martedì 24 marzo 2009

L'altra velocità



di Riccardo Bocca

Vagoni vecchi. Sovraffollati. Sporchi. E poi ritardi. Convogli e linee soppressi. Disservizi. Così Trenitalia e Regioni condannano all'inferno i due milioni di pendolari Martedì 10 marzo. Alle 4 e 20 di mattina, le porte della stazione di Ragusa sono sbarrate. Impossibile scaldarsi nella sala d'aspetto. Impossibile sedersi. Impossibile accedere alle obliteratrici interne. Impossibile, soprattutto, salire su un treno che da quest'angolo orientale della Sicilia arrivi in tempi accettabili a Trapani, cittadina in linea d'aria a 300 chilometri di distanza. L'unica possibilità, oggi come tutti i giorni, è aspettare al buio che l'autista rumeno Florin avvii il motore del pullmino parcheggiato davanti alla stazione. Sul lato superiore del parabrezza c'è scritto: Servizio sostitutivo Trenitalia. Perché è così, che parte questo viaggio nel medioevo ferroviario: barcollando per un'ora e 22 minuti sul bus tra le buche della statale 115. Fino alla stazione di Gela. Poi toccano 38 minuti di attesa, senza la possibilità di accedere ai bagni (chiusi a tempo indeterminato per garantire "la sicurezza e il decoro della stazione", dice un cartello di Fs). Poi altre tre ore e 57 minuti per salire fino a Palermo. E ancora, dopo un'ora e 12 minuti di attesa, ulteriori due ore e 21 minuti per ridiscendere a Trapani. A questo punto, dopo 440 chilometri di tragitto, si è finalmente arrivati. Alle 13 e 50. Nove ore e mezza dopo la partenza da Ragusa.

Eccola, l'altra Italia dei binari. Non quella ad alta velocità battezzata entusiasticamente dall'amministratore delegato di Fs Mauro Moretti. Niente a che vedere con i Freccia Rossa che in tre ore e mezza collegano Milano a Roma. Qui si parla di trasporto regionale. Di tratte brevi, trascurate da dieci, venti, trent'anni. Di una materia sconcertante ovunque: dalla Sicilia al Piemonte, dal Lazio alla Liguria, dalla Lombardia alla Calabria. Un universo fatto di "scarsa puntualità, frequenti ritardi e soppressioni, carentissima pulizia e scarsa manutenzione", scrive Federconsumatori nel dossier 'Essere pendolari, una scelta difficile'. Un capitolo tanto scivoloso che Vincenzo Soprano, amministratore delegato di Trenitalia (responsabile per Fs del materiale rotabile), mette le mani avanti: "Il nostro impegno, su questo fronte, è massimo. E i risultati iniziano a vedersi, almeno sul fronte dei ritardi e dell'igiene. Ma non c'è dubbio: dobbiamo migliorare. Tantissimo".

Un problema ben chiaro ai due milioni di connazionali che quotidianamente si spostano avanti e indietro in treno per studio o lavoro. Solo lo scorso anno, scrive Federconsumatori, i pendolari hanno accumulato cento ore di ritardo. E il disagio continua con punte imbarazzanti, come quelle registrate lo scorso mese. "Il 2 febbraio", scrive l'agenzia Ansa, "la ferrovia Torino-Milano è nel caos. Alle 5,30 si è guastato il locomotore del treno da Cuneo che ha bloccato la linea per Milano. Così il regionale delle 5,50 da Porta Nuova per Milano è stato fermato, ed è ripartito con oltre 20 minuti di ritardo". Dopodiché "lo stesso treno è stato fermato per far transitare l'Intercity, ma una quarantina di persone furibonde sono balzate sui binari e lo hanno bloccato per salire a bordo".

Un episodio unico, eccezionale? Tutt'altro. Passano 72 ore, e alla stazione di Genova Pegli crolla un cavo della linea ad alta tensione. Negli stessi giorni, sulla tratta Pescara-Roma un treno si blocca sui binari e paralizza la linea per l'intera mattina. Il tutto mentre un Intercity Napoli-Milano si rompe in Lazio, prima di Orte, accumula due ore e mezza di ritardo e rallenta la zona. "L'emergenza è culturale, prima ancora che strutturale", dice l'ingegnere trasportista Andrea Debernardi: "I trasferimenti a corto raggio assorbono il 90 per cento del traffico ferroviario. E in futuro sarà sempre così, con masse di italiani che lasciano le città per trasferirsi in centri satellite. Eppure nessuno affronta questa rivoluzione, scomoda da gestire ma fondamentale da risolvere". Tanto cruciale, sottolinea Debernardi, da incidere sui treni a lunga percorrenza, quelli a prestazioni eccellenti: "Perché attenzione: alta velocità non è il tempo che separa una stazione ferroviaria dall'altra, ma quello che il cittadino impiega da casa alla meta finale".

