Alessandro Bottoni
È possibile subire una diffamazione o un'ingiuria via Internet? La l. 547/93, che ha introdotto nel nostro ordinamento una serie di nuove ipotesi di reato classificate genericamente come "crimini informatici", non ha però nulla aggiunto in ordine alla possibilità di configurare anche il reato di ingiuria o diffamazione perpetuato attraverso le reti informatiche o telematiche.
Non è difficile sostenere, tuttavia, che le fattispecie di reato di cui agli artt. 594 (ingiuria) e 595 (diffamazione) del codice penale, sono sufficientemente generiche da ricomprendere anche tutti quei comportamenti offensivi che si compiono attraverso le reti informatiche e le moderne tecniche di comunicazione in generale (SMS, Chat, Newsletter etc.).
La stessa Corte di Cassazione, in una recente pronuncia, avalla tale posizione, affermando che è addirittura intuitivo che "i reati previsti dagli articoli 594 e 595 c.p. possano essere commessi anche per via telematica o informatica; basterebbe pensare alla cosiddetta trasmissione via e-mail, per rendersi conto che è certamente possibile che un agente, inviando a più persone messaggi atti ad offendere un soggetto, realizzi la condotta tipica del delitto di ingiuria (se il destinatario è lo stesso soggetto offeso) o di diffamazione (se i destinatari sono persone diverse)" (cass. sez. V penale, 27.12.2000, n. 4741).
La Corte afferma, in particolare, che il reato di diffamazione si perfeziona nel momento in cui il messaggio viene percepito da parte di soggetti che siano terzi rispetto all’agente ed alla persona offesa. Non è infatti necessaria la contestualità tra l’offesa e la sua percezione "ben potendo i destinatari trovarsi persino a grande distanza gli uni dagli altri, ovvero dall’agente".
Da quanto ora affermato, può ricavarsi con certezza che la diffamazione e l'ingiuria, oltre che per il mezzo dell'e-mail, possono realizzarsi anche attraverso tutti i diversi servizi della rete: le mailing list, le riviste telematiche, le newsgroup, le pagine Web e le chat.
Fonte:
Non è difficile sostenere, tuttavia, che le fattispecie di reato di cui agli artt. 594 (ingiuria) e 595 (diffamazione) del codice penale, sono sufficientemente generiche da ricomprendere anche tutti quei comportamenti offensivi che si compiono attraverso le reti informatiche e le moderne tecniche di comunicazione in generale (SMS, Chat, Newsletter etc.).
La stessa Corte di Cassazione, in una recente pronuncia, avalla tale posizione, affermando che è addirittura intuitivo che "i reati previsti dagli articoli 594 e 595 c.p. possano essere commessi anche per via telematica o informatica; basterebbe pensare alla cosiddetta trasmissione via e-mail, per rendersi conto che è certamente possibile che un agente, inviando a più persone messaggi atti ad offendere un soggetto, realizzi la condotta tipica del delitto di ingiuria (se il destinatario è lo stesso soggetto offeso) o di diffamazione (se i destinatari sono persone diverse)" (cass. sez. V penale, 27.12.2000, n. 4741).
La Corte afferma, in particolare, che il reato di diffamazione si perfeziona nel momento in cui il messaggio viene percepito da parte di soggetti che siano terzi rispetto all’agente ed alla persona offesa. Non è infatti necessaria la contestualità tra l’offesa e la sua percezione "ben potendo i destinatari trovarsi persino a grande distanza gli uni dagli altri, ovvero dall’agente".
Da quanto ora affermato, può ricavarsi con certezza che la diffamazione e l'ingiuria, oltre che per il mezzo dell'e-mail, possono realizzarsi anche attraverso tutti i diversi servizi della rete: le mailing list, le riviste telematiche, le newsgroup, le pagine Web e le chat.
Fonte:
Il punto di partenza: l'Art. 21 della Costituzione
In Italia, come in molti altri paesi del mondo, non è per niente facile “tappare la bocca” ad un commentatore scomodo adducendo alle vie legali. Non solo: è molto difficile anche ottenere una condanna per diffamazione od un risarcimento danni a carico dell'autore del pezzo incriminato. La libertà di espressione di ogni individuo (anche chi non è un cittadino italiano), infatti, è tutelata niente meno che da un apposito articolo della Costituzione della Repubblica Italiana, l'oramai famosissimo Articolo 21. Ecco cosa dice:
Art. 21.
