
di Enzo Puro
Per molti anni ho avuto difficoltà a fare a piedi il percorso che, lungo via Casilina porta da Torpignattara al Pigneto, dove abitavo ed abito. Perché quello era il percorso che, a notte tarda, spesso facevo insieme a Ciro Principessa che, tra una chiacchiera e l’altra, mi accompagnava verso casa al termine di una serata di riunioni politiche, cene da Betto in Certosa o battaglie di gavettoni in piazza dei Savorgnan. E fu così anche una delle sere precedenti a quel terribile giorno. Trent’anni fa. Eravamo ragazzi poco più che ventenni. Ed eravamo una comunità di giovani comunisti che viveva in una più ampia comunità di persone, a Torpignattara, in Certosa, alla Maranella, al Pigneto, dentro la quale ancora non si erano frantumati i rapporti ed i legami sociali. I processi di diffusione dell’egoismo sociale covavano sotto la pelle ma non avevano preso, come sarebbe accaduto a partire dagli anni '80, il sopravvento.
E all’epoca si stava per strada e noi stavamo sulla piazzetta di via dei Savorgnan, insieme a quelli più grandi e si parlava e si ragionava e si raccontava (perché all’epoca c'erano tante cose da raccontare e c’era pure voglia di stare a sentire i racconti). Erano gli anni di piombo, ogni giorno moriva qualcuno. E Ciro lo voglio ricordare quel giorno in quel vagone del treno diretto a Genova, ai funerali dell’operaio comunista Guido Rossa ucciso dalle Brigate Rosse. Ricordo la sua rabbia, non se ne faceva capace. E non posso fare a meno di collegare quel funerale sotto una pioggia inclemente per le strade di Genova con quello che si snodò per le vie di Torpignattara e via Casilina qualche tempo dopo, un corteo partito dalla sezione del Pci intitolata a Nino Franchillucci (oggi circolo del Pd) e dentro cui Berlinguer, con lo sguardo ancora più triste del solito, aveva omaggiato la salma del nostro carissimo amico e compagno.
Ma chi era Ciro? Mi concedete la licenza retorica di poter dire che era un ragazzo che voleva riscattare una vita di minorità sociale e di disagio e che ci stava riuscendo grazie al suo meraviglioso carattere ed alla scoperta della bella politica? Di quel gruppo di amici io ero il solo ad aver avuto l’opportunità di studiare. Ma la cosa straordinaria è che dopo tanti anni molti di questi miei amici si sono iscritti alle superiori e da grandi hanno preso la maturità. Ed è incredibile pensare che Ciro Principessa, un giovane con solo la terza media, sia morto per recuperare un libro che uno sconosciuto fascistello aveva sottratto nella libreria che noi ragazzi avevamo attrezzato nella sezione.
Ciro e la Certosa erano la stessa cosa, e la Certosa era un paese nella città. Erano i tempi in cui le microcittà esistevano per davvero ancora e non solo negli studi propedeutici al Piano Regolatore Generale. Erano i tempi in cui Ciro, Ivano, Paolo, Celeste, Danilo mi raccontavano di quando avevano 13 anni e correvano a trovare il «regista» in una baracchetta della borgata degli angeli a due passi da Villa Certosa. Ed i tempi in cui ancora speravamo ingenuamente in una Italia migliore, criticavamo quell’Italia d’allora ma non sapevamo di quella peggiore che ci sarebbe capitata negli anni a venire. Ed ero solo quella notte in ospedale insieme alla sorella. Ero accanto a lui quando finì di vivere e in quegli ultimi istanti capì che aveva avvertito, mentre lo carezzavo, la mia presenza. Nelle cose che ho fatto in seguito non c’è stato momento in cui non abbia pensato a lui.
18 aprile 2009
E all’epoca si stava per strada e noi stavamo sulla piazzetta di via dei Savorgnan, insieme a quelli più grandi e si parlava e si ragionava e si raccontava (perché all’epoca c'erano tante cose da raccontare e c’era pure voglia di stare a sentire i racconti). Erano gli anni di piombo, ogni giorno moriva qualcuno. E Ciro lo voglio ricordare quel giorno in quel vagone del treno diretto a Genova, ai funerali dell’operaio comunista Guido Rossa ucciso dalle Brigate Rosse. Ricordo la sua rabbia, non se ne faceva capace. E non posso fare a meno di collegare quel funerale sotto una pioggia inclemente per le strade di Genova con quello che si snodò per le vie di Torpignattara e via Casilina qualche tempo dopo, un corteo partito dalla sezione del Pci intitolata a Nino Franchillucci (oggi circolo del Pd) e dentro cui Berlinguer, con lo sguardo ancora più triste del solito, aveva omaggiato la salma del nostro carissimo amico e compagno.
