Alcuni anni fa ho visto a Parigi, alla tv francese, un documentario che mi è rimasto impresso e le cui immagini sono talvolta riportate all’attualità con una forza esplodente dagli eventi quotidiani. Il filmato raccontava i problemi di un liceo della periferia di Parigi in uno di quei quartieri in cui le famiglie francesi povere vivono con gli immigrati di origine sub-sahariana, latino-americani e arabi del Maghreb. Questo istituto d’istruzione secondaria pubblico i cui alunni costituiscono un arcobaleno di razze, lingue, costumi e religioni, era stato scenario di violenze.
Bastonate ai professori, stupri nei bagni e nei corridoi, risse tra bande a colpi di coltello e di spranghe, e, se non ricordo male, persino rivoltellate. Non so se ci fossero stati morti, ma certamente parecchi feriti e la polizia, perquisendo le aule, aveva trovato armi, droghe e alcol. Il documentario non voleva suscitare allarme, al contrario tranquillizzare, mostrando che il peggio era ormai passato e che, con la buona volontà di autorità, insegnanti, genitori e alunni, le acque si stavano calmando. Con evidente soddisfazione, per esempio, il preside faceva notare che, grazie al metal detector appena installato e sotto il quale gli studenti dovevano passare per entrare a scuola, si potevano confiscare i pugni di ferro, i coltelli e le altre armi da punta e da taglio. E, così, i fatti di sangue avevano avuto una drastica riduzione. Si erano approvate disposizioni per fare in modo che sia i professori sia le allieve non si muovessero mai da soli, anche per andare in bagno, ma sempre almeno in due. Al fine di evitare, in questo modo, aggressioni e imboscate. E ancora: la scuola aveva a disposizione permanentemente due psicologi per dare consigli a studenti e studentesse - quasi sempre orfani di almeno un genitore, con alle spalle famiglie devastate dalla disoccupazione, dalla promiscuità, dalla delinquenza e dalla violenza - disadattati o attaccabrighe irriducibili. Ma la cosa che più mi ha impressionato del documentario è stata l’intervista a una docente che faceva, con naturalezza, un’affermazione di questo tipo: «Adesso va tutto bene, ma occorre sapersi giostrare». Spiegava che, per scongiurare le aggressioni e le botte di prima, lei e altri insegnanti s’erano accordati di ritrovarsi, a un’ora stabilita, all’uscita più vicina della metropolitana e di camminare in gruppo sino alla scuola. Così riducevano i rischi d’essere aggrediti dai «voyous». Quella professoressa e i suoi colleghi che, ogni giorno, andavano al lavoro come se andassero all’inferno, s’erano rassegnati. Avevano imparato a sopravvivere e non sembravano neppure immaginare che il mestiere d’insegnare potesse essere qualcosa di diverso da questa loro quotidiana via crucis.
In questi giorni ho finito di leggere uno dei piacevoli e sofistici saggi di Michel Foucault nel quale, con la consueta verve, il filosofo francese sostiene che l’insegnamento, proprio come la sessualità, la psichiatria, la religione, la giustizia e il linguaggio, è sempre stato, nel mondo occidentale, una di quelle «strutture di potere» erette per reprimere e manipolare il corpo sociale grazie a sottili, ma efficaci forme di sottomissione e di alienazione per eternare i privilegi e il controllo del potere da parte dei gruppi sociali dominanti. Bene, se prendiamo in considerazione anche il solo campo dell’insegnamento, notiamo che, a partire dal 1968, l’autorità che castrava gli istinti libertari dei giovani è finita in mille pezzi. A giudicare, però, da quel documentario che avrebbe potuto essere girato in molti altri angoli della Francia e dell’Europa intera, il crollo e il discredito dell’idea stessa di insegnante e di insegnamento - e, in ultima analisi, di qualsiasi forma di autorità - non sembra aver portato alla liberazione creativa dello spirito giovanile, ma, piuttosto, trasformato le scuole così liberate in istituzioni in preda al caos, nel migliore dei casi, e, nel peggiore, in piccole satrapie di bulli e di precoci delinquenti.