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili.In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo d'ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.
[Dal testo della Costituzione presente sul sito della Corte Costituzionale]
Nonostante i molti cavilli ed i molti distinguo, la Costituzione protegge in modo molto chiaro e molto deciso il diritto che ognuno di noi ha di esprimere le proprie opinioni con qualunque mezzo, inclusa la stampa (cartacea e digitale). Per oscurare un sito web devono quindi essere dimostrate le sue potenzialità di agire come strumento di supporto ad un crimine o la sua pericolosità sociale. Questo si può verificare, ad esempio, quando un sito web viene usato per vendere droga (è già successo...) o per aizzare un gruppo di teste calde all'azione violenta (succede continuamente...).
La stragrande maggioranza dei siti web di opinione (“blog”) non vendono droga, non trafficano con immagini pornografiche infantili e non aizzano nessuno alla violenza. Far chiudere un sito di questo tipo, o sbattere in galera il suo autore per diffamazione, è veramente molto difficile.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili.In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo d'ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.
[Dal testo della Costituzione presente sul sito della Corte Costituzionale]
Nonostante i molti cavilli ed i molti distinguo, la Costituzione protegge in modo molto chiaro e molto deciso il diritto che ognuno di noi ha di esprimere le proprie opinioni con qualunque mezzo, inclusa la stampa (cartacea e digitale). Per oscurare un sito web devono quindi essere dimostrate le sue potenzialità di agire come strumento di supporto ad un crimine o la sua pericolosità sociale. Questo si può verificare, ad esempio, quando un sito web viene usato per vendere droga (è già successo...) o per aizzare un gruppo di teste calde all'azione violenta (succede continuamente...).
La stragrande maggioranza dei siti web di opinione (“blog”) non vendono droga, non trafficano con immagini pornografiche infantili e non aizzano nessuno alla violenza. Far chiudere un sito di questo tipo, o sbattere in galera il suo autore per diffamazione, è veramente molto difficile.
Siti web e testate giornalistiche
In Italia esiste una differenza legale molto profonda tra un blog ed un giornale online come Punto Informatico o Repubblica Online: i blog sono semplici siti web personali, privi di qualunque identità giuridica, i giornali online sono “testate giornalistiche” e come tali devono essere “registrate” presso il Tribunale di competenza. L'iscrizione al registro delle testate giornalistiche comporta una lunga serie di obblighi, di cui il più importante è che deve esistere un direttore responsabile che, come dice il nome, è responsabile della correttezza legale dei contenuti del giornale. Il direttore responsabile deve essere un giornalista iscritto all'albo e questo vuol dire che, quasi sempre, questa persona potrà percepire un balzello dall'editore per apporre la sua firma senza mai farsi vedere in redazione. Il suo unico ruolo è quello di “testa di legno” in caso di problemi legali.
Per fortuna, sembra che soltanto le testate giornalistiche che vogliono ottenere finanziamenti dallo Stato (non da enti privati) debbano sottostare a questa regola. I blog, non essendo “aziende” a scopo di lucro, solitamente sono esentati da questa norma.
Per fortuna, sembra che soltanto le testate giornalistiche che vogliono ottenere finanziamenti dallo Stato (non da enti privati) debbano sottostare a questa regola. I blog, non essendo “aziende” a scopo di lucro, solitamente sono esentati da questa norma.
Il reato di diffamazione
I reati che si possono compiere a mezzo stampa, tuttavia, non dipendono dal fatto che il sito web sia registrato come testata giornalistica o meno. Se si “sputtana” qualcuno su un giornale, in televisione, in radio o su un sito web, si compie un reato di diffamazione in ogni caso, indipendentemente dal fatto che a compierlo sia un professionista dell'informazione (un giornalista) che opera su una testata registrata o un semplice blogger che pubblica su wordpress.com. E per diffamazione si può davvero finire in galera.
Il reato di Diffamazione è definito dall'articolo 595 del Codice Penale:
Il reato di Diffamazione è definito dall'articolo 595 del Codice Penale:
Art. 595 - Diffamazione -
Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire due milioni.
Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a lire quattro milioni.
Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a lire un milione.
Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.
[Dal sito StudioCataldi.it che contiene una eccellente versione HTML del Codice Penale]
La definizione di ”reputazione” e di “diffamazioni” sono molto vaghe e portano purtroppo ad una tagliente “sottigliezza” di questo articolo di legge. In particolare, si deve tenere presente che si potrebbe commettere un reato (penale) di diffamazione anche pubblicando informazioni sicuramente vere e sicuramente già note al pubblico.
L'aspetto più importante da sottolineare in materia di diffamazione è che, salvo casi estremamente particolari, il colpevole del reato non è ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa. Ciò significa che non vale ad escludere il reato in questione la circostanza che il fatto offensivo sia vero o già noto per altra via.
[Da “Reputazione artistica e diffamazione a mezzo stampa – Parte 1” a Dirittosuweb.com]
Questo, ovviamente, non è sempre vero. La tradizione giurisprudenziale, nel corso degli anni, ha stabilito una serie di “linee guida” utili per capire quando si è in presenza di un reato di diffamazione e quando si è di fronte al semplice esercizio del diritto di cronaca.
Entrando nello specifico di tali limiti, la giurisprudenza ha affermato che, in tema di diffamazione a mezzo stampa, il diritto di cronaca può essere esercitato (quando possa derivarne la lesione all'altrui reputazione, prestigio o decoro) soltanto qualora vengano dal cronista rispettate le seguenti condizioni:
a) che la notizia pubblicata sia vera (con l'obbligo del giornalista di accertare la verità della notizia e di controllare la attendibilità della fonte. Il giornalista quindi non può fidarsi di notizie rese pubbliche da altre fonti informative tipo altri giornali o agenzie, ma deve verificare personalmente e direttamente);
b) che esista un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti riferiti in relazione alla loro attualità ed utilità sociale secondo il principio della pertinenza;
c) che l'informazione venga mantenuta nei giusti limiti della più serena obbiettività;
d) che l'esposizione sia corretta, in modo che siano evitate gratuite aggressioni all'altrui reputazione, secondo il principio della continenza, anche con riferimento alle modalità espressive e al tenore sintattico.
Il principio fondamentale messo a punto dalla Corte di Cassazione è dunque quello che il diritto di cronaca non esime di per sé dal rispetto dell'altrui reputazione e riservatezza, ma giustifica intromissioni (anche lesive) nella sfera privata dei cittadini solo quando esse possano contribuire alla formazione di una pubblica opinione su fatti oggettivamente rilevanti per la collettività.
Solo se sussistono gli elementi di cui sopra (verità dei fatti, interesse pubblico prevalente, correttezza e continenza della forma espositiva) il diritto di cronaca è correttamente esercitato ed il giornalista che offende la reputazione altrui non è punibile per il reato di diffamazione.
[Da “Reputazione artistica e diffamazione a mezzo stampa – Parte 1” a Dirittosuweb.com]
In buona sostanza, quando si pubblica un articolo è buona norma attenersi a queste regole:
1. Raccontare solo cose di cui si è assolutamente certi, se possibile riportando le fonti (in modo da spegnere sul nascere i bollori della persona “offesa”)
2. Raccontare solo cose rilevanti ai fini della discussione (niente gossip gratuito)
3. Mantenere un tono rispettoso, anche se caustico (non è difficile come sembra...)
Bisogna tenere presente il fatto che si può commettere un reato di diffamazione anche usando immagini fisse (fotografie), filmati o registrazioni audio. Per questo molti politici si danno al loro sport preferito (la caccia a cavallo al dissenziente) appena vedono una foto, un videogame od un filmato che li ritrae in veste satirica. In questo casi, si aggiunge anche il reato di violazione del diritto di immagine.
Come avrete capito, i comici, in Italia, camminano abitualmente sul filo del rasoio.
Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a lire quattro milioni.
Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a lire un milione.
Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.
[Dal sito StudioCataldi.it che contiene una eccellente versione HTML del Codice Penale]
La definizione di ”reputazione” e di “diffamazioni” sono molto vaghe e portano purtroppo ad una tagliente “sottigliezza” di questo articolo di legge. In particolare, si deve tenere presente che si potrebbe commettere un reato (penale) di diffamazione anche pubblicando informazioni sicuramente vere e sicuramente già note al pubblico.
