Silvio Berlusconi ha convocato un congresso o meglio una grande assemblea per ratificare la nascita del Pdl. Non c’è dubbio che siamo di fronte a un rilevante fatto politico. Ma questa è l’assise in cui nasce il partito dei moderati? Un partito, hanno scritto alcuni osservatori, fra cui Biagio De Giovanni (Il Riformista) e Aldo Schiavone (la Repubblica), che in Italia non è mai esistito. E perciò, si dice, va salutato come un fatto destinato a colmare un vuoto e a incidere positivamente nella vicenda politica italiana, anche perché rimette il sistema politico nella direzione del bipolarismo.
Io sono meno ottimista dei miei due amici anche perché ho presente nella mia memoria le cose che furono scritte e dette da tanti analisti nel momento in cui nasceva il Pd. Si disse allora che finalmente nasceva il partito dei progressisti italiani, il quale metteva in moto, senza una legge, una riforma del sistema politico fondato sul bipartitismo.
Dopo un anno abbiamo visto un Pd rimpicciolito e in affanno e crescono l’Udc di Casini, l’Idv di Di Pietro e la Lega di Bossi. Anche a sinistra del Pd si riorganizzano forze che sembravano destinate a scomparire. Il Pd, ha cambiato segretario, ma non riesce a darsi un asse politico culturale necessario per essere un partito con un suo progetto e non una coalizione per contrastare il potere berlusconiano.
Anche il Pdl nasce come una coalizione, con un leader carismatico e padronale, in cui convivono ex socialisti che ritengono di essere gli eredi del «vero Psi», ex democristiani, laici e clericali, liberisti e colbertisti, cattolici integralisti e liberalradicali, tutti radunati in Fi, a cui ora si è associata An con la «sua storia e identità», come hanno dichiarato i confluenti. Non c’è dubbio che questo coacervo oggi abbia un insediamento rilevante nelle istituzioni nazionali e locali e anche, come si dice oggi, sul territorio. E non c’è dubbio che si tratti di una coalizione che ha un comune denominatore: non è solo nel Cavaliere, ma anche nell’avversione alla sinistra così come si è espressa in passato (comunista!) ma anche con i governi di Prodi. Un’avversione che oggi si manifesta con una politica di governo e un esercizio del potere in cui si ritrovano gli strati della società che non credono in un’alternativa, per convinzione o per necessità.
È questo il terreno su cui si è costruita «un’egemonia» del berlusconismo. In tale quadro, si può dire che con il Pdl nasce il partito dei moderati destinato, come è stato scritto, a caratterizzare in termini più moderni il sistema politico? Può darsi che mi sbagli, ma io penso di no. Il Pd nacque con Veltroni come forza che archiviava l’antiberlusconismo e inaugurava una competizione bipartitica su un terreno diverso su cui si era costruita l’unione prodiana. Non ha retto su tutti i fronti. Il Pd infatti ha riproposto il «vecchio antiberlusconismo» e non è stato in grado di battersi per un suo programma, per una sua visione rispetto ai problemi posti dalla società: dalle riforme costituzionali necessarie a far funzionare il sistema alle questioni che pongono oggi il Nord e Sud. Per non parlare della forma stessa del partito, della sua vita democratica e della selezione dei gruppi dirigenti.
Nel Pdl in termini diversi e con contenuti diversi, si ripropongono le stesse questioni: sintesi politica, leadership, democrazia interna, forma partito, cultura condivisa. Insomma, sia a destra che a sinistra, con le coalizioni o con i partiti-coalizione, ancora oggi sembra essere sempre in una transizione condizionata dal ruolo che ha assunto la leadership di Berlusconi. Anche le posizioni interessanti ed effettivamente revisioniste assunte da Gianfranco Fini sono condizionate dal ruolo di Berlusconi che obiettivamente limita una reale dialettica democratica nel partito del centrodestra. Aldo Schiavone, a proposito del Pdl, come partito conservatore di massa, dice che «la Dc era un’altra cosa, anche se nel suo amalgama la destra rappresentava una componente essenziale». È vero. Era un’altra cosa, non solo perché aveva un suo riconoscibile asse politico-culturale, ma anche perché le leadership carismatiche di De Gasperi, Fanfani e Moro ebbero una base esclusivamente politica, quindi con ricambi possibili. De Gasperi fu sostituito da Fanfani in un cambio di fase politica. Lo stesso avvenne con Moro che sostituì Fanfani e così di seguito.
Una leadership carismatica, nata nel corso di una crisi di sistema può radunare una coalizione moderata, ma non può dare vita al partito dei moderati se non mette in discussione la sua stessa leadership. Altrimenti la crisi del leader si identificherà con la crisi del partito e la stabilità del sistema, incentrato su quella leadership. Questo è il punto. Comunque è positivo il fatto che anche grazie a questa assise si apra un dibattito che investe l’avvenire del Paese in un momento difficile caratterizzato da una crisi economica senza precedenti. Mi auguro che questa discussione coinvolga le formazioni di destra e di sinistra.