È evidente che il Maggio ’68 non mise fine all’«autorità» - che, già da tempo, stava vivendo un processo di generale sfinimento in tutti i settori, dalla politica alla cultura - in particolare nel campo dell’insegnamento. Ma la rivoluzione dei ragazzi-bene, crema delle classi borghesi e privilegiate di Francia, che furono i protagonisti di quel divertente carnevale all’insegna dello slogan «Proibito proibire», ha consegnato al concetto di autorità il suo atto di morte. E dato legittimità e glamour all’idea secondo cui ogni autorità è infida, dannosa, scivolosa e che il più nobile ideale di libertà consiste nel disconoscerla, negarla, distruggerla. Il potere non si sentì minimamente toccato da quest’emblematica arroganza dei giovani ribelli che, senza che la maggior parte di essi lo sapesse, portavano sulle barricate gli ideali iconoclasti di pensatori come Foucault.
Basti ricordare che nelle prime elezioni svoltesi in Francia dopo il Maggio ’68, la destra gollista ottenne una sonora vittoria. Ma l’autorità, nel senso latino di auctoritas, non di potere, bensì, come la definiscono i dizionari, di «prestigio e credito che si riconosce a una persona o a un’istituzione per la sua legittimità o qualità o competenza in una qualche materia», non rialzò la testa. Da allora, in Europa come in buona parte del resto del mondo, praticamente non esistono figure politiche o culturali capaci di esercitare il magistero, nel contempo morale e intellettuale, dell’«autorità» classica che, a livello popolare, era incarnata dai maestri, parola che un tempo aveva un suono così bello perché associata al sapere e all’idealismo. In nessun campo tutto ciò è stato tanto catastrofico per la cultura come nell’insegnamento. Il maestro, spogliato di credibilità e di autorità, trasformato spesso in strumento del potere repressivo, vale a dire del nemico al quale per raggiungere la libertà e la dignità d’uomini bisognava resistere, arrivando, persino, ad abbatterlo, ha perduto la fiducia e il rispetto senza i quali gli era praticamente impossibile adempiere alla sua funzione di educatore, di trasmettitore di valori e di conoscenze. Di più: li ha persi non solo agli occhi dei propri alunni, ma anche a quelli degli stessi genitori e dei filosofi rivoluzionari che, come l’autore di Sorvegliare e punire, identificavano nel maestro uno dei sinistri strumenti di cui - proprio come gli agenti di custodia delle carceri e gli psichiatri dei manicomi - l’establishment si serve per mettere le briglie allo spirito critico e alla sana ribellione di bambini e adolescenti.
Molti maestri, in perfetta buona fede, credettero a questa degradante demonizzazione di se stessi e contribuirono, gettando benzina sul fuoco, ad aggravare la rottura facendo proprie alcune delle più avventate affermazioni dell’ideologia del Maggio ’68 nel settore dell’insegnamento come, per esempio, considerare anormale rimproverare i cattivi studenti, far loro ripetere l’anno e, persino, dare voti e stilare graduatorie tra gli allievi in base al rendimento scolastico perché, attraverso tali «distinguo», si diffonderebbero l’infausto concetto di gerarchia, l’egoismo, l’individualismo, la negazione dell’idea che tutti siamo uguali, e il razzismo.
È vero che queste estremizzazioni non sono riuscite a infettare tutti i settori della vita scolastica, ma una delle conseguenze perverse del trionfo delle idee - delle dispute e delle fantasie - del Maggio ’68 è stata la brutale accentuazione della divisione tra classi a partire proprio dalle aule di scuola. L’insegnamento pubblico è stato una delle grandi conquiste della Francia democratica, repubblicana e laica. Nelle sue scuole e nei suoi collegi, di altissimo livello, le ondate di studenti godevano d’una uguaglianza di opportunità che correggeva, in ogni nuova generazione, le asimmetrie e i privilegi legati alla famiglia d’origine o alla classe sociale d’appartenenza, aprendo ai bambini e ai giovani dei settori meno fortunati la strada del progresso, del successo professionale e del potere politico.
L’impoverimento e il disordine sofferti dall’insegnamento pubblico, sia in Francia sia nel resto del mondo, hanno attribuito all’insegnamento privato - al quale, per motivi economici, ha accesso solo un settore sociale minoritario d’alto reddito, meno toccato dalle distruzioni della presunta rivoluzione libertaria - un ruolo preponderante nella formazione dei dirigenti di oggi e di domani nell’ambito della politica, delle professioni e della cultura. Non è mai stato così vero il detto: «Nessuno sa per chi lavora». Credendo di lavorare alla costruzione di un mondo davvero libero, senza repressioni, mancanza di diritti e autoritarismo, i filosofi libertari come Michel Foucault e i suoi incoscienti discepoli hanno, in realtà, lavorato molto alacremente perché, grazie alla grande rivoluzione da loro propiziata nel campo dell’istruzione, i poveri continuassero a essere poveri, i ricchi, ricchi, e gli atavici detentori del potere seguitassero a tenere la frusta nelle loro mani.