L'aspetto più importante da sottolineare in materia di diffamazione è che, salvo casi estremamente particolari, il colpevole del reato non è ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa. Ciò significa che non vale ad escludere il reato in questione la circostanza che il fatto offensivo sia vero o già noto per altra via.
[Da “Reputazione artistica e diffamazione a mezzo stampa – Parte 1” a Dirittosuweb.com]
Questo, ovviamente, non è sempre vero. La tradizione giurisprudenziale, nel corso degli anni, ha stabilito una serie di “linee guida” utili per capire quando si è in presenza di un reato di diffamazione e quando si è di fronte al semplice esercizio del diritto di cronaca.
Entrando nello specifico di tali limiti, la giurisprudenza ha affermato che, in tema di diffamazione a mezzo stampa, il diritto di cronaca può essere esercitato (quando possa derivarne la lesione all'altrui reputazione, prestigio o decoro) soltanto qualora vengano dal cronista rispettate le seguenti condizioni:
a) che la notizia pubblicata sia vera (con l'obbligo del giornalista di accertare la verità della notizia e di controllare la attendibilità della fonte. Il giornalista quindi non può fidarsi di notizie rese pubbliche da altre fonti informative tipo altri giornali o agenzie, ma deve verificare personalmente e direttamente);
b) che esista un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti riferiti in relazione alla loro attualità ed utilità sociale secondo il principio della pertinenza;
c) che l'informazione venga mantenuta nei giusti limiti della più serena obbiettività;
d) che l'esposizione sia corretta, in modo che siano evitate gratuite aggressioni all'altrui reputazione, secondo il principio della continenza, anche con riferimento alle modalità espressive e al tenore sintattico.
Il principio fondamentale messo a punto dalla Corte di Cassazione è dunque quello che il diritto di cronaca non esime di per sé dal rispetto dell'altrui reputazione e riservatezza, ma giustifica intromissioni (anche lesive) nella sfera privata dei cittadini solo quando esse possano contribuire alla formazione di una pubblica opinione su fatti oggettivamente rilevanti per la collettività.
Solo se sussistono gli elementi di cui sopra (verità dei fatti, interesse pubblico prevalente, correttezza e continenza della forma espositiva) il diritto di cronaca è correttamente esercitato ed il giornalista che offende la reputazione altrui non è punibile per il reato di diffamazione.
[Da “Reputazione artistica e diffamazione a mezzo stampa – Parte 1” a Dirittosuweb.com]
In buona sostanza, quando si pubblica un articolo è buona norma attenersi a queste regole:
1. Raccontare solo cose di cui si è assolutamente certi, se possibile riportando le fonti (in modo da spegnere sul nascere i bollori della persona “offesa”)
2. Raccontare solo cose rilevanti ai fini della discussione (niente gossip gratuito)
3. Mantenere un tono rispettoso, anche se caustico (non è difficile come sembra...)
Bisogna tenere presente il fatto che si può commettere un reato di diffamazione anche usando immagini fisse (fotografie), filmati o registrazioni audio. Per questo molti politici si danno al loro sport preferito (la caccia a cavallo al dissenziente) appena vedono una foto, un videogame od un filmato che li ritrae in veste satirica. In questo casi, si aggiunge anche il reato di violazione del diritto di immagine.
Come avrete capito, i comici, in Italia, camminano abitualmente sul filo del rasoio.
La violazione della privacy e della corrispondenza
Ovviamente, pubblicare informazioni personali senza l'esplicito consenso dell'interessato è illegale. Non si possono pubblicare, o rendere noti in altro modo, i numeri di telefono, l'indirizzo ed altre informazioni personali di altre persone senza il loro esplicito consenso.
Questo discorso vale anche per il contenuto dei messaggi di posta elettronica (e della posta tradizionale). Salvo rari casi, è illegale pubblicare il contenuto dei messaggi ricevuti, soprattutto se si pubblicano anche il nome ed il cognome del mittente. La riservatezza della posta, infatti, è protetta niente meno che da un articolo della Costituzione:
Questo discorso vale anche per il contenuto dei messaggi di posta elettronica (e della posta tradizionale). Salvo rari casi, è illegale pubblicare il contenuto dei messaggi ricevuti, soprattutto se si pubblicano anche il nome ed il cognome del mittente. La riservatezza della posta, infatti, è protetta niente meno che da un articolo della Costituzione:
Art. 15.
