LA STAMPA
5/12/2008
IGOR MAN
IGOR MAN
La strage di Bombay è passata in pagina interna ma non son pochi i lettori che continuano a interrogarsi e interrogano il Vecchio Cronista. Anticipiamo l’avvenire andando su Marte ma facciamo della Terra un mattatoio? domanda il signor Pietro Lamanna (Chieti). Vediamo. Il terrorismo nichilista («mi uccido per uccidere») è il frutto di una cinica manipolazione del Corano, che si vuole sia stato dettato da Allah al profeta Maometto per il tramite dell’Arcangelo Gabriele. È Khomeini, l’imam che ha spodestato lo Scià Reza Pahlevi con la sua rivoluzione a mani nude, a «inventare» codesta bomba umana.
Intervistato ad hoc in quanto insigne giuresperito, Khomeini afferma che sì il Corano condanna il suicidio. Ma chi si uccide per ammazzare il nemico è degno di «amore e rispetto» e dunque meritevole del Paradiso. L’imam cava dal suo logoro turbante la terribile carta quando l’Iran deve affrontare l’invasione dell’Iraq di Saddam Hussein, inopinatamente promosso, dagli Usa, alleato (scomodo ma valido). Un esercito raccogliticcio, quello persiano, contiene l’offensiva irachena, non solo: riesce a insidiare Bassora, città chiave del conflitto. Gli iracheni lamentano tuttavia la mancanza di sminatori sicché gli tocca segnare il passo. Qui il colpo di teatro: Khomeini arruola i bambini. Li veste di bianco con la benda del sacrificio in fronte, li manda, scalzi, a bonificare i campi minati. Saltando per aria con le mine.
Come a prevenire lo stupore e lo sdegno del mondo, Khomeini riempie i giornali delle fotografie degli impuberi «martiri», pubblica lettere esaltate dei genitori dei piccoli i cui parenti il governo colmerà di benefit. Nonostante il sacrificio dei bimbi-martiri, Khomeini subirà il cessate il fuoco dell’Onu. Da quel momento il vecchio gufo di Javaran varerà l’insegnamento del «martirio» spedendo pasdaran un po’ dappertutto nel mondo. La tattica operativa del terrorismo attuale risale presumibilmente ai dettati dell’organizzazione russa Narodnaya Volya (1878-1881): colpire nel mucchio «per uccidere sbalordendo». Anteriore ai russi assassini dello zar Alessandro II, la leggenda del Grande Vecchio della Montagna, capo della setta degli «assassini»: si vuole che fossero ismailiti venuti dalla Persia in Siria nel secolo undecimo: uccidevano anch’essi «per sbalordire». Epperò non si uccidevano per uccidere. Dopo la liberazione di Saigon, il generale Giap disse che «il terrorismo serve ma non risolve». In ogni caso i terroristi andavano classificati come «commandos speciali», non eroi. Così i tre vietcong terroristi, già considerati eroi, rimasero senza medaglia.
Da sempre il terrorismo viene considerato arma «non eroica». L’Agenzia ebraica e Ben Gurion condannarono con sdegno la strage di Deir Yassin (9 aprile 1948), opera dell’Irgun e del Lehi: 250 palestinesi massacrati e gettati nei pozzi o lasciati marcire all’aperto.
Il «salto di qualità» si ha con Khomeini, fonte, l’imam, d’un turpe contagio. Khomeini «spiega» che suicidarsi non è peccato mortale quando si uccide il nemico infedele. Non necessariamente, dunque, i terroristi-suicidi (vedi i replicanti di Bombay) sono tutti persone senza più nulla da perdere come la maggior parte dei «martiri» palestinesi nati e cresciuti in quelle fogne che chiamiamo «campi». E allora? Nel nuovo disordine che ci angustia dopo lo stupro delle Torri Gemelle, riesce difficile immaginare che il terrorismo-suicida più non colpisca. Ma come tutte le cose terrene, finirà. Mai nella storia la contestazione terroristica è diventata istituzione.
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