20 commenti:
Davvero incredibile indicare il grande spirito di Michel Foucault o il movimento studentesco del 68 quali causa della crisi delle istituzioni scolastiche.
Una lettura di una superficialità incredibile che tralascia quella che è stata una precisa volontà politica di far affondare la scuola pubblica a tutto beneficio delle istituzioni private: lo stesso disegno che sta riducendo la sanità pubblica ad un carrozzone con i medici interinali ed i tempi di attesa mortali.
Lo stesso piano che ha saccheggiato beni che erano del nostro patrimonio storico e culturale, ed ancora la farsa della privatizzazione delle ferrovie o delle poste, servizi che stanno andando letteralmente in malora.
Tutta colpa di chi inseguiva un sogno ritenendolo possibile realtà o del potere che comprese il pericolo di uno stato realmente democratico?
L'analisi di Vargas LLosa mi ha colpito per la sua lucidità, è un giudizio senza appello che investe le istituzioni scolastiche e la politica nel suo insieme.
A me sembra che Vargas LLosa faccia riferimento sopratutto alla Francia, non sono un esperto nè ho letto Foucault, noto a me solo per il romanzo di Umberto Eco, che peraltro non ho ancora letto nè l'ho acquistato.
Dichiarata la mia ignoranza, però devo dire da un punto di vista strettamente logico l'analisi delle cause del degrado della scuola pubblica e la prognosi infausta che ne fa lo scrittore peruviano mi sembra convincente e angosciante nello stesso tempo.
Sì, la politica ci ha messo il becco, a favore della scuola privata, specie se gestita da religiosi, specie in Italia.
Ma a me sembra che tutto sia partito dal movimento studentesco del 1968 (io ero già in servizio in quella data) e dalla sua furia iconoclasta.
La realtà è che oggi la scuola pubblica è una vera indecenza, anche in Italia.
Sarebbe stata questa l'involuzione della scuola pubblica se non ci fosse stato il '68?
Scusami Luigi, ti volevo inviare un commento, ma l'invio non mi riesce, mi dice sotto che
Non è possibile accettare il codice Must be at most 4,o96 characters specificato.
io non ho messo nessun codice, ho scritto normalmente... non ho il tempo ora di andare a ricercare per vedere di che si tratta.
il commento l'ho salvato sul mio pc, te lo invio domani, sempre se non mi rifiuta l'invio. Ciao!
Si vede che il tuo è un commento molto lungo e che non ti era mai accaduto prima.
Il numero di caratteri messi a dispozione dei commenti da blogger non è infinito.
In questi casi occorre dividere in due, tre parti il commento, come faccio io, dando l'indicazione SEGUE e FINE per far capire.
Sono molto desideroso di conoscere la tua opinione.
Interessante articolo Luigi, almeno per me.
Una ricostruzione in chiave sessantottina dei mali della scuola.
Una minima parte di verità può essere anche palese, ma per un'altra grande parte bisognerebbe analizzare anche altre agenzie educative formali ed anche informali oltre la scuola per poter avere un quadro completo. La scuola si contestualizza nella società e questa è espressione di mode,costumi e regole che sono retaggi familiari,amicali ,associativi , fanno parte del sistema sociale che come ebbe a dire Durkheim, si trasforma e , nel momento in cui cambia esso ha bisogno di una nuova solidarietà che si adegui in modo organico in modo da non provocare anomie. E poi i sistemi sociali ed istituzionali sono intimamente connessi.Ogni parte si ibrida con l'altra.
L' articolista inizia con l'esaminare una scuola che da noi è detta "a rischio", non so i francesi come le denominino...con soluzioni da parte del corpo docente, a dir poco, allucinanti.
Non è così che si interviene, quelli adottati sono provvedimenti tampone.
Tempo fa ho visto una trasmissione di report sulla scuola italiana a confronto con quella svedese.
