mercoledì 25 marzo 2009

La partita del premier


25/3/2009
MARCELLO SORGI

Si trovi o no un accordo tra governo e Regioni (e ovviamente è molto meglio che si trovi), si riduca o no la portata del provvedimento dai condomini alle abitazioni monofamiliari (e in ogni caso i limiti devono essere chiari), si semplifichi molto o poco la ragnatela burocratica che sovrintende ad ogni ristrutturazione edilizia (ed è indubbio che quella attuale sia insopportabile), il piano-casa di Berlusconi, nel giro di pochi giorni, si sta trasformando in uno spartiacque, destinato non solo a dividere il Paese e l’elettorato che si prepara a una nuova e lunga campagna elettorale per le elezioni amministrative ed europee, ma anche a ridefinire la nuova identità del premier, in vista del congresso fondativo del Pdl del prossimo fine settimana.

Al quale congresso il Cavaliere si presenterà, o con l’accordo in tasca che gli consentirà di rivolgersi all’85 per cento degli italiani proprietari di casa con un gesto concreto, mirato ad allargare gli spazi in cui vivono e in molti casi la loro stessa qualità della vita.

O si presenterà con un nuovo cavallo di battaglia da agitare contro il «partito del no» impersonato da Franceschini e dal gruppo dirigente del Pd. Intendiamoci: sono sicuramente fondate molte delle ragioni addotte dall’opposizione per contestare il piano del governo, a cominciare dal modo sbrigativo e confuso con cui è stato proposto e dall’aperta sovrapposizione alle competenze delle Regioni e delle amministrazioni locali condivise dalla Lega e in parte anche da governatori del Pdl. Malgrado ciò rappresenta una scommessa la parola d’ordine del rifiuto della «cementificazione», lanciata con gli appelli di molti famosi architetti, che hanno di fatto stabilito la linea del centrosinistra, prima ancora che gli organi dirigenti dei partiti che lo compongono potessero discuterne.

In altre parole, come pensano anche alcuni sindaci in carica del Pd, non è affatto detto che i cittadini di sinistra, specie i rappresentanti delle classi più povere, condividano le posizioni degli illustri tecnici ed intellettuali che hanno bollato l’iniziativa del governo come un via libera all’abuso edilizio o come una specie di condono anticipato.

La questione della casa, anche in un Paese di proprietari edilizi come il nostro, riguarda l’assoluta maggioranza della popolazione. Coppie che faticano a trovare il mutuo con il quale comperare il primo alloggio striminzito da sposini, e mariti e mogli (o conviventi) che alla nascita del primo figlio non hanno dove metterlo, e devono porsi il problema del trasloco. Oppure, separati o separandi, che per non tornare a vivere a casa dell’anziana mamma accetterebbero volentieri l’onta del muro divisore dall’ex coniuge. O ancora, vedove rimaste in abitazioni familiari «storiche», di quelle che non si riescono a vendere facilmente, ma neppure a suddividere o ristrutturare in modo razionale, per consentire una vita decente ai nuovi e più articolati nuclei familiari allargati.

La vita di tutti i giorni e di molti, per non dire moltissimi amici e conoscenti di tutti noi è fatta di problemi come questi. E non v’è dubbio che per gran parte delle persone alle prese con questioni del genere, il piano-casa del governo, pur nella sua confusa enunciazione, abbia cominciato a rappresentare una speranza. Ragione di più per chiarirlo e semplificarlo, e se possibile per renderlo realistico in tempi brevi, in modo che possano approfittarne tutti quelli che ne hanno bisogno o potrebbero trarne un vantaggio - beninteso legittimo. Invece, al di là dei risultati che oggi è auspicabile porti l’incontro tra governo e Regioni, quel che s’è visto in questi primi giorni di confronto sul piano non lascia ben sperare. A una non chiara proposta del governo, a un ritardato, e fin qui senza frutti, confronto tra le varie (e forse troppe) autorità competenti sulla casa, s’è aggiunta l’opposizione frontale di Franceschini e del Pd, accompagnata da una valutazione - «incostituzionale» -, che ormai quasi tutti i giorni viene adoperata per giudicare le iniziative del governo.

Così, anche se non ce lo auguriamo affatto, è già possibile intuire la più probabile delle conclusioni dello scontro in corso sulla casa: specie se il governo, magari a costo di modifiche consistenti, insisterà per varare il suo piano per decreto. Nei sessanta giorni previsti per la trasformazione del testo in legge, assisteremo a ogni tipo di accuse e di rimbrotti, dentro e fuori le aule del Parlamento, da un fronte all’altro della maggioranza e dell’opposizione, pur di portare a casa, o sbarrare la strada, al provvedimento al centro delle polemiche. Berlusconi dirà che è colpa di Franceschini se le famiglie non potranno disporre subito di uno strumento pratico e rapido per aggiungere una veranda, o un secondo bagno, o una camera per i bambini o per la colf, alle case in cui si sta stretti. Franceschini replicherà accusando il premier di voler promuovere una campagna per cancellare panorami storici o deturparli con appendici di cattivo gusto destinate a cambiare lo skyline delle città. In questo modo, mentre milioni di cittadini aspettano di sapere cosa potranno fare dei loro alloggi, la casa promessa - e quella negata - serviranno a trasformare le prossime elezioni in un ennesimo, e forse inutile, referendum su Berlusconi.

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