Un concetto condiviso da Marco Suriani, sindaco di Caluso, comune della provincia torinese con 7 mila 500 abitanti e una folla di pendolari. Alle 6 di mattina, nella stazione del paese, mentre studenti e lavoratori aspettano il primo treno in ritardo, stringe tra le mani due orari ferroviari: quello in vigore dal 14 dicembre 2008 e quello sbiadito del 1962. Un confronto impietoso. "Oggi", mostra Suriani, "si parte da Caluso alle 8,10 del mattino, si cambia treno a Chivasso e si arriva a Torino Porta Nuova alle 9,10. Tempo trascorso, un'ora piena per percorrere soli 43 chilometri. Nel lontano 1962, invece, c'era un treno diretto che fermava a Caluso alle 8,07 e arrivava a Torino in 53 minuti". Peggio ancora, il paragone dopo le 9 di sera. "Nel '62 avevamo un treno che partiva alle 21,32 da Torino Porta Nuova e ci portava a Caluso in 43 minuti. Ora c'è un treno che parte alle 22,50, si ferma a Chivasso e ci costringe a un bus sostitutivo che arriva a Caluso alle 23,45. Tempo di percorrenza, quando tutto va bene, 55 minuti".

Domanda obbligata: perché i treni locali corrono indietro nel tempo? Cos'ha portato l'Italia a questa débâcle generale? "La risposta viene da lontano", dice l'ingegnere Ivan Cicconi, esperto di trasporti e autore di svariati saggi sul sistema ferroviario: "Nel 1991, la politica ha deciso che la nazione doveva essere spaccata in due: da un lato i treni ad alta velocità, con poche e costose linee (vedi tabella qui sopra), dall'altro il trasporto regionale, finito nel dimenticatoio e lasciato senza investimenti". Un quadro già di suo critico, a cui nel 2000 si è aggiunto un nuovo elemento: il passaggio, con la riforma Bassanini, della competenza e delle risorse del trasporto ferroviario locale alle Regioni, le quali versano alle ferrovie i finanziamenti ricevuti dallo Stato. "Un sistema sulla carta efficace", spiega Edoardo Zanchini, responsabile trasporti di Legambiente, "ma nella pratica fonte di continui attriti. Ogni giorno le Regioni contestano a Fs i suoi servizi inadeguati. Ed Fs, in parallelo, lamenta il misero contributo dei governi regionali (vedi tabella nella pagina a sinistra, ndr)". Risultato: in tutte le Regioni è scaduto l'accordo annuale con Fs (il cosiddetto 'contratto di servizio'), "e soltanto in Emilia si è sottoscritto il nuovo patto".

Un clima teso, insomma. Nel quale tutto è possibile: soprattutto il peggio. "In Calabria", scrive in una nota la Fit (Federazione italiana trasporti) Cisl, il livello delle ferrovie è zero. Il dito viene puntato contro la carenza di "collegamenti diretti tra i capoluoghi", contro i tempi di percorrenza "lunghissimi" e la mancanza di un "programma di integrazione tra rotaia e gomma". Ma sono fatti che non stupiscono, purtroppo: è l'agonia del Meridione, il degrado nell'indifferenza assoluta. Come le tre ore e 45 minuti che impiega il treno delle 10,22 da Crotone per coprire i 180 chilometri fino a Cosenza. Più sorprendente, invece, è quello che accade nella moderna Lombardia. E in particolare sulla linea tra Milano e Lecco, dove Marco Molgora, assessore verde all'Ecologia della Provincia di Lecco (nonché membro del Comitato pendolari del meratese), allarga le braccia: "Siamo sfiancati. E anche molto delusi", dice. Sul risvolto della giacca ha spillato un nastrino viola: "Il simbolo della nostra protesta. Dal primo marzo, visto il disastro dei treni, ci rifiutiamo di mostrare gli abbonamenti ai controllori". Strano, verrebbe da obiettare: il 10 settembre 2008, proprio su questa linea, è stato inaugurato il raddoppio dei binari tra Carnate e Airuno. "Ma le cose, malgrado i circa 200 milioni spesi, non sono migliorate. Al contrario", dice Molgora: "Su 20 chilometri della tratta sono stati eliminati gli scambi di connessione tra un binario e l'altro, per cui se un treno si guasta blocca automaticamente i successivi". Quanto alla qualità dei convogli, "sono identici a prima: pochi, sporchi, con le soppressioni che abbondano, i ritardi che si moltiplicano e la gente furiosa".

