martedì 31 marzo 2009

L'ultima metamorfosi del leader anti-borghese


di FILIPPO CECCARELLI

Venite, adoremus: e dopo tre giorni ancora una volta il presidentissimo Berlusconi si conferma all'altezza della sua fama.

Il ruggito e lo sberleffo, il maxi-schermo e lo stacchetto musicale, la gloria e il merchandising, le salmodie dei ministri e il più sonante dispendio di quattrini, tre milioni e rotti di euro, in tempi di crisi, per fare bella figura, alberghi a quattro stelle, bianche tovaglie e delizie di catering per i delegati. Programma minimo scandito alla platea: "Non accontentarsi mai".

Chissà se è davvero "la fine della lunghissima transizione italiana". Quando ieri mattina il Cavaliere ha annunciato questo passaggio di ordine storico e politico, per sincronica assonanza veniva da pensare a quanto il professor Aldo Schiavone ha scritto in un libro uscito da pochi giorni, L'Italia contesa (Laterza), e che a proposito della pretesa tempestività berlusconiana dice esattamente il contrario: "Il leader della transizione italiana è diventato oggi il solo ostacolo al suo definitivo compimento. La normalizzazione della nostra politica non aspetta che la sua uscita di scena per potersi concludere".

Ecco, si vedrà. Ma intanto mai come in questo congresso è apparsa più evidente la fine di una certa idea della destra. Ed è proprio nell'evoluta potenza tecnica del berlusconismo, nelle sue forme e nei suoi linguaggi che si coglie il senso dello stravolgimento terminale di un antico decoro. E attenzione. Una volta Massimo Cacciari ha qualificato Berlusconi: "Una catastrofe estetica prima ancora che politica". Ma qui non si tratta di interpretare la novità secondo i codici del consueto (e vano) anti-berlusconismo di sinistra, filosofico o snob che sia, comunque spocchiosetto nei suoi stilemi di pretesa superiorità morale e di buongusto.

No. Il dubbio è come avrebbero reagito un Indro Montanelli o una Oriana Fallaci di fronte alla scena del Cavaliere che fa mettere "le nostre dame" in primo piano, si mette a cantare Fratelli d'Italia e al momento di "siam pronti alla morte" strizza l'occhio alle telecamere e fa così così con la mano. La curiosità è di indovinare come Spadolini avrebbe giudicato le tante invocazioni auto-messianiche, la rivendicatissima "lucida follia" del Cavaliere o la promozione a ministro di una ex starlette come Mara Carfagna.

L'interrogativo è come il grande Giovanni Ansaldo, l'autore de "Il vero signore", avrebbe descritto l'invasione della cosmetica nella vita pubblica o la dislocazione delle giovani e sospette figuranti interinali sotto le volte posticce della Nuova Fiera di Roma.

Detta altrimenti: il sospetto è che con il proverbiale colpo di spada Berlusconi abbia definitivamente tagliato i legami che da anni e anni in Italia tenevano assieme il potere con i canoni stilistici e comportamentali cosiddetti "borghesi": misura, riserbo, ipocrisia, rispetto delle regole, pudore dei propri sentimenti, diffidenza per tutto ciò che fa rumore e spettacolo. L'ipotesi è che si tratti di un leader ormai compiutamente extra-borghese o forse addirittura anti-borghese.

E dunque: bisognava vederlo, ieri mattina, annunciare alla platea il suo personale e prezioso dono ai delegati, una "carineria", come dice lui, una "speciale edizione in carta pergamena", proclamava radioso, un incredibile codice miniato che riproduceva il discorso audiovisivo della discesa in campo - e che poi il Cavaliere ha puntualmente declamato al congresso auto-ri-citandosi per quattro buoni minuti. Ecco, fa un certo effetto anche solo immaginarsi cosa avrebbe scritto a proposito della finta pergamena il fondatore del Borghese, Leo Longanesi. Nel 1953 questi pubblicò un libro dall'interrogativo titolo: "Ci salveranno le vecchie zie?", intese queste ultime come l'emblema e le custodi di un mondo fatto di compostezza, parsimonia, fedeltà alle cose solide, ben fatte, per nulla appariscenti. E se la faccenda può sembrare estranea al dibattito politico e ai destini del Pdl, beh, non lo è tanto perché le vecchie zie accompagnano la vita del potere, e Andreotti per dire ne aveva una, la celebre zia Mariannina, che da bimba aveva vissuto addirittura la presa di Roma da parte dei piemontesi traendone il seguente e andreottianissimo insegnamento: "Tutto si aggiusta". Bene: neanche a farlo apposta, pure il Berlusconi aveva diverse vecchie zie, alcune anche suore, altre, sembra di ricordare, formidabili pasticcere. Ma soprattutto ce n'era una, di nome Marina, appunto anziana e non molto avvenente, che un giorno imprecisato il futuro presidente sorprese con un abito a fiori davanti a uno specchio che si accarezzava dicendo: "Come sei bella! Come sei bella!". Al che: "Ma, zia, che fai?". E lei, di rimando: "Ora che nessuno me lo dice più, me lo dico da sola".

Ebbene, il turbo-narcisismo ottimistico-consolatorio della zia berlusconiana a suo modo dice parecchio sulla rottura con i costumi e gli atteggiamenti tradizionali della destra, ma forse altrettanto sulla fondazione del primo partito carismatico dell'era repubblicana.

Un'autocrazia che si riconosce nei "tanti nostri meriti", nell'"altissima qualità della nostra classe dirigente" per cui "io vi nomino tutti missionari di libertà", e adesso venite qui con me a cantare, e mi raccomando, "le nostre dame in primo piano!". Sovrano acclamato con tanto di ratifica notarile visibile in led e pixel sui mega schermi della conclusa transizione italiana. Un re rivoluzionario populista e plebiscitario, l'ennesimo scherzetto della storia, che sempre insegna d'altra parte a diffidare degli slogan risonanti nelle piazze: "Fascisti, borghesi, ancora pochi mesi!". Ecco, ci volevano in realtà diversi anni, ma visto dal congresso del Popolo della libertà l'esito, più o meno, è proprio quello lì.

(30 marzo 2009)

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Analisi lucidissima, colta e devastante che non lascia ben sperare per il futuro.