La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili.
La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge.
[Dal testo della Costituzione presente sul sito della Corte Costituzionale]
Esistono due eccezioni importanti a questa regola: i commenti pubblicati sui siti web e nei web forum e, in modo più sottile, i messaggi di posta spediti alle mailing list che vengono “archiviati” e pubblicati su un sistema di webmail automatico (chiunque usi mailman o majordomo ha già capito di cosa parlo). Dato che l'autore è, per ragioni tecniche, al corrente del fatto che i suoi messaggi verranno comunque resi pubblici, si può supporre che abbia dato una sua autorizzazione implicita alla diffusione di questi materiali. Anche in questo caso, tuttavia, stiamo parlando soltanto di una delle molte, possibili, interpretazioni della legge. Se (ri)pubblicate su un sito web un messaggio che era stato originariamente spedito ad una mailing list riservata ai soli membri, senza l'autorizzazione dell'autore, un giudice potrebbe comunque ritenervi responsabili di una violazione della corrispondenza (che è un reato penale, per cui si può finire in galera). Meglio quindi pubblicare solo il testo per il quale si riesce ad ottenere una esplicita autorizzazione da parte dell'autore o testo che era già pubblico al momento del vostro arrivo (sempre rispettando il copyright, ovviamente).
La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge.
[Dal testo della Costituzione presente sul sito della Corte Costituzionale]
Esistono due eccezioni importanti a questa regola: i commenti pubblicati sui siti web e nei web forum e, in modo più sottile, i messaggi di posta spediti alle mailing list che vengono “archiviati” e pubblicati su un sistema di webmail automatico (chiunque usi mailman o majordomo ha già capito di cosa parlo). Dato che l'autore è, per ragioni tecniche, al corrente del fatto che i suoi messaggi verranno comunque resi pubblici, si può supporre che abbia dato una sua autorizzazione implicita alla diffusione di questi materiali. Anche in questo caso, tuttavia, stiamo parlando soltanto di una delle molte, possibili, interpretazioni della legge. Se (ri)pubblicate su un sito web un messaggio che era stato originariamente spedito ad una mailing list riservata ai soli membri, senza l'autorizzazione dell'autore, un giudice potrebbe comunque ritenervi responsabili di una violazione della corrispondenza (che è un reato penale, per cui si può finire in galera). Meglio quindi pubblicare solo il testo per il quale si riesce ad ottenere una esplicita autorizzazione da parte dell'autore o testo che era già pubblico al momento del vostro arrivo (sempre rispettando il copyright, ovviamente).
Volgarità, offese e insulti
Bisogna anche tenere presente il fatto che si possono commettere anche molti reati diversi dalla diffamazione, alcuni relativi al rapporto con una specifica persona, altri commessi nei confronti dell'intera comunità.
Tra i reati del primo tipo, ci sono i reati di ingiuria e calunnia:
Commette il reato di ingiuria (art. 594 c.p.) chi offende l'onore o il decoro di una persona presente, ed è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a € 516,46.
Commette invece il reato di diffamazione (art. 595 c.p.) chi offende l'altrui reputazione in assenza della parsona offesa. In questo caso la pena è della reclusione fino ad un anno e della multa fino a € 1032,91.
Dall'ingiuria e dalla diffamazione deve distinguersi il reato di calunnia (art. 368 c.p.) che si ha quando taluno, con denunzia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all'Autorità giudiziaria o ad altra Autorità che abbia l'obbligo di riferire all'Autorità giudiziaria, incolpa di un reato una persona che egli sa essere innocente, oppure simula a carico di una persona le tracce di un reato. Per il reato di calunnia la pena è della reclusione da due a sei anni, salvo i casi di aggravante.
[Dal sito StudioLegale-Online.net]
In altri termini, quando si pubblica un articolo è necessario assicurarsi di riferire solo cose assolutamente vere e dimostrabili, soprattutto se riguardano un episodio particolare.
