lunedì 3 agosto 2009

Antimafia a parole


3 Agosto 2009
Luigi de Magistris


Il fatto di aver espletato per circa quindici anni le funzioni di Pubblico Ministero in territori caratterizzati da una radicata e forte presenza della criminalità organizzata mi pone come osservatore privilegiato tanto da poter giungere alla conclusione che solo una parte dello Stato intende effettivamente lottare contro le mafie.

La mafia, dopo la stagione delle stragi politico-mafiose degli anni 1992-1993, ha deciso di adottare la strategia politico-criminale tipica della ’ndrangheta, ossia quella di evitare il conflitto armato con esponenti delle Istituzioni e di penetrare, invece, in modo capillare, nel tessuto economico-finanziario ed in quello politico-istituzionale.

L’infiltrazione nell’economia e nella finanza è talmente diffusa in tutto il territorio nazionale che le mafie contribuiscono ormai, in buona parte, al prodotto interno lordo del nostro Paese tanto da far sì che non si possa più distinguere tra economia legale ed economia illegale. Le mafie hanno enormi capitali da investire che rappresentano il provento della gestione del traffico internazionale di droga. Il riciclaggio avviene nel settore immobiliare, nelle finanziarie, nelle banche, nell’edilizia, nel commercio all’ingrosso ed al minuto, nelle società di calcio, nelle società che si occupano di ambiente, nella sanità, nei lavori pubblici; insomma, dove c’è denaro, dove c’è business, le mafie sono interessate.

E quando si controllano, illegalmente, settori nevralgici dell’economia nessun cittadino può dire che si tratta di problematiche a lui estranee, che non lo riguardano direttamente: difatti, se la criminalità organizzata controlla parte del ciclo dell’edilizia si comprende perché gli edifici si frantumano alla prima scossa di terremoto; se la criminalità organizzata gestisce i traffici di rifiuti tossico-nocivi si capisce perché in Italia c’è un’emergenza ambientale e sanitaria senza uguali nell’Unione Europea. La mafia, quindi, non è un problema solo di alcune regioni del Paese, non è un fatto per addetti ai lavori. E’ un’emergenza nazionale: criminale, politica, economica, sociale e culturale.

Attraverso, poi, la gestione illegale della spesa pubblica, il controllo dei finanziamenti pubblici (anche dell’Unione Europea), le mafie, in questi ultimi 17 anni in particolar modo, sono penetrate, in modo articolato e pervasivo, nella politica e nelle Istituzioni. Quando si riesce a controllare parte significativa della spesa pubblica - e mi riferisco soprattutto, in questo caso, alle regioni del Sud Italia, ma non solo - si condizionano appalti e sub-appalti in tutti i settori (ambiente, sanità, infrastrutture, informatica, formazione professionale, ecc.), si decide a chi affidare opere e lavori, quali progetti debbono essere approvati, si condiziona il mercato del lavoro decidendo insieme - criminalità organizzata, politica ed imprenditoria collusa - quali persone assumere ed alla fine si condiziona pesantemente la democrazia attraverso il voto di scambio che trova linfa con il vincolo delle appartenenze.

È nella gestione illegale della spesa pubblica, soprattutto attraverso la creazione di una miriade di società miste pubblico-private, che si realizzano anche le nuove forme di corruzione: non ci sono più, infatti, le valigette dei tempi di Chiesa e Poggiolini, ma le consulenze, i progetti, i posti nelle compagini delle società miste, le assunzioni, gli incarichi. E’ anche qui che avviene l’intreccio criminale tra controllori e controllati, è in questi segmenti che si radica il rapporto collusivo tra criminalità organizzata e pezzi delle Istituzioni: politici - che hanno realizzato anche le nuove modalità di finanziamento illecito dei partiti - funzionari e dirigenti di enti pubblici, magistrati, appartenenti alle forze dell’ordine e dei servizi segreti. Spesso il collante di questi segmenti deviati - non residuali, purtroppo - delle Istituzioni sono centri di potere molto influenti: logge massoniche coperte, lobby, comitati d’affari, club di servizi, strutture talvolta con ampie radici nel mondo ecclesiastico.

Di fronte ad un cancro di tali dimensioni la lotta alle mafie a 360 gradi viene svolta da irriducibili: taluni magistrati ed appartenenti alle forze dell’ordine, singoli politici, esponenti della società civile. Siamo ancora troppo pochi e sotto assedio dei poteri forti e di quelli criminali. Lo Stato, nel suo complesso, invece, si accontenta del contrasto solo ad un certo «livello» di mafia: le estorsioni, il traffico di droga, gli omicidi. Quando si affronta, invece, il nodo fondamentale - quello che rappresenta la linfa vitale del sistema mafioso - i rapporti mafia-politica, mafia-economia e mafia-istituzioni, si rimane isolati: non è più lo Stato che agisce, ma servitori dello Stato.

