mercoledì 25 marzo 2009

Ritorna la fusione fredda, con tanti proiettili nucleari


E’ una coincidenza, oppure una strategia di comunicazione studiata apposta per dire al mondo: ci siamo ancora? Esattamente venti anni dopo la contestata scoperta della «fusione fredda» da parte di due chimici americani, gli eredi di questa linea di ricerca, riuniti a Salt Lake City, in un simposio dell’American Chemical Society dedicato a «New Energy Technology», sostengono non solo di avere ripetuto con successo gli esperimenti, ma anche di vedere le prove che si tratta di una reazione di fusione nucleare a bassa energia: cioè i neutroni, i piccoli proiettili nucleari che scaturirebbero, abbondanti, dal processo. Non è la prima volta che i fusionisti freddi tentano di tornare alla ribalta con annunci di risultati positivi. Ma poiché la storia della scienza è fatta anche di scoperte che stentano a decollare prima di affermarsi, ci pare corretto dare spazio anche a queste ultime rivendicazioni.

LA STORIA - Sarà utile riassumere come andò vent’anni fa, prima di passare alla cronaca. Il 23 marzo del 1989 due chimici dell'università dell' Utah, Martin Fleischmann e Stanley Pons, decidono di comunicare la loro scoperta in una conferenza stampa, prima di avere pubblicato l’articolo relativo su una rivista scientifica. Attirano subito l’attenzione di tutto il mondo perché, assicurano, si tratta di un fenomeno che promette energia pulita e a basso costo, anche attraverso impianti di piccole dimensioni. In una cella elettrolitica riempita di acqua pesante (con deuterio al posto dell' idrogeno), sostengono i due, basta immergere una barretta di palladio per vedere scaturire un eccesso di energia. Solo la fusione dei nuclei di deuterio penetrati nel reticolo cristallino del palladio, potrebbe spiegare il fenomeno e così si parla di «fusione fredda», per distinguerla da quella ad altissime temperature che viene sperimentata nelle grandi ciambelle magnetiche in alcuni laboratori mondiali della big science. Nelle loro numerose presentazioni in giro per il mondo (noi assistemmo a quelle del Cern di Ginevra e del Centro Majorana di Erice), i due chimici americani non forniscono tutti gli elementi necessari per ripetere l' esperimento e minimizzano le difficoltà di riproducibilità del fenomeno. Inoltre, Fleishmann e Pons scavalcano un loro collega, Steven Jones, che aveva lavorato alla stessa ricerca e con cui avevano concordato una contemporaneità di pubblicazioni. Il mondo scientifico è frastornato, i media sono impazziti. La possibilità di avere a portata di mano la soluzione dei problemi energetici suggerisce attenzione, al di là del comportamento irritante di Fleischmann e Pons. Mentre centinaia di ricercatori si affannano a ripetere gli esperimenti con risultati contraddittori, alcuni scienziati del prestigioso Caltech, l'Istituto di tecnologia della California, organizzano una severa istruttoria scientifica. In appena un mese la sentenza è pronta: il fenomeno non esiste, non è spiegabile, forse è pura illusione. Per altri è addirittura frode scientifica.

CONTRADDIZIONI - Ma nel frattempo altri gruppi di ricerca di provata professionalità, in diverse parti del mondo, fra i quali un gruppo di fisici e chimici dell’Enea guidati dal professor Franco Scaramuzzi, riescono a riprodurre il fenomeno. Il mondo della ricerca si divide così fra scettici e possibilisti. Negli anni successivi, pur essendo accertato che in certe circostanze si arriva alla liberazione di inspiegabili quantità di energia dalla cella elettrolitica, non si arriva a chiarire se si tratta di reazioni chimiche o nucleari. Soprattutto, risultano illusorie le promesse di quanti annunciano la fabbricazione di prototipi sperimentali che possano fornire elettricità e calore sulla base del nuovo fenomeno.

LE NUOVE PROVE - In questi giorni, al congresso di Salt Lake City, l’ultimo atto della tormentata ricerca. Pamela Mosier-Boss, chimica del U.S. Navy' s Space and Naval Warfare Systems Center (SPAWAR) di San Diego, California, annuncia, anche a nome di altri ricercatori, di avere ottenuto per la prima volta la prova che la fusione fredda esiste e che si tratta di un processo nucleare, come proverebbero le abbondanti tracce di neutroni registrate nel corso di vari esperimenti. Questa volta, spiega la ricercatrice, la cella elettrolitica contiene deuterio mescolato a cloruro di palladio e gli elettrodi sono fatti con fili di nikel o di oro. «Oltre ai neutroni, le cui tracce sono state evidenziate da una plastica speciale posta accanto alla cella -spiega la Mosier-Boss-, il fenomeno è accompagnato dall’eccesso di calore, dall’emissione di raggi X e dalla formazione di trizio. Tutti indizi a sostegno dell’avvenuta fusione del deuterio». Dal convegno di Salt Lake City, oltre alla speranza di un rilancio del fenomeno su più solide basi, è venuto però un avvertimento che suona come di rottura rispetto all’avventuroso passato di questa vicenda: non si parli più di fusione fredda, ora il termine giusto è l’impronunciabile LENR, acronimo di Low Energy Nuclear Reactions (reazioni nucleari a bassa energia). Basterà la nuova sigla a garantire un percorso meno accidentato a quanti ancora lavorano a queste ricerche?

Franco Foresta Martin
23 marzo 2009

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