Inoltre, va ricordato questo “cavillo” dell'articolo 21 della Costituzione:
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.
[Dal testo della Costituzione presente sul sito della Corte Costituzionale]
In questo caso la “persona offesa” è l'intera comunità o, più esattamente, l'immagine della comunità che risiede nella testa del Legislatore (il Parlamento). In ogni caso, pubblicare bestemmie, fotomontaggi offensivi ed altre “goliardate” su un sito web (o su un giornale) può essere legalmente pericoloso, oltre che francamente stupido. La tradizione giurisprudenziale italiana degli ultimi decenni è abbastanza tollerante su questo punto ma è meglio non dimenticare che questo articolo della Costituzione esiste ed è supportato da molti altri articoli dei Codici Civile e Penale.
Tra i reati del primo tipo, ci sono i reati di ingiuria e calunnia:
Commette il reato di ingiuria (art. 594 c.p.) chi offende l'onore o il decoro di una persona presente, ed è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a € 516,46.
Commette invece il reato di diffamazione (art. 595 c.p.) chi offende l'altrui reputazione in assenza della parsona offesa. In questo caso la pena è della reclusione fino ad un anno e della multa fino a € 1032,91.
Dall'ingiuria e dalla diffamazione deve distinguersi il reato di calunnia (art. 368 c.p.) che si ha quando taluno, con denunzia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all'Autorità giudiziaria o ad altra Autorità che abbia l'obbligo di riferire all'Autorità giudiziaria, incolpa di un reato una persona che egli sa essere innocente, oppure simula a carico di una persona le tracce di un reato. Per il reato di calunnia la pena è della reclusione da due a sei anni, salvo i casi di aggravante.
[Dal sito StudioLegale-Online.net]
In altri termini, quando si pubblica un articolo è necessario assicurarsi di riferire solo cose assolutamente vere e dimostrabili, soprattutto se riguardano un episodio particolare.
Inoltre, va ricordato questo “cavillo” dell'articolo 21 della Costituzione:
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.
[Dal testo della Costituzione presente sul sito della Corte Costituzionale]
In questo caso la “persona offesa” è l'intera comunità o, più esattamente, l'immagine della comunità che risiede nella testa del Legislatore (il Parlamento). In ogni caso, pubblicare bestemmie, fotomontaggi offensivi ed altre “goliardate” su un sito web (o su un giornale) può essere legalmente pericoloso, oltre che francamente stupido. La tradizione giurisprudenziale italiana degli ultimi decenni è abbastanza tollerante su questo punto ma è meglio non dimenticare che questo articolo della Costituzione esiste ed è supportato da molti altri articoli dei Codici Civile e Penale.
Il rispetto del copyright
Infine c'è il discorso del copyright. Si tratta di un discorso complesso ed in continua evoluzione. L'unica certezza è che il cambiamento avviene sempre in peggio, ciò nella direzione di restrizioni sempre più severe. Ormai si fa molto prima a raccontare il poco che si può ancora fare che a spiegare il moltissimo che non si può più fare. In buona sostanza, su un sito web si possono riutilizzare materiali provenienti da altre fonti se esiste almeno una delle seguenti condizioni.
1. Si è ottenuta l'esplicita autorizzazione da parte del titolare dei diritti, gratis od a fronte di una compenso economico. Si noti che il titolare dei diritti potrebbe non essere più l'autore. I diritti di sfruttamento commerciale di un'opera, infatti, possono essere venduti.
2. Esiste una licenza che permette esplicitamente di farlo (Creative Commons, CopyZero o GFDL).
3. I diritti sull'opera sono scaduti (70 anni dalla morte dell'autore)
4. L'opera è una vostra creazione originale di cui detenete i diritti.
5. Fate uso di una breve citazione (notare il “breve”) di un'opera altrui per soddisfare il vostro legittimo diritto di cronaca (che tutti i cittadini possono esercitare, nel momento in cui pubblicano qualcosa, non solo i giornalisti). Il “breve” significa che potete pubblicare solo ciò che è indispensabile allo scopo specifico del vostro documento.
Queste norme si applicano a qualunque tipo di contenuto: testi, musica, film, animazioni e via dicendo.