Penserai adesso.. ehhhh vuoi mettere la scuola italiana con quella svedese? Ti dirò di più...si esaminava una scuola ai sobborghi di Stoccolma, una scuola a rischio appunto, frequentata da quei ragazzi che ha descritto l'articolista ... poi il servizio continuava ad intervalli analizzando una scuola della provincia di napoli e un'altra di Firenze ed un'altra calabrese ...ma il quartiere di stoccolma era peggio di quello napoletano e calabrese lasciando stare il fiorentino..Innanzitutto la stuttura della scuola svedese non era paragonabile alle nostre strutture neanche a voler trovare qualcosa di più positivo con il lumicino, stesso discorso per gli arredi, i laboratori, la palestra, la mensa...e poi il fatto di maggior rilievo si è rivelato nella scelta del corpo docente. Ebbene in Svezia in quella scuola e ne le altre simili i docenti erano scelti tra i migliori di tutta la nazione.
Il recupero sociale e didattico pertanto non era improntato sulla difesa del docente e degli studenti più mansueti dai cosiddetti bulli...ne nel far ricorso a metodi coercitivi ma consisteva nell'offerta formativa che la scuola aveva scelto di attuare. Quindi si era puntato sulla metodologia, sui servizi offerti, sulla ricerca di strategie adeguate.
I risultati? Inimmaginabili.
Dalle interviste ai ragazzi, che raccontavano la loro storia passata e il presente, si poteva dedurre che gli obiettivi formativi non erano falliti.La cosa più bella erano le dichiarazioni degli studenti che affermavano di essere contenti di frequentare quella scuola... erano studenti immigrati e svedesi con storie allucinanti alla spalle.
Non ti racconto il confronto con le nostre scuole prese in esame...lo puoi immaginare... roba da far "cadere le braccia" !
CONTINUA
CONTINUO
La scuola italiana apre il campo invece ad una fenomenologia di tipo narrativo o descrittivo: i comportamenti dei ragazzi, i vissuti degli insegnanti, i risultati scolastici, le disfunzioni istituzionali, i rapporti con le famiglie, i condizionamenti esterni, gli assunti ideali.
Come vengono affrontati questi problemi da noi?
Da noi la scuola non trova pace e con essa tutti i suoi operatori.
Non passa un governo che non vara una sua riforma aprendo così il campo ad una decostruzione e una ricostruzione pedagogica di qualsiasi contesto sociale improntata sul qualunquismo, senza andare a fondo e sviscerare nel concreto i problemi.
E si vuole pensare al 68?
Il 68, io non l'ho vissuto in prima persona ,andavo a scuola dalle suore. Non credo che i mali di oggi derivino da quel periodo.
La scuola affonda le sue crisi in problemi strutturali che derivano da più parti.
CONTINUA
Tra i tanti aggregati di sintomi patologici della scuola italiana o della scuola in generale vanno considerate diverse rappresentazioni ai diversi livelli,dagli aspetti più caricaturali della vita scolastica agli umori più viscerali.
Si potrebbero valorizzare gli uni e gli altri senza accettare la scissione tra cognitivo e affettivo.
L' uno richiama l'altro.
Scindere significa rimuovere le dinamiche affettive dei processi educativi e della struttura materiale dell'accadere educativo.
Negli ultimi decenni abbiamo assistito a molteplici fattori che si sono inseriti nei dibattiti e nel discorso pedagogico e didattico solo in conferenze, corsi e associazioni anche sindacali talvolta ma senza produrre quasi nulla di concreto, solo marginalmente la scuola vera, quella frequentata da docenti e da studenti è stata investita in tale discorso... prendiamo ad es. gli insegnanti che devono partecipare ai concorsi, gli studenti che devono ricevere una formazione ed un orientamento adeguato, l' università per le i scienze dell'educazione e della formazione, gli psicologi in cerca di spazi professionali, i politici e gli amministratori bisognosi di dati positivi , gli educatori che si scontrano con i problemi scolastici, i genitori che non sanno cosa fare con i figli, i vari esperti pedagoghi o sociologi ecc.ecc. esponenti di diverse scuole di ricerca in lizza tra loro.
L' autorità non si può più ottenere come la si otteneva una volta, oggi bisogna puntare sull'offerta formativa, sui metodi, sulle motivazioni dei giovani specie in quelle zone depresse ove non si conosce che l'arte di arrangiarsi, la violenza, la sopraffazione.E? la scuola che deve venire incontro alle esigenze della società non perdendo di vista i suoi fini fondamentali.
