1/5/2009
MICHAIL GORBACIOV
MICHAIL GORBACIOV
Il gruppo dei Venti si è già riunito due volte, compreso il recente summit di Londra. È ormai una sede di confronto riconosciuta. Un riconoscimento, fin troppo tardivo mi pare, che il mondo è cambiato e che le vecchie istituzioni non hanno saputo tenere il passo con la rapida evoluzione dei bisogni. E tuttavia ci sono alcuni interrogativi sull’essenza e sul funzionamento del nuovo ente che richiedono rapide risposte. La prima domanda è se le decisioni adottate a Londra possano arginare la crisi globale economica mettendo il mondo sui binari d’una crescita sostenibile.
Una risposta definitiva arriverà solo col tempo, ma la prima impressione è che quanto ha deciso il summit di Londra possa essere un primo passo. Tuttavia, sono necessari punti di riferimento più chiari per strutturare il sistema di governance globale in campo finanziario ed economico e i compiti del gruppo. Prevenire crisi come l’odierna non dovrebbe essere il principale compito del G-20. Quello che serve è la transizione a un nuovo modello che integri fattori sociali, ambientali ed economici.
La seconda domanda riguarda la collocazione del G-20 nel sistema delle istituzioni globali. Che cos’è: un «politburo globale», un «club di potenti» o il prototipo di un governo mondiale? Come interagirà con l’Onu? Sono persuaso che nessun gruppo di Paesi, anche se contano per il 90% dell’economia mondiale, possa sostituire le Nazioni Unite. Ma il G-20 potrebbe reclamare la leadership nell’economia mondiale se saprà tenere nel debito conto le opinioni dei Paesi che non ne fanno parte.
La presenza nel G-20 di nazioni che rappresentano regioni geografiche differenti per livelli di sviluppo è un segnale che induce alla speranza. Però questo gruppo è improvvisato, messo insieme nell’estrema pressione della crisi. Non comprende Paesi influenti nella loro area come Egitto, Nigeria o Iran. E non è molto chiaro sui metodi. Per evitare errori il G-20 dovrà essere molto trasparente e lavorare a stretto contatto con l’Onu. Almeno una volta l’anno dovrebbe tenere una riunione al suo quartier generale e fare all’Assemblea un rapporto che dovrebbe essere discusso in termini sostanziali.
Ultima, ma non meno importante, è la finalità di questa nuova istituzione. Dovrebbe restare confinata all’economia e alla finanza globale o dovrebbe, prima o poi, affrontare i problemi politici? La risposta non è così scontata. Chi trova da obiettare su un ruolo politico per il G-20 potrebbe rilevare che la comunità internazionale ha affidato al Consiglio di Sicurezza dell’Onu l’incarico di vigilare sulla pace internazionale. La nostra principale preoccupazione dovrebbe essere rinforzare questo ruolo. È vero che tutti i tentativi d’ignorarlo o bypassarlo, in Medio Oriente come in Europa o altrove, sono finiti male. È anche vero, però, che il primo compito del Consiglio di Sicurezza è di reagire con prontezza alle situazioni di crisi e di pericolo.
Sappiamo che non è attrezzato per affrontare questioni strategiche di lungo termine. In più i gravi ritardi nella sua riforma hanno reso l’Onu meno rappresentativa del G-20, adatto invece a considerare gli aspetti politici legati alle sfide globali della sicurezza, della povertà e dell’ambiente. Inoltre, altri gruppi e organizzazioni come il G-8 o la Nato affrontano problemi di natura politica. Credo che il G-20 potrebbe trovare un ruolo chiave nell’architettura della politica planetaria. Se sarà utile per fermare la crisi economica guadagnerà la credibilità necessaria per porsi come guida.
Uno dei problemi pronti per una disamina politica è la militarizzazione delle strategie economiche mondiali, la militarizzazione del pensiero. Un’eredità che ci arriva dal XX Secolo, forse il più tragico e sanguinoso della storia. Sono tematiche interconnesse: la militarizzazione distoglie risorse dall’economia reale, alimenta i conflitti e crea la convinzione che le soluzioni praticabili siano militari e non politiche.