Ma chi era Ciro? Mi concedete la licenza retorica di poter dire che era un ragazzo che voleva riscattare una vita di minorità sociale e di disagio e che ci stava riuscendo grazie al suo meraviglioso carattere ed alla scoperta della bella politica? Di quel gruppo di amici io ero il solo ad aver avuto l’opportunità di studiare. Ma la cosa straordinaria è che dopo tanti anni molti di questi miei amici si sono iscritti alle superiori e da grandi hanno preso la maturità. Ed è incredibile pensare che Ciro Principessa, un giovane con solo la terza media, sia morto per recuperare un libro che uno sconosciuto fascistello aveva sottratto nella libreria che noi ragazzi avevamo attrezzato nella sezione.
Ciro e la Certosa erano la stessa cosa, e la Certosa era un paese nella città. Erano i tempi in cui le microcittà esistevano per davvero ancora e non solo negli studi propedeutici al Piano Regolatore Generale. Erano i tempi in cui Ciro, Ivano, Paolo, Celeste, Danilo mi raccontavano di quando avevano 13 anni e correvano a trovare il «regista» in una baracchetta della borgata degli angeli a due passi da Villa Certosa. Ed i tempi in cui ancora speravamo ingenuamente in una Italia migliore, criticavamo quell’Italia d’allora ma non sapevamo di quella peggiore che ci sarebbe capitata negli anni a venire. Ed ero solo quella notte in ospedale insieme alla sorella. Ero accanto a lui quando finì di vivere e in quegli ultimi istanti capì che aveva avvertito, mentre lo carezzavo, la mia presenza. Nelle cose che ho fatto in seguito non c’è stato momento in cui non abbia pensato a lui.
18 aprile 2009
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Il 1979 fu un anno particolare per la città di Roma. La campagna politico - militare delle Brigate rosse, infatti, culminata con l'uccisione di Aldo Moro, accelerò il processo di disgregazione e di riflusso dei movimenti collettivi protagonisti della stagione del '77.
Se da un lato intorno alla gestione del sequestro si registrò una spaccatura all'interno dei gruppi armati, con l'uscita, ad esempio, dalla colonna romana delle Br di due esponenti di spicco come Valerio Morucci e Adriana Faranda, dall'altro molti gruppi di militanti accentuarono la loro militarizzazione ingrossando le fila del movimento di lotta armata.
Ne scaturì, di conseguenza, un incremento di azioni, in molti casi mortali, ai danni di esponenti delle forze dell'ordine, di avversari politici o attivisti dei partiti politici della maggioranza governativa.
La reazione repressiva delle istituzioni, non di rado punitiva, coinvolgendo l'intero arco dei movimenti collettivi e sociali, privò la società civile di un'importante spazio politico, contribuendo, in questo modo, ad esasperare la dialettica delle armi.
Allo stesso tempo, costantemente sottovalutato, se non tollerato, il terrorismo neofascista, proprio nella città di Roma, riprendeva slancio e guadagnava consensi soprattutto tra la base giovanile del Msi.
Se l'egemonia militare rimaneva appannaggio dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar) guidati da Valerio Fioravanti, sul piano politico emergevano e si consolidavano i movimenti di Terza Posizione e "Costruiamo l'azione". Nonostante le indicazioni teoriche e le elaborazioni culturali espresse da queste formazioni, che miravano ad un'alleanza strategica di tutti i gruppi rivoluzionari in funzione antisistema, le azioni e gli omicidi contro i militanti di sinistra si inasprirono.
La tensione a Roma esplose con forza nei giorni successivi il primo anniversario dell'eccidio di Acca Larentia. Il 9 gennaio, ad esempio, un commando dei Nar assalì la sede dell'emittente Radio Città Futura, in via dei Marsi, nel popolare quartiere di San Lorenzo, lanciando molotov all'interno dei locali e ferendo con un mitra cinque donne che in quel momento stavano affrontando un dibattito alla radio. Nel pomeriggio esplosero due bombe: una all'interno della sezione del Pci di via del Boschetto e l'altra contro l'entrata secondaria della sede del quotidiano «Il Messaggero» in via dei Serviti.