Don Milani e la scuola di Barbiana, ci ha pur insegnato qualcosa oppure no? La stessa Montessori aveva capito che il metodo, l'accompagnare il fanciullo e poi il giovane verso la conquista dell'autonomia di giudizio non è semplice e non si può puntare ad ottenere il rispetto dovuto perchè così è, quest'ultimo va incanalato con dovizia metodologica.
Non basta essere un prof. competente nella disciplina che si insegna,bisogna saper trasmettere i contenuti tenendo presente l'universo giovanile che si ha davanti senza trascurare l'aspetto affettivo.
La riflessione di Foucault sulle istituzioni totali ha inizio con la genealogia dell’istituzione punitiva, e il modello disciplinare si riproduce nelle altre principali istituzioni come l’esercito, la scuola, l’ospedale, la fabbrica.
Ora in "Sorvegliare e punire" Foucault afferma che è necessario considerare la punizione e la prigione come delle complesse funzioni sociali non solo semplicemente come un insieme di meccanismi repressivi e quindi punitivi.
Secondo me Foucault è stato male interpretato, il suo pensiero era rivolto ad analizzare per apportare modifiche agli istituti totali all'interno dei metodi adottati per una ricaduta positiva nella società.
Foucault come Marx.
Marx ha scritto una teoria bellissima che si chiama comunismo, ma che non somiglia neanche lontanamente al comunismo del secolo scorso applicato nelle varie parti del modo che non era comunismo ma totalitarismo.
E' sempre l'uomo, il potere, che interpreta ed agisce a proprio piacimento.
Ciao Luigi, scusami per la lunghezza di questo post e grazie della spiegazione.
Ho imparato un'altra "tecnica"
Non si finisce mai di apprendere!
Purtroppo come ogni bella idea che sorge per migliorare lo stato delle cose,nell'applicazione inevitabilmente ne esce fuori distorta.Non era certo questo che avrebbe voluto il filosofo archeologo del sapere.C'è da tenere presente lo stato di grande severità che fino al '68 regnava
in ogni dove, anche nelle scuole, punizionisevere,spesso corporali,per gli alunni più indisciplinati, ma ci capitavano pure quelli più diligenti se solo
commettevano un errore scolastico, gli insegnati in gran parte
erano despoti.Se prima dalle scuole uscivano fuori giovani insicuri e impreparati alla vita,e non tutti potevano permettersi d'andare a scuola, oggi assistiamo allo stesso risultato per esagerazione del contrario.Non è facile portare i piatti della bilancia ad uguale livello quando certi pensieri vengono poi applicati nel sociale, se non c'è
una classe dirigente capace di livellare gli eccessi.Foucault
ha rivoluzionato un potere fino all'ora marziale in ogni settore:istruzione,sanità, sessualità, carceri,sempre la dove il potere d'allora controllava
questi settori in modo restrittivo e contro la dignità dell'uomo.
Come giustamente sottolinea Marcas Lliosa, e concordo, davanti alle rivoluzioni studensche è partito dall'alto l'eccessivo permissivismo in molte nazioni,con leggi esageratamente liberitarie
che hanno portato i cittadini a non avere più cognizione del significato della libertà fine al rispetto del sapere.
@ Luigi ti rinrazio per la pubblicazione di questi articoli ho la possibilità di leggere ed imparare sempre qualcosa di nuovo e molto interessanti.
Penso comunque che molte colpe le abbiamo anche noi genitori in proposito
ciao
Una cara amica (prof. in pensione) mi ha fatto notare, con discrezione, che sono incappato in un errore madornale, confondendo Michel Foucault con il fisico Jean B.L. Foucault, vissuto nel 19° secolo,il quale con il celebre esperimento del pendolo appeso nella cupola del Pantheon di Parigi, dimostrò che il piano di oscillazione ruota in senso orario nel nostro emisfero, viceversa nell'emisfero australe per effetto di una forza detta di Coriolis che dimostra la rotazione della Terra.
Faccio ammenda ma ho ammesso che non è il mio campo.
Bene, tre commenti da tre donne operatrici del settore.
Tutti e tre molto tecnici, il tuo Myriam molto molto tecnico.
Maschietti, nessuno!
Io non posso replicare nel merito, non ne ho le competenze, ma ho l'età per mettere a confronto l'istituzione scolastica ante e post sessantottina.