In questo preciso momento, credo che nessuno, nemmeno la Corte Costituzionale, sia in grado di dire con sicurezza se sia legittimo pubblicare una foto della Torre di Pisa o del Colosseo senza l'autorizzazione di qualcuno. Questo è il perverso effetto della famigerata denuncia del Polo Museale Fiorentino ai danni di Wikipedia. Il “fair use” ed il “diritto di panorama” non sono mai stati in una situazione confusa come ora.
1. Si è ottenuta l'esplicita autorizzazione da parte del titolare dei diritti, gratis od a fronte di una compenso economico. Si noti che il titolare dei diritti potrebbe non essere più l'autore. I diritti di sfruttamento commerciale di un'opera, infatti, possono essere venduti.
2. Esiste una licenza che permette esplicitamente di farlo (Creative Commons, CopyZero o GFDL).
3. I diritti sull'opera sono scaduti (70 anni dalla morte dell'autore)
4. L'opera è una vostra creazione originale di cui detenete i diritti.
5. Fate uso di una breve citazione (notare il “breve”) di un'opera altrui per soddisfare il vostro legittimo diritto di cronaca (che tutti i cittadini possono esercitare, nel momento in cui pubblicano qualcosa, non solo i giornalisti). Il “breve” significa che potete pubblicare solo ciò che è indispensabile allo scopo specifico del vostro documento.
Queste norme si applicano a qualunque tipo di contenuto: testi, musica, film, animazioni e via dicendo.
In questo preciso momento, credo che nessuno, nemmeno la Corte Costituzionale, sia in grado di dire con sicurezza se sia legittimo pubblicare una foto della Torre di Pisa o del Colosseo senza l'autorizzazione di qualcuno. Questo è il perverso effetto della famigerata denuncia del Polo Museale Fiorentino ai danni di Wikipedia. Il “fair use” ed il “diritto di panorama” non sono mai stati in una situazione confusa come ora.
Aziende e prodotti
Le aziende investono miliardi (di euro) in pubblicità per promuovere le vendite dei loro prodotti e sono quindi estremamente permalose. Per nostra fortuna, però, molti dei diritti del cittadino non si estendono automaticamente anche alle aziende. Le aziende, infatti, sono “persone giuridiche”, non “persone fisiche”, e molti diritti individuali, tra cui quello alla difesa della reputazione personale, si applicano solo alle persone fisiche. Il margine di manovra su cui si può contare quando si parla di aziende e di prodotti è quindi più ampio di quello riservato alle persone fisiche.
Questo però non vuol dire che si possa parlar male di Microsoft, del Trusted Computing o della XboX senza motivo. Esistono varie leggi che proteggono il diritto all'immagine pubblica delle aziende e, indirettamente, dei loro prodotti. In particolare, una azienda può fare causa ad una persona che, diffondendo notizie non vere, le procuri un danno economico. Di conseguenza, se si decide di fare le pulci ad un prodotto che è sul mercato, o ad una azienda, è necessario assicurarsi di raccontare solo cose di cui si possa dimostrare la veridicità o, quantomeno, cose che siano già state riconosciute vere da molte altre persone (una “opinione diffusa”, anche se minoritaria). Se poi, dalle informazioni raccolte, si è costretti a trarre una “opinione personale” molto negativa del prodotto o della azienda, e la si espone al pubblico, questo fa parte del diritto di espressione del cittadino. Se così non fosse, quasi tutte le riviste tecniche italiane, da Quattroruote ad Altroconsumo, avrebbero dovuto chiudere i battenti molti anni fa.
Questo però non vuol dire che si possa parlar male di Microsoft, del Trusted Computing o della XboX senza motivo. Esistono varie leggi che proteggono il diritto all'immagine pubblica delle aziende e, indirettamente, dei loro prodotti. In particolare, una azienda può fare causa ad una persona che, diffondendo notizie non vere, le procuri un danno economico. Di conseguenza, se si decide di fare le pulci ad un prodotto che è sul mercato, o ad una azienda, è necessario assicurarsi di raccontare solo cose di cui si possa dimostrare la veridicità o, quantomeno, cose che siano già state riconosciute vere da molte altre persone (una “opinione diffusa”, anche se minoritaria). Se poi, dalle informazioni raccolte, si è costretti a trarre una “opinione personale” molto negativa del prodotto o della azienda, e la si espone al pubblico, questo fa parte del diritto di espressione del cittadino. Se così non fosse, quasi tutte le riviste tecniche italiane, da Quattroruote ad Altroconsumo, avrebbero dovuto chiudere i battenti molti anni fa.
