Ho definito «guerriglieri» i non studenti dell’Onda. Mi sono sbagliato e corretto subito dopo: sono teppisti che giocano alla guerriglia. Ringrazio dell’ospitalità, che mi consente di tornare sul tema, perché non voglio contribuire a fraintendimenti gravidi di conseguenze. Si tratta di un fenomeno grave, di un sintomo preoccupante, da non trascurare, da comprendere nella sua reale natura. La rivolta è lo strumento con cui ci si ribella alle ingiustizie; i rivoltosi spesso esprimono valori e idee. L’Onda mi ricorda la violenza negli stadi, dove il tifo vela il vero fine: la violenza. C’è, poi, in loro una sola necessità: autorappresentarsi. Negli scontri le prime file pressano, tutti gli altri fotografano e filmano con i cellulari, per mettere poi in rete un’idea, quale che sia, di sé. Esattamente come gli hooligan. Sono loro stessi ad autorappresentarsi come violenti e non come studenti. Non sono studenti, nel migliore dei casi sono fuori corso da anni, per lo più non possono rimproverarsi d’avere sottratto alla vita troppo tempo per lo studio.
Non sono un movimento rappresentativo degli studenti, e non solo perché alle democratiche elezioni, negli atenei, sono stati cancellati (da democratico, io riconosco anche il diritto di non presentarsi, ma non quello di sostenere di rappresentare quelli cui non si è neanche chiesto il voto). Ma perché la loro azione è tutta indirizzata a togliere, non dare diritti agli studenti. E qui ci sono molte responsabilità, compresa quella dei rettori. C’è, realmente, vita democratica nelle nostre università? È bassa, perché gruppi di facinorosi e violenti, richiamandosi ora alla simbologia nazista ed ora a quella comunista, con una tale bassezza di contenuti e vuoto d’idee da essere anche comunicanti, usano la forza per impedire a chi ha qualche cosa da dire o da discutere di farlo liberamente. Questo, non altro, è un attacco alla democrazia, un’evocazione d’avventure che anche il Sud America ha superato. Vedo che non lo sanno, che sfugge loro la natura sinistra dei regimi populisti lì ancora al potere, termometro, anche questo, di un’ignoranza che li distanzia da ogni attività ed identità di studio. Non vanno sottovalutati. Osservate quel che succede in Grecia, respirate il clima della piazza francese, fate i conti di una crisi che ancora morde, e valutate la necessità di non distrarsi da chi è pronto ad approfittarne per trasformare il disagio (che c’è) in rabbia, la protesta (legittima) in scontro, la manifestazione in pestaggio, l’opposizione in violenza. Guai a far finta di non vedere. Certo, guai anche a vedere quello che non c’è. Ed ho fatto ammenda. Ma sottovalutare è un errore che le forze politiche e sindacali, specialmente della sinistra, non possono commettere ancora una volta. Il passato non torna, mancandone le condizioni storiche e geopolitiche, ma questo non vuol dire che non si possano commettere sempre gli stessi errori. Con questo non penso, proprio per niente, che le cose vadano bene, in generale o nell’università in particolare. Anzi, sono convinto che l’università ancora attende la sua rivoluzione del merito, per docenti e discenti, che metta in cattedra solo chi studia ancora e laurei solo chi ha studiato, consentendo così una promozione delle capacità che è l’unico viatico alla giustizia sociale. Contro caste e dinastie. Ma quando leggo, a fatica, la sgrammaticata incoerenza delle critiche che la presunta Onda ha rivolto alle riforme proposte dalla collega Gelmini, mi convinco che il maroso si muove nella corrente dell’Italia peggiore, connivente con quel che noi riformatori vorremmo cambiare. Il giornalismo, compiacendo il loro esibizionismo autocelebrativo, il loro opposto estremismo autoidentitario, li chiama «Onda». Fiuto l’aria e mi accorgo che non è acqua limpida, quella che s’agita e s’infrange.
Non sono un movimento rappresentativo degli studenti, e non solo perché alle democratiche elezioni, negli atenei, sono stati cancellati (da democratico, io riconosco anche il diritto di non presentarsi, ma non quello di sostenere di rappresentare quelli cui non si è neanche chiesto il voto). Ma perché la loro azione è tutta indirizzata a togliere, non dare diritti agli studenti. E qui ci sono molte responsabilità, compresa quella dei rettori. C’è, realmente, vita democratica nelle nostre università? È bassa, perché gruppi di facinorosi e violenti, richiamandosi ora alla simbologia nazista ed ora a quella comunista, con una tale bassezza di contenuti e vuoto d’idee da essere anche comunicanti, usano la forza per impedire a chi ha qualche cosa da dire o da discutere di farlo liberamente. Questo, non altro, è un attacco alla democrazia, un’evocazione d’avventure che anche il Sud America ha superato. Vedo che non lo sanno, che sfugge loro la natura sinistra dei regimi populisti lì ancora al potere, termometro, anche questo, di un’ignoranza che li distanzia da ogni attività ed identità di studio. Non vanno sottovalutati. Osservate quel che succede in Grecia, respirate il clima della piazza francese, fate i conti di una crisi che ancora morde, e valutate la necessità di non distrarsi da chi è pronto ad approfittarne per trasformare il disagio (che c’è) in rabbia, la protesta (legittima) in scontro, la manifestazione in pestaggio, l’opposizione in violenza. Guai a far finta di non vedere. Certo, guai anche a vedere quello che non c’è. Ed ho fatto ammenda. Ma sottovalutare è un errore che le forze politiche e sindacali, specialmente della sinistra, non possono commettere ancora una volta. Il passato non torna, mancandone le condizioni storiche e geopolitiche, ma questo non vuol dire che non si possano commettere sempre gli stessi errori. Con questo non penso, proprio per niente, che le cose vadano bene, in generale o nell’università in particolare. Anzi, sono convinto che l’università ancora attende la sua rivoluzione del merito, per docenti e discenti, che metta in cattedra solo chi studia ancora e laurei solo chi ha studiato, consentendo così una promozione delle capacità che è l’unico viatico alla giustizia sociale. Contro caste e dinastie. Ma quando leggo, a fatica, la sgrammaticata incoerenza delle critiche che la presunta Onda ha rivolto alle riforme proposte dalla collega Gelmini, mi convinco che il maroso si muove nella corrente dell’Italia peggiore, connivente con quel che noi riformatori vorremmo cambiare. Il giornalismo, compiacendo il loro esibizionismo autocelebrativo, il loro opposto estremismo autoidentitario, li chiama «Onda». Fiuto l’aria e mi accorgo che non è acqua limpida, quella che s’agita e s’infrange.
4 commenti:
Non ho capito un cacchio !
Ma sono io, è colpa mia, sono ignorante come una capra.
Non fare il modesto, secondo me hai capito benissimo!! :))
Hai ragione, ma siccome "lui" si impettisce ogni volta e sale in cattedra, che altro potevo scrivere ?
Però, per essere un prof.univ. ha una prosa alquanto involuta: non trovi ?
Certo che è involuta! Per uno che dai colleghi universitari viene ricordato come un grande raccoglitore di lumache nei cespugli dell'Università, pretendere una prosa evoluta è da schiavisti!
Professore associato...senza la necessità di superare concorsi!
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