Può sembrare un'esagerazione, eppure non lo è. I viaggiatori sono umiliati, per questo handicap giornaliero. E reagiscono d'impulso, quando si trovano spalle al muro. Lo si è visto, il 27 febbraio, sul treno che parte da Milano alle 17,50 e in teoria arriva a Lecco alle 18,36. È un venerdì sera e i pendolari sono stanchi, desiderosi di godersi il weekend. Ma tra le fermate di Carnate e Osnago, succede ciò che non dovrebbe succedere: il treno inchioda nella campagna e rimane fermo per un'ora e 20. Senza che nessuno fornisca informazioni. L'amarezza è tanta, tra chi viaggia, come l'abitudine a inconvenienti del genere. Così un gruppetto si fa coraggio: spalanca una porta e si avventura al buio sui binari. "Vergogna...", scuote la testa una signora affondando i tacchi tra i ciottoli: "Come siamo ridotti...". Poi la colonna umana s'incammina lungo la ferrovia fino a Carnate. E sempre a piedi, costeggiando la statale, raggiunge Osnago alle nove di sera.

Ora: di tutto questo si dovrebbe parlare con le istituzioni locali. In particolare con Raffaele Cattaneo (Forza Italia), assessore alle Infrastrutture e alla Mobilità della Lombardia. Tra l'altro, il 13 marzo, il pendolare Francesco Graziano gli ha inviato due fotografie, dove mostra le condizioni vergognose del locale 2627 su cui è salito il giorno stesso a Bergamo ("Da dentro", scrive, "si faticava a distinguere cosa c'era fuori, tanto erano sporchi i vetri!"). L'ufficio stampa di Cattaneo, però, informa che l'assessore preferisce non intervenire. E quindi la parola passa al suo omologo in Lazio, Franco Dalia (Partito democratico), il quale spara a zero: "Inutile mentire", dice, "ogni giorno, sui nostri treni vengono calpestati la dignità dei cittadini e il diritto alla mobilità". In questi anni, aggiunge, il trasporto ferroviario locale "ha toccato abissi inaccettabili. E altrettanto inaccettabile è che i vertici di Fs facciano pesare sui pendolari i debiti accumulati, incassando in parallelo con l'Alta velocità".

"Falso", ribatte Soprano, l'amministratore delegato di Trenitalia: "La verità è che nessuna società per azioni si accollerebbe il trasporto ferroviario locale. Per una semplice ragione: non conviene. Noi incassiamo, tra Regioni e biglietti, solo 11,8 centesimi per passeggero a chilometro; una cifra ridicola, se paragonata ai 21 o 22 centesimi di Francia e Germania. Le Regioni chiedono più qualità? Investano più denaro. E firmino contratti di servizio stabili, da sei anni almeno, per sviluppare insieme un serio piano di investimenti".

Una polemica che non finisce mai. Con gli assessori che definiscono Fs un "monopolista arrogante", e i vertici delle ferrovie che li invitano a fare bandi di gara, e vedere chi si presenta a gestire un affare in perdita. Così il tempo scorre, la tensione aumenta e situazioni come quella del Lazio collassano. Basti pensare che, in questa fetta cruciale d'Italia i chilometri di rete ferroviaria sono 1.100, dei quali il 38 per cento a binario unico. Da parte sua, la Regione fa quello che può: ha avviato, per dire, l'acquisto di sei locomotive e di 30 vetture a doppio piano. Ha previsto tra il 2009 e il 2013 incrementi dei servizi. Ma la parola ottimismo resta tabù. O almeno, è vietato nominarla con l'Associazione pendolari della Valle dell'Aniene, da anni schierata contro le carenze della linea che dai confini abruzzesi scende nella capitale. "Ci riservano un servizio scandaloso", dice alla stazione di Mandela (54 chilometri da Roma) il rappresentante dei viaggiatori Enrico De Smaele. Poi sale sul treno delle 6,29 per Tiburtina e lo spettacolo è indegno. Stipati uno addosso all'altro, i viaggiatori oscillano tra sedili macchiati e poggiatesta divelti, carrozze gelide e bagni inaccessibili. "Guardate!", chiama uno studente. Di fianco a una porta d'uscita c'è un pannello di controllo che dovrebbe essere chiuso. Invece è aperto, accessibile a tutti. "Manometterlo, per un vandalo, sarebbe uno scherzo", dice De Smaele. Più difficile, invece, è arrivare in orario: ogni giorno, giurano i pendolari dell'Aniene. Di sicuro oggi, 26 febbraio, con 24 minuti in più rispetto all'ora e 4 minuti prevista.

