venerdì 5 dicembre 2008

Viaggio nel meglio del supercafonal d'Italia

LA STAMPA
3/12/2008
MICHELA TAMBURRINO


In fondo, Roberto D’Agostino è un moralista. La sua meticolosa rassegna dell’osceno, la certosina ricerca dell’orrore rappresentato senza sconti, lo pone come un puritano, censore dei costumi e delle scostumate. Un blog multiforme unito nella non sibillina sigla «Super-Cafonal» con la dépendance del cafonalino. Il suo killer, oramai serial, Umberto Pizzi, s’incarica per lui d’impallinare l’Italia godona in ritratti spietati nella loro spudorata sincerità.

L’insieme ottimamente calibrato di sacro e profano, lì dove il sacro è l’immagine disgustosa e il profano la notizia in anteprima profusa senza censure, ha regalato al sito «Dagospia», un’aura di religioso rispetto. Si compulsa Dago, si interroga come una sibilla cumana il suo sito, si spia dal buco della serratura una certa società magnona. E visto che siamo «sull’orlo del burino» il più volgare dei reality trova la sua acconcia fine in un libro, ovviamente fotografico, che raccoglie il meglio dello schifo mediatico e salottiero. Quattrocentoquaranta pagine rilegate da Mondadori ai modi di un catalogo d’arte, il titolo «Cafonal» la dice lunga, i due autori, D’Agostino-Pizzi, fanno il resto. «Impazza la Brutta Époque in questo cafonalismo trash-endente», il libro a sfogliarlo sembra un trattato di sociologia, meglio, di antropologia culturale, scritto con le facce, i corpi debordanti, le tette rifatte, le labbra a canotto, il potere esibito nelle mani forchettate. Perché è la grande abbuffata il filo conduttore che unisce i «morti di fama». Ci si rimpinza a bocca piena e a gambe larghe (per tenere il piatto in equilibrio), ci si ingozza come se fosse l’ultimo buffet, l’ultimo bucatino prima del deliquio.

D’Agostino, sadico oltre che moralista, mentre condanna s’indigna e si diverte, conia aforismi graffianti, s’affida a Pizzi per l’affondo finale. Una cosa va però detta; il mondo qui magistralmente rappresentato fa parte di Roma e da Roma non prescinderà mai. Anche quando oltrepassano i castelli, sono sempre i cafoni del generone capitolino a essere Pizzicati. Ma non per mania campanilistica: è che oltre quel confine quell’universo non c’è. Una volta una signora torinese molto in vista fu ospite d’onore in una festa romana d’alto lignaggio. Tutti finirono su Dagospia e lei se ne adontò. Tale reazione molto stupì la padrona di casa che le disse. «Ma come, tutti vogliono finire sul Cafonal». L’altra non capì; adoperava canoni di comportamento che s’adattano ovunque, tranne che a Roma. Alcuni giornalisti sprovveduti s’inorgogliscono di vedere il loro articolo ripreso da Dagospia. Non sanno i poveretti che D’Agostino sceglie per amore di paradosso ciò che più gli piace, dunque il peggio sulla piazza, l’articolo più ridicolo, il tema più inutile, (e Dio ci salvi dalle dovute eccezioni).

Perciò, sempre restando fedeli allo stesso sistema di misura, grazie a D’Agostino-Pizzi si ha la misura del potere che sale e che scende le scale di un salotto. Che a sua volta, sale e scende d’importanza a seconda di chi lo frequenta. I politici sono mazzolati comunque, in un perfetto dileggio bipartisan. Fassino, Berlusconi, D’Alema, la sedicente contessa, l’attricetta, la velina, tutti nello stesso calderone, tutti con il boccone in bocca, tutti indecenti. Il potere, si dirà, non alberga solo a Roma. Certo ma i potenti a Roma ci vanno e sono pochissimi quelli che resistono alla tentazione di presenziare. In agguato troveranno Pizzi. Il quale, da moralista anche lui, non fotografa mai sua moglie e non ha fotografato la festa dei 60 anni di Roberto D’Agostino. Il Cafonal non entra in casa di chi l’ha creato.

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