mercoledì 22 aprile 2009

Mercati e trucchi contabili


22/4/2009
ALBERTO BISIN

Molti osservatori economici tirano il fiato in questi giorni: il peggio della crisi finanziaria sembra finito, le maggiori banche americane addirittura segnano profitti per il primo trimestre. Alcuni si estendono fino a prevedere una ripresa economica a partire dall’estate.

In verità previsioni di questo tipo sono statisticamente così imprecise da essere poco più di un esercizio divinatorio. Possiamo però analizzare una delle ragioni principali di tale ottimismo: i risultati positivi delle banche, Citigroup e Bank of America in particolare. Purtroppo, così facendo, ci accorgiamo che i loro risultati trimestrali positivi sono in parte fittizi, dovuti a trucchi contabili.

Le nuove norme istituite dall’istituto preposto alla definizione delle regole contabili delle società (il Financial Accounting Standards Board) hanno permesso alle banche di contabilizzare le attività «tossiche» ancora nei propri bilanci, non al valore di mercato, ma ad un valore che le banche stesse ritengono accurato in presenza di una crisi di liquidità. In sostanza le banche hanno una certa libertà nel sopravvalutare rispetto al mercato le proprie attività.

Un altro trucco contabile permette alle banche di sottovalutare le proprie passività, come il debito obbligazionario. Il valore di mercato delle obbligazioni di una società in crisi, a rischio di fallimento, è basso - proprio perché il mercato attualizza il rischio di fallimento. Permettere alle banche di contabilizzare il proprio debito al valore di mercato, come accade in questi giorni, significa in un certo senso permettere loro di cancellare buona parte dei propri debiti dal bilancio con un tratto di penna. In altre parole, nel caso estremo di una società in fallimento non ci sono debiti, ma questo ovviamente non significa che la società sia in buona salute. Insomma, non è difficile segnare profitti se le regole contabili permettono di sopravvalutare le attività e sottovalutare le passività.

Questi trucchi sono purtroppo parte di una generale tendenza alla mancanza di trasparenza del governo americano in materia finanziaria. Il Tesoro ha infatti direttamente favorito, se non richiesto, l’istituzione di queste nuove norme contabili. Esso sembra inoltre intenzionato addirittura a cambiare le condizioni del proprio intervento nei mercati finanziari, da azioni privilegiate a ordinarie, per manipolare i risultati dello stress test delle banche che esso stesso sta conducendo. La misura del capitale delle banche utilizzata nello stress test infatti include azioni ordinarie ma non azioni privilegiate. Il Tesoro finirà quindi per addossare ai contribuenti un’altra significativa frazione di rischio del sistema finanziario e finirà per sottomettere l’attività delle banche a maggiore controllo politico (le azioni ordinarie, a differenza di quelle privilegiate, hanno diritto di voto). Tutto questo solo per manipolare un indice contabile e controllare l’informazione finanziaria da rendere pubblica?

Questa mancanza di trasparenza è estremamente deleteria per l’andamento dei mercati finanziari. I risparmiatori e gli investitori non hanno modo di distinguere chiaramente le buone notizie dalle cattive. Alcune banche infatti hanno certamente migliorato la propria situazione, ad esempio approfittando della liquidità iniettata dalla Fed nel sistema, ma in queste condizioni è difficile se non impossibile capire quali di esse lo abbiano fatto. La volatilità del mercato riflette anche e soprattutto questa incertezza di fondo.

A questo proposito gravissima è anche la versione italiana dei trucchi contabili americani, insita nelle recenti norme che permettono alle società quotate di riacquistare fino al 20 per cento delle proprie azioni e che esentano dall’Offerta Pubblica di Acquisto l’azionariato di controllo (che passasse dal 30 al 35 per cento). L’unica funzione di queste norme è quella di mantener saldi i gruppi di controllo delle imprese quotate ad azionariato diffuso. In un mercato azionario come quello italiano, già caratterizzato dalla concentrazione del controllo e da un certo sprezzo per gli interessi degli azionisti di minoranza, queste norme vanno nella direzione opposta a quella desiderabile. Tendono infatti ad inibire quello sviluppo e quella competizione nei mercati dei capitali che sono necessari per sostenere una duratura crescita dell’economia italiana una volta che quella mondiale sia ripartita.

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