Tale è l'umiliazione, per chi viaggia in queste condizioni, che qualcuno a un certo punto si ribella. E si rivolge ai magistrati. Lo ha fatto, in gennaio, l'avvocato Umberto Fantagrossi, legale dell'Associazione pendolari piacentini, al quale il giudice di pace Luigi Cutaia ha dato soddisfazione dopo vent'anni di ritardi tra Piacenza e Milano. La cifra del risarcimento è minima, mille euro, ma il precedente non è piaciuto a Trenitalia (che prepara un ricorso). La sentenza, infatti, specifica che il danno da risarcire non è soltanto legato al diritto alla puntualità, ma anche alla "violazione delle norme che regolano l'erogazione dei servizi pubblici, e soprattutto i diritti fondamentali della persona che ispirano la nostra Costituzione, come il rispetto della personalità e della dignità".

Un successo che ha sollevato i pendolari, ma anche una rivincita che sfuma tra mille criticità. Istruttiva, in questo senso, è l'analisi dell'ingegner Cicconi sul materiale rotabile di Fs dal 2000 al 2007: "Il totale delle carrozze", documenta, "è diminuito in sette anni da 85 mila 889 a 58 mila 098. Le motrici sono scese da 5 mila 272 a 4 mila 823, mentre i chilometri di binari sono saliti da 15 mila 974 a 16 mila 335 (di cui a doppio binario, solo 6 mila 156)". Va da sé, afferma Cicconi, "che in questo crollo a perderci è stato il traffico regionale, al quale le ferrovie hanno riservato un risibile rinnovamento dei treni". E come non bastasse, interviene il trasportista De Bernardi, "ci si è messa l'Alta velocità, che senza nodi ferroviari adeguati (pronti nei prossimi anni, ndr) intasa le stazioni con i treni superveloci. I quali, gioco forza, hanno priorità assoluta".

Anche da qui, prendono spunto le migliaia di proteste che finiscono sui siti e blog ferroviari
(www.ilpendolare.com/dblog), (http://www.ritarditalia.it),(www.libero.it/trenitaliawww.libero.it/trenitalia)(http://www.pendolari.altervista.org/). Molti attaccano l'Alta velocità, "il treno dei ricchi che danneggia i poveri", come ironizza Ilda di Benevento. Altri invece, esclusi dall'asse Roma-Milano-Torino, si sentono trattati da cittadini di serie B. E si sfogano. Scrive l'architetto Matteo R.: "Avete presente la linea Bologna-Porretta Terme? Lo sapete che ogni giorno ci saliamo in 8 mila 500? E che c'è ancora il binario unico come nel 1850, quando l'hanno progettata?". "Nel 1919", continua la descrizione Giovanni Zavorri, del Comitato per la ferrovia porrettana, "la tratta era percorsa con la trazione a vapore in 105 minuti. Poi è arrivata la trazione elettrica e si è scesi a 87. Poi ancora, nel 1958 i minuti sono diventati 75, vent'anni dopo 74 e nel 1993 70. Finché il progresso si è fermato: oggi, sui nostri treni lumaca, sfioriamo gli standard del 1958".

Con simili premesse, per i pendolari, è dura non irritarsi quando Alitalia e Fs si contendono, sulla stampa nazionale, il primato per la tratta Roma-Milano. E altrettanto ostico è sorvolare sull'ultima, incredibile vicenda, che ha per protagonisti Bolzano, i treni locali e i disabili. Da dicembre, infatti, entrerà in vigore il regolamento europeo sul trasporto ferroviario. All'interno si dice che i soggetti con mobilità ridotta hanno lo stesso diritto a circolare degli altri cittadini. Ma a Bolzano non è così: "Nel 2007 Trenitalia ha comunicato che avrebbe realizzato appositi interventi", denuncia Annamaria Molin Ferremi, referente in consiglio comunale per i problemi dei disabili. "Invece non ha fatto nulla". Anzi: "Se prima si saliva in carrozzella su regionali e interregionali, ora il servizio non è più attivo".

Per questo, l'11 marzo, il Centro tutela dei consumatori ha annunciato un esposto in Procura, non fidandosi delle ulteriori promesse di Trenitalia. "Saranno anche sincere", sorride Annamaria Molin, "ma sempre a bassa velocità".


(20 marzo 2009)

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