E’ su questi temi che la storia d’Italia ha conosciuto la stagione degli omicidi politico-mafiosi, è su tali intrecci criminali che si stanno consolidando quelle che si possono chiamare le morti professionali di servitori dello Stato da parte di articolazioni dello Stato stesso: si tratta delle tecniche raffinatissime di neutralizzazione dei servitori dello Stato scomodi, ingombranti, deviati ed antropologicamente diversi per il sistema mafioso. Quello che è più grave è che tali nuove strategie - per nulla estemporanee - avvengono nel silenzio e, in taluni casi, anche con il contributo di chi dovrebbe essere tra i principali alleati di coloro i quali contrastano - non con chiacchiere o passerelle politico-istituzionali - le forme più pericolose ed insidiose delle mafie: quella dei colletti bianchi del terzo millennio.

Ed è su questi temi che ho trovato importanti le immediate prese di posizione congiunte, con riferimento alla lotta alle mafie, al Parlamento Europeo - nelle prime riunioni - tra parlamentari di Italia dei Valori e Partito democratico. Ed è per questo che tutte le forze democratiche del Paese debbono vigilare affinché le indagini in corso presso le Procure di Palermo e di Caltanissetta non subiscano interferenze che possono provenire non solo dalla politica, ma anche dall’interno dello stesso ordine giudiziario: non posso non ricordare che, in epoca assai recente, indagini giudiziarie molto rilevanti proprio sulla criminalità organizzata dei colletti bianchi non sono state fermate dalla mano militare dei Riina e Provenzano di ultima generazione ma dalla carta bollata del Consiglio Superiore della Magistratura che ha trovato convergenze parallele con la politica ed i poteri forti.




2 commenti:

vanda ha detto...

In bocca al lupo Onorevole de Magistris Speriamo che qualcosa si riesca a fare e che riescano a trovare un punto d'incontro in tutto, tra I.D.V.e ilP.D.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

A rileggere questo intervento dell'on. De Magistris ci si rende conto che ha fatto una vera e propria requisitoria, il cui contenuto è a dir poco agghiacciante.
Lo 'status quo' della politica italica non lascia ben sperare che la lotta alle mafie di ogni genere possa essere condotta con determinazione ed efficacia, incarcerando i mafiosi e collusi con i mafiosi ed espellendo dal corpo della politica personaggi equivoci, immorali, del tutto priva di etica professionale.
Come tutte le persone ben informate sanno, De Magistris è stata una vittima della collusione fra mafie calabresi, magistrati ed altri pezzi dello stato.
Un uomo coraggioso che in assoluta solitudine (appena le sue indagini si fecero penetranti e pericolose, fu emarginato, isolato, sottoposto a mille accuse calunniose, a procedimenti disciplinari a getto continuo), che è la condizione prima per eliminare il servitore dello Stato vero, non colluso nè corruttibile.
De Magistris è stato difeso dal popolo dei blog, da politici della minoranza fatti della stessa pasta, ma non dallo Stato nelle sue massime rappresentanze, le quali addirittura intervennero compatte per affondare (com'è poi accaduto) la coraggiosa procura della repubblica di Salerno (il procuratore capo sospeso dalle funzioni e dallo stipendio, sottoposto a procedimenti disciplinari con incolpazione che preve3devano l'espulsione dal cropo della magistratura, dalla quale di recente si è dimesso, due sostituti trasferiti fulmineamente per incompatibilità ambientale), non sorrettta nemmeno dalla magistratura amministrativa.
Prima questi magistrati irriducibili e coraggiosissimi venivano neutralizzati mediante la soppressione fisica che coinvolgeva anche cittadini del tutto estranei (la strage di Via D'Amelio a Palermo).
Oggi le tecniche si sono fatte più raffinate, sia nella gestione della corruzione di pubblici funzionari (non più valigette piene di denaro ma consulenze strapagate, per es.), sia nella neutralizzazione di magistrati alla De Magistris.
Si chiama morte civile, il discredito e le calunnie sono più pericolose delle armi e degli esplosivi.
Le 'persone informate sui fatti' sapevano che la sorte di De Magistris e della Forleo era segnata, ma non si sono rassegnate e hanno, abbiamo fatto in modo che la neutralizzazione di questi due magistrati non avvenisse nel silenzio più totale delle istituzioni e della c.d."pubblica opinione", una espressione ormai vuota di significato, che questi scandali italiani non restassero confinati in Italia.
La pubblica opnione in altri stati funziona, i giornali non sono acculati al potere come da noi (eccetto due-tre testate in tutto).
Per questi motivi è necessario dare forza contrattuale mediante il consenso elettorale a quei partiti, esistenti o nascenti, che di queste lotte hanno fatto il loro cavallo di battaglia.
Il PD forse in Europa solidarizza con l'IdV, ma in Italia è del tutto assente, fatto così com'è da uomini, uominicchi e quaquaraquà, come diceva Leonardo Sciascia.