Io sono meno ottimista dei miei due amici anche perché ho presente nella mia memoria le cose che furono scritte e dette da tanti analisti nel momento in cui nasceva il Pd. Si disse allora che finalmente nasceva il partito dei progressisti italiani, il quale metteva in moto, senza una legge, una riforma del sistema politico fondato sul bipartitismo.
Dopo un anno abbiamo visto un Pd rimpicciolito e in affanno e crescono l’Udc di Casini, l’Idv di Di Pietro e la Lega di Bossi. Anche a sinistra del Pd si riorganizzano forze che sembravano destinate a scomparire. Il Pd, ha cambiato segretario, ma non riesce a darsi un asse politico culturale necessario per essere un partito con un suo progetto e non una coalizione per contrastare il potere berlusconiano.
Anche il Pdl nasce come una coalizione, con un leader carismatico e padronale, in cui convivono ex socialisti che ritengono di essere gli eredi del «vero Psi», ex democristiani, laici e clericali, liberisti e colbertisti, cattolici integralisti e liberalradicali, tutti radunati in Fi, a cui ora si è associata An con la «sua storia e identità», come hanno dichiarato i confluenti. Non c’è dubbio che questo coacervo oggi abbia un insediamento rilevante nelle istituzioni nazionali e locali e anche, come si dice oggi, sul territorio. E non c’è dubbio che si tratti di una coalizione che ha un comune denominatore: non è solo nel Cavaliere, ma anche nell’avversione alla sinistra così come si è espressa in passato (comunista!) ma anche con i governi di Prodi. Un’avversione che oggi si manifesta con una politica di governo e un esercizio del potere in cui si ritrovano gli strati della società che non credono in un’alternativa, per convinzione o per necessità.
È questo il terreno su cui si è costruita «un’egemonia» del berlusconismo. In tale quadro, si può dire che con il Pdl nasce il partito dei moderati destinato, come è stato scritto, a caratterizzare in termini più moderni il sistema politico? Può darsi che mi sbagli, ma io penso di no. Il Pd nacque con Veltroni come forza che archiviava l’antiberlusconismo e inaugurava una competizione bipartitica su un terreno diverso su cui si era costruita l’unione prodiana. Non ha retto su tutti i fronti. Il Pd infatti ha riproposto il «vecchio antiberlusconismo» e non è stato in grado di battersi per un suo programma, per una sua visione rispetto ai problemi posti dalla società: dalle riforme costituzionali necessarie a far funzionare il sistema alle questioni che pongono oggi il Nord e Sud. Per non parlare della forma stessa del partito, della sua vita democratica e della selezione dei gruppi dirigenti.
Nel Pdl in termini diversi e con contenuti diversi, si ripropongono le stesse questioni: sintesi politica, leadership, democrazia interna, forma partito, cultura condivisa. Insomma, sia a destra che a sinistra, con le coalizioni o con i partiti-coalizione, ancora oggi sembra essere sempre in una transizione condizionata dal ruolo che ha assunto la leadership di Berlusconi. Anche le posizioni interessanti ed effettivamente revisioniste assunte da Gianfranco Fini sono condizionate dal ruolo di Berlusconi che obiettivamente limita una reale dialettica democratica nel partito del centrodestra. Aldo Schiavone, a proposito del Pdl, come partito conservatore di massa, dice che «la Dc era un’altra cosa, anche se nel suo amalgama la destra rappresentava una componente essenziale». È vero. Era un’altra cosa, non solo perché aveva un suo riconoscibile asse politico-culturale, ma anche perché le leadership carismatiche di De Gasperi, Fanfani e Moro ebbero una base esclusivamente politica, quindi con ricambi possibili. De Gasperi fu sostituito da Fanfani in un cambio di fase politica. Lo stesso avvenne con Moro che sostituì Fanfani e così di seguito.
Una leadership carismatica, nata nel corso di una crisi di sistema può radunare una coalizione moderata, ma non può dare vita al partito dei moderati se non mette in discussione la sua stessa leadership. Altrimenti la crisi del leader si identificherà con la crisi del partito e la stabilità del sistema, incentrato su quella leadership. Questo è il punto. Comunque è positivo il fatto che anche grazie a questa assise si apra un dibattito che investe l’avvenire del Paese in un momento difficile caratterizzato da una crisi economica senza precedenti. Mi auguro che questa discussione coinvolga le formazioni di destra e di sinistra.
2 commenti:
Macaluso offre una forma chiara ed esatta a ciò che si pensa - a ciò che io penso.
Cristoforo Bono
Unn po' in ritardo il tuo commento, ma condivisibile. Emanuele Macaluso è una delle poche teste pensanti rimaste sulla scnena politica nazionale anche se non svolge più politica attiva.
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