Dando il via a un serio dibattito su questo tema nel G-20 e aprendovi un confronto politico, i leader mondiali potrebbero costruire una base d’azione per quei corpi dell’Onu responsabili dei progressi nel settore: il Consiglio di Sicurezza e la Conferenza sul disarmo di Ginevra. Dopo il summit di Londra il premier britannico Gordon Brown definì l’incontro un passo verso un nuovo ordine mondiale e una «nuova era di progresso e cooperazione internazionale». Benché la strada sia ancora lunga prima che ciò diventi realtà, questa è la direzione in cui dobbiamo muoverci.
Una risposta definitiva arriverà solo col tempo, ma la prima impressione è che quanto ha deciso il summit di Londra possa essere un primo passo. Tuttavia, sono necessari punti di riferimento più chiari per strutturare il sistema di governance globale in campo finanziario ed economico e i compiti del gruppo. Prevenire crisi come l’odierna non dovrebbe essere il principale compito del G-20. Quello che serve è la transizione a un nuovo modello che integri fattori sociali, ambientali ed economici.
La seconda domanda riguarda la collocazione del G-20 nel sistema delle istituzioni globali. Che cos’è: un «politburo globale», un «club di potenti» o il prototipo di un governo mondiale? Come interagirà con l’Onu? Sono persuaso che nessun gruppo di Paesi, anche se contano per il 90% dell’economia mondiale, possa sostituire le Nazioni Unite. Ma il G-20 potrebbe reclamare la leadership nell’economia mondiale se saprà tenere nel debito conto le opinioni dei Paesi che non ne fanno parte.
La presenza nel G-20 di nazioni che rappresentano regioni geografiche differenti per livelli di sviluppo è un segnale che induce alla speranza. Però questo gruppo è improvvisato, messo insieme nell’estrema pressione della crisi. Non comprende Paesi influenti nella loro area come Egitto, Nigeria o Iran. E non è molto chiaro sui metodi. Per evitare errori il G-20 dovrà essere molto trasparente e lavorare a stretto contatto con l’Onu. Almeno una volta l’anno dovrebbe tenere una riunione al suo quartier generale e fare all’Assemblea un rapporto che dovrebbe essere discusso in termini sostanziali.
Ultima, ma non meno importante, è la finalità di questa nuova istituzione. Dovrebbe restare confinata all’economia e alla finanza globale o dovrebbe, prima o poi, affrontare i problemi politici? La risposta non è così scontata. Chi trova da obiettare su un ruolo politico per il G-20 potrebbe rilevare che la comunità internazionale ha affidato al Consiglio di Sicurezza dell’Onu l’incarico di vigilare sulla pace internazionale. La nostra principale preoccupazione dovrebbe essere rinforzare questo ruolo. È vero che tutti i tentativi d’ignorarlo o bypassarlo, in Medio Oriente come in Europa o altrove, sono finiti male. È anche vero, però, che il primo compito del Consiglio di Sicurezza è di reagire con prontezza alle situazioni di crisi e di pericolo.
Sappiamo che non è attrezzato per affrontare questioni strategiche di lungo termine. In più i gravi ritardi nella sua riforma hanno reso l’Onu meno rappresentativa del G-20, adatto invece a considerare gli aspetti politici legati alle sfide globali della sicurezza, della povertà e dell’ambiente. Inoltre, altri gruppi e organizzazioni come il G-8 o la Nato affrontano problemi di natura politica. Credo che il G-20 potrebbe trovare un ruolo chiave nell’architettura della politica planetaria. Se sarà utile per fermare la crisi economica guadagnerà la credibilità necessaria per porsi come guida.
Uno dei problemi pronti per una disamina politica è la militarizzazione delle strategie economiche mondiali, la militarizzazione del pensiero. Un’eredità che ci arriva dal XX Secolo, forse il più tragico e sanguinoso della storia. Sono tematiche interconnesse: la militarizzazione distoglie risorse dall’economia reale, alimenta i conflitti e crea la convinzione che le soluzioni praticabili siano militari e non politiche.
Dando il via a un serio dibattito su questo tema nel G-20 e aprendovi un confronto politico, i leader mondiali potrebbero costruire una base d’azione per quei corpi dell’Onu responsabili dei progressi nel settore: il Consiglio di Sicurezza e la Conferenza sul disarmo di Ginevra. Dopo il summit di Londra il premier britannico Gordon Brown definì l’incontro un passo verso un nuovo ordine mondiale e una «nuova era di progresso e cooperazione internazionale». Benché la strada sia ancora lunga prima che ciò diventi realtà, questa è la direzione in cui dobbiamo muoverci.
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