «L'Idv ha una grande capacità di traino per se stessa ma non per l'intera coalizione». Aggiunge Beppe Fioroni: «Il rammarico è che con l'Udc avremmo vinto».
Di Pietro non vuole sentire critiche: «Dobbiamo fare squadra, non vedere chi prende più o meno voti. Se ogni volta che un alleato fa ombra lo si toglie di mezzo, allora rimane un albero secco».
Di Pietro non ce l'ha con Veltroni: «Ce l'ho con chi manda i pizzini, con i dalemiani più che con D'Alema. Con l'opposizione dialogante e inciucista». Non che dia una mano straordinaria a Veltroni. Ancora prima di avere i risultati, già alza il prezzo dell'alleanza. Dichiara l'inutilità del tavolo sulla giustizia («sul federalismo discuteremmo volentieri »). Definisce «ambiguo» l'atteggiamento del Pd sulla questione morale. E lancia un ultimatum a Veltroni: «Si decida: o sì o no, o con Di Pietro o senza ». Nessuno sconto al governo, «strutturato come la P2». Ma anche un giudizio sprezzante sul tavolo sulla giustizia, proposto da Veltroni: «Ma che tavolini e sedie, quelli servono per mangiare. Abbiamo fatto 21 proposte sulla giustizia, ci ascoltino». In Abruzzo l'astensionismo è altissimo: «Il grande sconfitto è la politica. Quei partiti che non sono né carne né pesce, che partecipano alle commissioni e che dicono "ma anche", alla fine vengono puniti». Serve, dice, «una nuova alleanza riformista, non si parli più di centrosinistra». Infine, a «Porta a porta», Di Pietro celebra il suo successo davanti a Ignazio La Russa. E senza il Pd.
Alessandro Trocino
16 dicembre 2008
Dopo questo voto, cambierò lo statuto: come la Lega si è liberata della figura ingombrante del socio fondatore, così l'Italia dei Valori dovrà camminare da sola, diventando un partito vero, federale, con un forte ricambio generazionale ». Prima di entrare a «Porta a porta», Di Pietro si gode il successo. «Certo che sono contento — ridacchia —. Sono risultati stratosferici. Ma un vero condottiero non si crogiola sulla vittoria della battaglia: bisogna vincere la guerra. Ed esportare il modello Abruzzo su scala nazionale».
Non sarà felicissimo il Pd, che nel giorno del trionfo dell'Idv vede il suo tracollo. Difficile non vederci un nesso. Come fa a «Red» il dalemiano Nicola Latorre, autore del «pizzino» inciucista contestato dai dipietristi: «Bisogna ragionare sul fatto che Di Pietro sta erodendo elettorato più a noi che ai nostri avversari». Lo segue Paolo Fontanelli, responsabile enti locali: «L'Idv ha una grande capacità di traino per se stessa ma non per l'intera coalizione». Aggiunge Beppe Fioroni: «Il rammarico è che con l'Udc avremmo vinto».
Di Pietro non vuole sentire critiche: «Dobbiamo fare squadra, non vedere chi prende più o meno voti. Se ogni volta che un alleato fa ombra lo si toglie di mezzo, allora rimane un albero secco».
Di Pietro non ce l'ha con Veltroni: «Ce l'ho con chi manda i pizzini, con i dalemiani più che con D'Alema. Con l'opposizione dialogante e inciucista». Non che dia una mano straordinaria a Veltroni. Ancora prima di avere i risultati, già alza il prezzo dell'alleanza. Dichiara l'inutilità del tavolo sulla giustizia («sul federalismo discuteremmo volentieri »). Definisce «ambiguo» l'atteggiamento del Pd sulla questione morale. E lancia un ultimatum a Veltroni: «Si decida: o sì o no, o con Di Pietro o senza ». Nessuno sconto al governo, «strutturato come la P2». Ma anche un giudizio sprezzante sul tavolo sulla giustizia, proposto da Veltroni: «Ma che tavolini e sedie, quelli servono per mangiare. Abbiamo fatto 21 proposte sulla giustizia, ci ascoltino». In Abruzzo l'astensionismo è altissimo: «Il grande sconfitto è la politica. Quei partiti che non sono né carne né pesce, che partecipano alle commissioni e che dicono "ma anche", alla fine vengono puniti». Serve, dice, «una nuova alleanza riformista, non si parli più di centrosinistra». Infine, a «Porta a porta», Di Pietro celebra il suo successo davanti a Ignazio La Russa. E senza il Pd.
Alessandro Trocino
16 dicembre 2008
1 commento:
Quelle belle anime candide !
Hanno la vocazione suicidaria nel DNA !
Vaffanculo !
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