GIORGIO BOCCA
L'abbandono forzato del gigantismo, malattia perenne del capitalismo, avrà l'esito sociale noto: ceto medio punito, capitalisti in fuga col bottino e il rombo di nuove voglie rivoluzionarie
Obama è una brava persona, uno che sta dalla parte degli onesti, ma è il presidente degli Stati Uniti, il più grande Stato capitalistico del mondo, e bon gré mal gré dovrà pure risolvere la grande crisi finanziaria ed economica in cui versa il mondo.
Come farà? Farà come tutti i capi di Stato che lo hanno preceduto: toserà le monete d'oro, stamperà miliardi di dollari e magari seguirà i consigli un po' truffaldini dei nuovi Casanova, inventerà qualche lotteria o qualcosa di simile per far soldi, si farà consigliare da finanzieri esperti, gli stessi che insegnano l'arte capitalistica di fare soldi. Ai miei tempi il principe degli esperti era il professor Bruno Visentini, il più abile dei consiglieri fiscali e al tempo stesso dirigente industriale venerato dalla nascente specie dei manager.
Negli anni Sessanta ne conobbi parecchi a Courmayeur, la stazione alpina dove si davano il cambio gli antifascisti perseguitati e i capitalisti al potere, e la prima cosa che notai fu questa: i manager godevano di una straordinaria facoltà di cadere sempre in piedi, licenziati da un'azienda con congrua liquidazione ne trovavano subito un'altra con stipendi e poteri aumentati, quale che fosse stato l'esito della loro gestione.
Un'altra prerogativa della corporazione era l'impunità. In carcere per bancarotta e frode andavano solo e raramente i loro contabili, anche se tutti citavano i tristi casi dei loro colleghi americani o inglesi finiti in qualche penitenziario. L'economista Giulio Sapelli sostiene che i manager hanno fatto un vero colpo di Stato decidendo di comune accordo di darsi delle retribuzioni sempre più grandi, addirittura stratosferiche, centinaia di volte quelle di un comune operaio e impiegato con le stock option, delle vere e proprie truffe ai danni degli azionisti, con la scusa che avevano creato del valore aggiunto che andava premiato, come se il valore aggiunto di un'azienda non fosse dovuto a tutti coloro che ci lavorano.
Come farà il bravo Obama a tirar fuori gli Stati Uniti e il mondo dalla crisi che ci attanaglia? Con tutte le sapienti manovre di cui parlano i mezzi d'informazione, ma soprattutto con l'antico, insostituibile metodo della tosatura dell'oro, con il conio di nuova moneta, con la svalutazione e con la sua inevitabile conseguenza sociale: la punizione del ceto medio, la sua riduzione forzata a una ristrettezza proletaria.
Tutto avviene secondo i tempi e i modi canonici: nessuno sa spiegare il mistero della grande crisi senza fine dell'industria automobilistica americana e mondiale. Che c'è di misterioso in questa crisi? Niente. Tutti sanno che essa è dovuta a crescite incontrollate: automobili sempre più grandi e più care e richieste salariali sempre più alte, in una parola il gigantismo, malattia perenne del capitalismo, la cui cura principale un tempo consisteva nei grandi salassi economici e di vite umane che erano le guerre.
E quali sono oggi le cure che Obama e gli altri governanti ci propongono e c'impongono? L'uscita forzata dal gigantismo, automobili più economiche e salari meno alti, con l'esito sociale noto: ceto medio punito e retrocesso, capitalisti in fuga con il bottino e un rombo, per ora soffocato, di nuove voglie rivoluzionarie, come alla City londinese.
(30 aprile 2009)
Obama è una brava persona, uno che sta dalla parte degli onesti, ma è il presidente degli Stati Uniti, il più grande Stato capitalistico del mondo, e bon gré mal gré dovrà pure risolvere la grande crisi finanziaria ed economica in cui versa il mondo.
Come farà? Farà come tutti i capi di Stato che lo hanno preceduto: toserà le monete d'oro, stamperà miliardi di dollari e magari seguirà i consigli un po' truffaldini dei nuovi Casanova, inventerà qualche lotteria o qualcosa di simile per far soldi, si farà consigliare da finanzieri esperti, gli stessi che insegnano l'arte capitalistica di fare soldi. Ai miei tempi il principe degli esperti era il professor Bruno Visentini, il più abile dei consiglieri fiscali e al tempo stesso dirigente industriale venerato dalla nascente specie dei manager.
Negli anni Sessanta ne conobbi parecchi a Courmayeur, la stazione alpina dove si davano il cambio gli antifascisti perseguitati e i capitalisti al potere, e la prima cosa che notai fu questa: i manager godevano di una straordinaria facoltà di cadere sempre in piedi, licenziati da un'azienda con congrua liquidazione ne trovavano subito un'altra con stipendi e poteri aumentati, quale che fosse stato l'esito della loro gestione.
Un'altra prerogativa della corporazione era l'impunità. In carcere per bancarotta e frode andavano solo e raramente i loro contabili, anche se tutti citavano i tristi casi dei loro colleghi americani o inglesi finiti in qualche penitenziario. L'economista Giulio Sapelli sostiene che i manager hanno fatto un vero colpo di Stato decidendo di comune accordo di darsi delle retribuzioni sempre più grandi, addirittura stratosferiche, centinaia di volte quelle di un comune operaio e impiegato con le stock option, delle vere e proprie truffe ai danni degli azionisti, con la scusa che avevano creato del valore aggiunto che andava premiato, come se il valore aggiunto di un'azienda non fosse dovuto a tutti coloro che ci lavorano.
Come farà il bravo Obama a tirar fuori gli Stati Uniti e il mondo dalla crisi che ci attanaglia? Con tutte le sapienti manovre di cui parlano i mezzi d'informazione, ma soprattutto con l'antico, insostituibile metodo della tosatura dell'oro, con il conio di nuova moneta, con la svalutazione e con la sua inevitabile conseguenza sociale: la punizione del ceto medio, la sua riduzione forzata a una ristrettezza proletaria.
Tutto avviene secondo i tempi e i modi canonici: nessuno sa spiegare il mistero della grande crisi senza fine dell'industria automobilistica americana e mondiale. Che c'è di misterioso in questa crisi? Niente. Tutti sanno che essa è dovuta a crescite incontrollate: automobili sempre più grandi e più care e richieste salariali sempre più alte, in una parola il gigantismo, malattia perenne del capitalismo, la cui cura principale un tempo consisteva nei grandi salassi economici e di vite umane che erano le guerre.
E quali sono oggi le cure che Obama e gli altri governanti ci propongono e c'impongono? L'uscita forzata dal gigantismo, automobili più economiche e salari meno alti, con l'esito sociale noto: ceto medio punito e retrocesso, capitalisti in fuga con il bottino e un rombo, per ora soffocato, di nuove voglie rivoluzionarie, come alla City londinese.
(30 aprile 2009)
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