mercoledì 3 giugno 2009

Rifiuti Napoli: ai professionisti del collaudo andava tutto bene

ROBERTO ORMANNI


Roma, 3 giu (Velino) - La parola d’ordine era “dite sempre di sì”. Così si potrebbe sintetizzare il nuovo capitolo dell’inchiesta sugli affari, gli appalti e le procedure che da quasi un ventennio ruotano attorno allo smaltimento dei rifiuti in Campania. Le 15 ordinanze di custodia agli arresti domiciliari che i pm della Procura di Napoli hanno eseguito oggi (gli stessi magistrati che hanno seguito gli altri due tronconi della maxi inchiesta, uno nei confronti della gestione commissariale da ultimo gestita dal governatore Antonio Bassolino, l’altra che ha coinvolto la fase dell’emergenza successiva), accusano tecnici e professori, tutti collaudatori, di aver dato il via libera a tre impianti che, in realtà, non andavano affatto bene. E anzi erano stati pure sequestrati nelle precedenti inchieste. Ma loro, i professionisti del collaudo, avevano detto di sì nonostante fossero sotto sequestro. In questa inchiesta i fatti contestati si riferiscono al periodo compreso tra il 1998 e il 2005. Il giudice per le indagini preliminari Aldo Esposito così scrive nell’ordinanza: “i membri delle commissioni di collaudo erano designati dal Commissariato di Governo con criteri rispondenti a logiche meramente clientelari legate a rapporti personali e in un caso frutto di accordo corruttivo”.

Dunque, il meccanismo era abbastanza – è il caso di dire – collaudato. Anzitutto si prendevano dei nomi fidati (in un caso, dice il gip, la fiducia era garantita dal cemento più antico del mondo: la corruzione). In secondo luogo si impartivano istruzioni ufficiose ben diverse, e assai più “elastiche” di quelle ufficiali. La terza mossa era: andare a buca. Ossia, chiudere la pratica con un bel visto di conformità. Gli impianti da “collaudare” erano sette tra la provincia di Napoli (Caivano e Giugliano) e quella di Benevento (Casalduni). Impianti che un tempo servivano per produrre combustibile da rifiuto (il cdr) e che ora (nel 2005) rientravano nel progetto di smaltimento della “grande madre spazzatura” realizzato dall’associazione di imprese Fibe-Fisia Spa contrattualizzate dalle Regione Campania e dal commissariato straordinario per i rifiuti. Un meccanismo che i magistrati chiamano falso ideologico, prendendo la definizione dal codice penale. Con quest’accusa perciò i professionisti del collaudo sono stati messi agli arresti domiciliari: Aniello Cimitile, presidente della Provincia di Benevento ed ex Rettore dell’Università del Sannio, che però è accusato in qualità di collaudatore e non per i suoi incarichi politici o universitari. Poi i docenti universitari Oreste Greco, Vincenzo Naso, Rita Mastrullo e Filippo De Rossi, il direttore del termovalorizzatore di Acerra, Vittorio Vacca, Luigi Travaglione, dipendente dell'ufficio tecnico del comune di Benevento. E ancora Giuseppe Sica, Vittorio Colavita, Alfredo Nappo, Vitale Cardamone, Mario Gily e Francesco Scalingia.

Infine il funzionario regionale Claudio De Biasio, per il quale però i pm avevano chiesto il carcere perché è già coinvolto in una delle altre inchiesta sullo smaltimento dei rifiuti. Il trucco dei collaudi lo spiega sempre il gip: “tale sistema influenzava l'opera dei collaudatori e dei direttori dei lavori che accettavano la logica scellerata di avallare in toto l'operato dell’associazione di imprese, per portare materialmente a compimento il progetto di gestione dei rifiuti solidi urbani in Campania a tutti i costi a prescindere dal requisito, al contrario essenziale, della funzionalità del progetto rispetto a quanto previsto anche a tutela del territorio e della salute pubblica”. Insomma, bisognava far vedere che tutto si risolveva anche se, in realtà, tutti i problemi venivano più semplicemente ignorati. Un sistema che lo stesso magistrato afferma “aver caratterizzato tutti questi anni”. In pratica, non era la prima volta. Il punto è, spiega il giudice, che ciò accadeva “senza minimamente preoccuparsi di contestare le numerose inadempienze emerse nel corso dell'indagine, anzi cercando in ogni modo di occultarle, mediante il silenzio o l'adozione di atti volutamente tesi a tacere tali inadempienze”. Per la serie: non so, non ho visto, non c’ero e se c’ero dormivo. Ma le carte dicevano che invece erano tutti svegli. Tutti vigili. Un esercito di vigili collaudatori. Per giunta, tutti esperti, professoroni. Altro che storie. Ma anche sui titoli che avrebbero giustificato l’ingresso nel team di professionisti del collaudo, la magistratura esprime qualche perplessità: se ufficialmente nelle commissioni di collaudo degli uffici del Commissariato c’erano solo “docenti universitari e professionalità riconosciute” (così si diceva pubblicamente), in realtà tra i nomi forniti, ad esempio, da Andrea Losco (ex consigliere regionale) e Puppi Vanoli (all'epoca sub comissario), c’erano anche persone i cui studi si erano fermati alla terza media.

Certo però se uno magari studia tanto tanto alle medie, poi magari campa di rendita. D’altra parte, un’intercettazione telefonica del 5 ottobre 2005 spiega abbastanza bene come funzionava la storia: Alfredo Nappo, collaudatore dell’impianto di Caivano, risponde ad un amico: “Come ho avuto l'incarico? Io faccio parte di un partito, chiaramente non faccio il nome del partito perché non è il caso”. Il giudice sottolinea che ciò “appare illuminante per comprendere le reali motivazioni sottese alla nomina dei collaudatori, unitamente all'assenza di qualsivoglia interesse a controllare e pretendere il rispetto dell'appalto”. Secondo il gip “tale conversazione disegna uno scenario sconcertante, notevolmente difforme dai presunti buoni propositi indicati nei provvedimenti di nomina, nei quali si fissavano i criteri informatori per la designazione dei commissari di collaudo”. Per il giudice “tutto appare più grave ad una lettura ex post della cosiddetta emergenza rifiuti in Campania in quanto la verifica dell'effettivo buon funzionamento degli impianti avrebbe scongiurato l'entrata a regime di un sistema di smaltimento di rifiuti frutto di una colossale truffa che contribuiva ad aggravare la pesante situazione emergenziale”. Questa parte dell'inchiesta apre un'interrogativo: oggi che quegli impianti sono stati nuovamente valutati, dal punto di vista economico, qualche inquirente potrebbe dire che la valutazione fatta oggi si basa su caratteristiche degli impianti come attestati da verbali ritenuti falsi e dunque è falsa anche la valutazione successiva.

(ror) 3 giu 2009 16:07

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