Conclusioni
Pubblicare le proprie opinioni sul web, anche in modo duro e sarcastico, si può. Ciò che non si può fare è aggredire gratuitamente una persona o diffondere informazioni false sul suo conto.
Nel caso specifico della vita politica, il solo fatto di mettere in risalto, anche attraverso trovate umoristiche o sarcastiche, il comportamento discutibile di un uomo politico non può delineare, in sé, il reato di diffamazione. Se così fosse, non potrebbe esistere la professione di comico e molti programmi televisivi sarebbero costretti a chiudere i battenti. Per essere in presenza di un reato, deve esserci anche una violenza nel linguaggio o nei mezzi di espressione che dimostri la volontà di colpire e di danneggiare la persona che è oggetto dell'articolo in modo gratuito o strumentale, al di là delle necessità della discussione ed al di là delle regole della civile convivenza. Per questo motivo, basta spesso un po' di buon gusto e di senso della misura per evitare problemi.
Fonte:
http://oceanidigitali.it/drupal/
Nel caso specifico della vita politica, il solo fatto di mettere in risalto, anche attraverso trovate umoristiche o sarcastiche, il comportamento discutibile di un uomo politico non può delineare, in sé, il reato di diffamazione. Se così fosse, non potrebbe esistere la professione di comico e molti programmi televisivi sarebbero costretti a chiudere i battenti. Per essere in presenza di un reato, deve esserci anche una violenza nel linguaggio o nei mezzi di espressione che dimostri la volontà di colpire e di danneggiare la persona che è oggetto dell'articolo in modo gratuito o strumentale, al di là delle necessità della discussione ed al di là delle regole della civile convivenza. Per questo motivo, basta spesso un po' di buon gusto e di senso della misura per evitare problemi.
Fonte:
10 commenti:
LA RICERCA E' OPERA DI "MADDA".
Mi può dare una opinione su questa vicenda? due persone litigano per un torto subito da una delle due, la causa del torto viene eliminata e sembra tutto risolto.
Nel frattempo una delle due aveva aperto su un forum un thread dal titolo "ti sputtano" associato al nome della persona che le avrebbe fatto un torto, il thread viene letto e alcuni utenti, credendo alla versione distorta dell'autore, partecipano e se ne fanno un'idea negativa.
Come ho detto il torto è stato eliminato ma il thread nel forum resta e l'autore non lo ha mai eliminato.
Può configurarsi in queso caso, sia perché il torto era stato annullato, sia perché è stata usata la terminologia chiaramente offensiva "ti sputtano", sia perché l'autore non ha mai cancellato il trhead, una diffamazione a danno della seconda persona?
NON SONO UN AVVOCATO.
...MA HO CHIESTO A CHE SE NA VERAMENTE, QUESTO E' IL LINK:
http://ilgiornalieri.blogspot.com/2010/04/reati-informatici-e-diffamazione-mezzo.html
Avevo dimenticato di aver fatto questa ricerca (sai che ne faccio molte per desiderio di sapere soprattutto).
Non mi spiegavo, perciò, il riferimento a "Madda" nel recente articolo di Ormanni da te pubblicato su questo blog.
Ora ho compreso!
Ciao
Madda
VISTO QUANT'E' BRAVO ROBERTO! L'HA FATTO A STRETTO GIRO, POI SU MIO SUGGERIMENTO L'HA PUBBLICATA SUL PARLAMENTARE.
certo e' difficile farsi valere a livello legale con la diffamazione online specie se anonima
Nessun commento è veramente anonimo perché è sempre possibile rintracciare sul server l'ID della e-mail utlizzata dal (supposto) anonimo commentarore. Ma chi sei?
Se scrivo un racconto sarcastico, molto sarcastico, usando nomi e circostanze di fantasia, ma riferibili a fatti e personaggi reali, posso essere accusato di diffamazione da chi si riconoscesse in tali personaggi?
CHIEDERE CONSIGLIO AL PROPRIO LEGALE DI FIDUCIA!
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