Nella stessa sera un'azione di protesta contro una sezione Dc nel quartiere di Centocelle, effettuata da un gruppetto di neofascisti, finì in tragedia con l'uccisione di un giovane da parte delle forze dell'ordine che avevano aperto il fuoco contro gli assalitori.
Poco più tardi, nel quartiere Talenti, da una macchina in corsa furono sparati colpi di pistola contro un gruppo di ragazzi che sostavano davanti un bar, ritenuto luogo di ritrovo per gli attivisti di destra, che provocarono diversi feriti ed una vittima.
Il 19 aprile 1979 Claudio Minetti, estremista di destra e frequentatore del Msi di via Acca Larentia, entrò nella sede del Partito Comunista di via di Torpignattara, dove all'interno da tempo era stata allestita una piccola biblioteca, per chiedere un libro in prestito. Alla richiesta di esibire un documento di identità Claudio Minetti oppose il suo rifiuto e prese un libro da un tavolo scappando poi per la strada. Inseguito da due iscritti della sezione, il neofascista si voltò di scatto ferendo con un coltello Ciro Principessa, 23 anni, militante del Pci.
Arrestato dalla polizia dentro un bar dove si era rifugiato, Claudio Minetti risultò poi essere afflitto da gravi disturbi mentali. Questi, infatti, era figlio di Leda Pagliuca, a suo tempo convivente di Stefano Delle Chiaie, fanatica neofascista che viveva nel culto di Mussolini obbligando i suoi figli a condividere la sua fede. Per questo motivo, in passato, le autorità giudiziarie le avevano tolto l'affidamento di quattro figlie. Il fratello maggiore di Claudi Minetti, inoltre, si era suicidato due anni prima nel carcere di Regina Coeli mentre era in attesa di testimoniare al processo di Catanzaro per la strage di piazza Fontana. Per questa serie di motivi, la Corte d'Assise del Tribunale di Roma dichiarò non punibile Claudio Minetti perché ritenuto incapace di intendere e di volere e ne dispose il ricovero in un manicomio giudiziario per un periodo non inferiore ai dieci anni.
Ciro Principessa, le cui condizioni non sembrarono all'inizio essere molto gravi, morì in ospedale il 20 aprile.
Lo stesso giorno un ordigno ad alto potenziale scoppiò nella piazza del Campidoglio provocando gravi danni. L'attentato non provocò una strage per una casualità. Un'ora prima che scoppiasse la bomba, infatti, si era appena conclusa la seduta del consiglio comunale, mentre la piazza, solitamente affollata di turisti, era vuota a causa di un temporale. La bomba, composta da quattro chili e mezzo di tritolo e collocata sotto il portale del Palazzo Senatorio, al momento dell'esplosione ne divelse il portale, l'arcata e le colonne di sinistra, danneggiando poi il basamento del monumento equestre a Marco Aurelio.
Tra le tante telefonate che il giorno dopo rivendicarono l'attentato, una fece riferimento all'arresto di Claudio Minetti, il responsabile dell'omicidio di Ciro Principessa.
L'attentato al Campidoglio fu in seguito attribuito alla formazione neofascista "Movimento rivoluzionario popolare" (Mrp), nato dallo scioglimento del gruppo "Costruiamo l'azione". Con la stessa sigla vennero rivendicati un attentato contro il carcere di Regina Coeli il successivo 14 maggio e la mancata strage, per un difetto del timer che doveva innescare la bomba, di piazza Indipendenza, il 20 maggio, in occasione del raduno nazionale degli alpini a Roma.
Sul «Mrp» indagò, inoltre, Mario Amato, il giudice assassinato dai Nar il 23 giugno 1980.
Il Partito comunista organizzò in occasione dei funerali di Ciro Principessa una grande manifestazione. Il 24 aprile, infatti, fu allestita nella sezione del Pci di via Torpignattara una camera ardente, riempita per l'occasione di bandiere e drappi rossi. Nel tardo pomeriggio visitò la salma del ragazzo ucciso il segretario del partito Enrico Berlinguer. Poco più tardi partì dalla sezione un lungo corteo che passò per via Casilina e per via Prenestina fino ad arrivare a Porta Maggiore. Giunta nel quartiere di San Lorenzo la bara fu salutata da centinaia di persone che sui lati della strada cantavano "bandiera rossa". La manifestazione si sciolse poi in piazza del Verano dove fu allestito un palco per un comizio tenuto poco dopo dagli esponenti della Federazione romana del Pci.
Una lapide in via di Torpignattara ricorda oggi l'assassinio di Ciro Principessa.
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