martedì 3 febbraio 2009

Il Servizio che non c'è


di Vittorio Grevi

Forse mai come quest'anno il tema dominante dell’inaugurazione dell'anno giudiziario è stato quello dell’eccessiva dilatazione dei tempi del processo, in contrasto con la previsione costituzionale che ne impone la «ragionevole durata ». Un difetto di efficienza su cui si è ampiamente soffermata la relazione del primo presidente della Corte di Cassazione, Vincenzo Carbone, che vi ha ravvisato la principale causa della diffusa crisi di fiducia dei cittadini nella giurisdizione. Se la giustizia deve essere intesa come un «servizio essenziale» per la collettività (cioè, secondo una felice formula del presidente Napolitano, come un «servizio da rendere ai diritti ed alla sicurezza dei cittadini»), è chiaro che così non si può andare avanti.

Occorre, invece, procedere con decisione sulla strada delle riforme, ma con la consapevolezza che le più urgenti sono quelle dirette ad incidere, per l'appunto, sulla efficienza degli apparati giudiziari e sulla celerità dei ritmi processuali. E, allo scopo, non sono necessarie riforme di natura costituzionale, essendo sufficiente intervenire con intelligenza mediante leggi ordinarie. Purché, come si dirà tra breve, si tratti di riforme frutto di larghe intese. In questa prospettiva il presidente Carbone, dopo avere stigmatizzato il sempre più preoccupante verificarsi di fenomeni distorti di «abuso del processo », ha anzitutto valutato con favore alcune proposte governative volte ad introdurre rilevanti modifiche, in funzione acceleratoria, nel tessuto del processo civile. Quanto al processo penale, fermo restando sullo sfondo il grave problema della irrazionale distribuzione delle sedi giudiziarie (sulla questione ha insistito anche il vicepresidente del Csm, Mancino), Carbone non ha mancato di toccare alcuni punti specifici di grande attualità.

Così, per esempio, ha auspicato la previsione di meccanismi deflattivi volti a dare concretezza al principio di obbligatorietà dell'azione penale; ha rivendicato al pubblico ministero il potere di direzione delle indagini, ovviamente in rapporto a specifiche ipotesi di reato; ha rimarcato l'esigenza di una revisione della disciplina della prescrizione in senso differenziato, anche allo scopo di non scoraggiare l'accesso ai riti speciali (patteggiamento e giudizio abbreviato). Circa il tema delle intercettazioni telefoniche — la cui natura di strumenti «essenziali», e spesso «indispensabili », ai fini delle indagini, è stata sottolineata dal procuratore generale Esposito — il presidente Carbone ha invece preferito porre l'accento sul rischio di una loro «abnorme e poco giustificata reiterazione nel tempo ». Si tratta di un profilo assai delicato, oggi al centro del dibattito politico intorno ad un emendamento ministeriale che, riducendo di molto il concreto impiego di tale strumento investigativo, certo non si colloca nell'ottica della efficienza delle indagini. È questa una delle proposte di riforme all’orizzonte, sulla quale sarà bene riflettere a mente fredda operando un meditato bilanciamento degli interessi in gioco, e senza intenti punitivi verso la magistratura.

Anche perché l'esigenza di tutela della dignità delle persone, soprattutto di quelle estranee alle indagini (di cui ieri si è preoccupato il ministro Alfano), si realizza soprattutto nel senso di evitare alle stesse la «gogna mediatica», costituita dalla arbitraria pubblicazione delle loro conversazioni intercettate. In ogni caso, come ha ricordato Carbone al termine del suo discorso, le riforme in materia di giustizia vanno realizzate non in termini di «scontro» tra poteri dello Stato, bensì quale momento «di incontro e convergenza». Occorre, in sostanza, per riprendere il monito del presidente Napolitano, che si tratti di «riforme condivise»: anzitutto tra le forze politiche, ma anche tra gli stessi studiosi ed operatori del settore, ivi compresi avvocati e magistrati. E, per quanto riguarda i magistrati, occorre che gli stessi (rinunciando ad eventuali tentazioni di protagonismo mediatico o di appartenenza correntizia) si collochino responsabilmente in una dimensione di serena cooperazione con le altre istituzioni dello Stato, con l'unico scopo di contribuire al buon funzionamento del «servizio giustizia».

31 gennaio 2009

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