Parliamo di Italia, credo.
Bene, adesso mi espongo al pubblico ludibrio: sono d'accordo con VARGAS LLOSA.
Si tenga presente che possiedo una esperienza di una "agenzia formativa" come il carcere, con il Regolamento carcerario del 1931 e con la riforma del 26 luglio 1975, legge n. 354.
Ecco cosa dicono i primi tre commi della legge, art. 1(Trattamento e rieducazione): "Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto delle dignità della persona.
Il trattamento è improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche e a credenze religiose.
Negli istituti devono essere mantenuti l'ordine e la disciplina. Non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con le esigenze predette o, nei confronti degli imputati, non indispensabili a fini giudiziari.".
Sottolineo: " Negli istituti devono essere mantenuti l'ordine e la disciplina.", che sono alla base del principio di autorità.
L'avere buttato la scuola nel cesso ha aperto la strada agli appetiti privati, rinvigoriti dalla ricca torta da spartire e dalla inefficienza (voluta) della scuola pubblica, inefficienza che ha preso il via con i moti studenteschi del '68.
Recita una lubrica canzonetta napoletana di fine II^ guerra mondiale: "Se il mellone è uscito bianco mo' chi chi ta' vuo' piglia'.
Come non si può essere d'accordo con Llosa, una bella denuncia al divulgare dell'ignoranza,
nonostante la scuola c'è.Lo stesso sistema adottato in Germania ed in Svezia, dove il filosofo lavorò, funzionò benissimo, e funziona ancora oggi.
Insegnò anche a Tunisi dove prese parte attiva ai movimenti studenteschi dell'epoca.
C'è solo da prendere atto che nelle nazioni latine e non solo Francia e Italia, ma anche in Sud-America, Foucault insegnò pure la, le cose sono andate alla deriva proprio grazie alle classi politiche che hanno governato e governano negli interessi propri.
Noti come nelle nazioni dove la religione esercita potere l'illuminismo vine sabotato?
eeeeeh...Luigi...se u'mellone è uscito bianco...prendiamocela con noi stessi per essere pessimi coltivatori :))
Hai fatto bene a sbagliare il Foucault...non sapevo dello scenziato,ora, grazie a Te, so qualconsa in più :))
Non sono esperto di didattica, quindi il mio non sarà un intervento ma solo un pensiero.
Secondo me, quando un istituzione perde autorità, perchè i tempi cambiano, non deve per forza perdere autorevolezza.
Non sono colegate le due cose.
Il filosofo francese ricordo che pose l'accento sulla durezza dell'educazione, sulla sua inutilità se non recepita collaborando.
Il 68 è stata una esigenza di cambiamento secondo me venuta da tutte le parti, non solo dagli studenti.
Detto ciò era giusto perdere quella stupida aurea di dura autorità, ma, con riforme ben congegnate e collaudate, quindi fare esperienza, si sarebe mantenuta, se non aumentata, quella autorevolezza.
Concordo con chi dice che bisogna guardare che scuola ha preso Llosa come esempio. Se tutta la Francia fosse così...............ma non credo proprio.
Lorenzo
il maschietto è qui bloccato con la schiena oggi! eheheheehe
Lorenzo, preferisci ciò che si vede oggi? Studenti impazziti, professori umiliati, presidi rincoglioniti.
Mio cognato, aggredito, subì un infarto e si è dimesso, mia sorella ammattisce ma tiene duro, la mia amica prof. (che mi ha corretto) è scappata via per tempo e ha fatto bene, un mio amico e compagno di studi idem.
MA SCHERZIAMO?
Qui è come con la legge 180/78 (legge Basaglia) che ha soppresso i manicomi (e oggi ne sopravvivono ancora!) senza che poi siano state create le strutture sostitutive.
La cronaca ci restituisce malati di mente che uccidono familiari, estranei e tutti a strapparsi i capelli e a respirare di sollievo perchè è toccato ad altri.
In Italia occorreva prestare massima attenzione prima di toccare sistemi consolidati, oggi la frittata è fatta e va tutto in malora.
Concordo, non dovevamo seminare.
Vanda, i genitori (non noi genitori) di colpa ne hanno tantissima, tant'è vero che anzichè prendersela con i figli asini picchiano, anche loro, i professori!
Incredibile!
Lorenzo, una fiala intramuscolo di cortisone ogni tre giorni per tre volte in tutto e poi un bravo fisioterapista!
Consultare il medico di base.
Ci sono passato.
Dire che non concordo con Llosa non significa che concordo con questa scuola. Vedo la malattia ma la cura non è partire dal 68.
Ripeto perdita di autorità non deve essere per forza perdita di autorevolezza.
Concordo con le analisi di miryam, e francy
Lorenzo, vi sono diversi modi di concepire la gestione delle persone.
Lo si può fare in modo autoritario, lo si può fare in modo autorevole.
Ma la matrice è sempre il concetto di autorità, di cui riporto la definizione:"Con il termine autorità (dal latino auctoritas, da augeo, accrescere) si intende quell'insieme di qualità proprie di una istituzione o di una singola persona alle quali gli individui si assoggettano in modo volontario per realizzare determinati scopi comuni.
Spesso è usato come sinonimo di potere, ma in realtà i due termini afferiscono ad accezioni diverse. Il "potere" si riferisce all'abilità nel raggiungere determinati scopi mentre il concetto di "autorità" comprende la legittimazione, la giustificazione ed il diritto di esercitare quel potere."(Wikipedia).
Scusa, qui posso fare appello solo a questa enciclopedia multimediale.
Mi devo accontentare.
Oggi trovare un rimedio all'istituzione scolastica è compito molto arduo.
Non credo che questo ceto politico ci riuscirà mai.
Anche se si ponesse seriamente mano ai rimedi necessari, sono almeno otto lustri che il processo degenerativo procede, e non solo nella scuola, ma anche nel pubblico impiego tutto.
Si è andati di male in peggio, io l'ho toccato con mano, ho visto il prima e il dopo.
Dunque, trovati i rimedi veri, efficaci, quanto tempo ci vorrà prima che escano dalla scuola rinnovata i futuri amministratori e le future amministratrici della res pubblica?
Lasciami dire che le donne stanno messe meglio, perchè da sempre a scuola studiavano di più.
Io, che ho 72 anni, una scuola di nuovo efficiente ed efficace non la vedrà di sicuro.
Concludo, Lorenzo: l'analisi parte dal '68, la cura la si deve ancora trovare, oggi.
Invece, per il tuo mal di schiena la cura ce l'hai a portata di mano, io per non impormi al mio medico curante ho sofferto per tre mesi di una ferocissima lombaggine, poi ho alzato un po' al voce ed è accaduto il miracolo! Mi ha detto, il medico: "Ci dovevo pensare prima!"
Pensa te, glielo avevo detto più volte ma sommessamente, e aveva fatto finta di non sentire.
Vatti a fidare.
Sul medico hai ragione Luigi.
Anche io circa 3 mesi fa ho parlato con il dottore, mi ha detto di fare degli esercizi a casa.
MI HA DATO UN PEZZO DI PAGINA DI UNA RIVISTA! E mi ha detto fai questi!
Sono andato in un centro specializzato e in effetti mi era passato. Ora ci sono ricascato.
Ogggi sto meglio, ho preso degli antinfiammatori.
Grazie dei consigli. Lo terrò presente sicuramente.
Concordo con la tua spiegazione di autorità. E rispetto infatti l'Autorità.
Per autoritaria io intendevo ( in modo errato, lo so, ma con il significato comune che si dà) una scuola dove non esisteva dialogo, poco democratica e poco attenta alle esigenze formative dei ragazzi. E perchè no, poco attenta alle curiosità degli studenti.
Il tuo argomentare su una scuola più autoritaria, nel senso vero questa volta, è condivisibile. Come fine, ma non come mezzo.
Sono contento.
Se mi prometti che togli la parola di verifica (del tutto inutile) al blog "La sinistra che vogliamo" ne entro a far parte anch'io, in prova!
Io provo imbarazzo e fastidio, per la parola di verifica, perchè la sbaglio spesso.
La sua funzione sarebbe solo ed esclusivamente quella di scoraggiare i troll: Figuriamoci!Li puoi scoraggiare solo non consentendo commenti anonimi, come sono stato costretto a fare da alcuni giorni a causa di un deficitente della PdL che si trincerava dietro l'anonimato.
Adesso, se vuole, si deve iscrivere e far conoscere il suo ID, così si becca una bella querela se non una denuncia, a seconda di ciò che avrà ancora voglia di scrivere.
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