«E’ vero, sulle vicende private di Silvio Berlusconi non abbiamo scritto una riga. Ed è una scelta che rivendico, perché ha ottime ragioni». Dice Gian Maria Vian, direttore dell’Osservatore Romano, il quotidiano del Papa, che «il giornalismo italiano pare diventato la prosecuzione della lotta politica con altri mezzi. Segno che la politica, in tutti i suoi schieramenti, è piuttosto debole. Infatti da alcuni mesi la contesa tra partiti sembra svolgersi soprattutto sui giornali, che hanno assunto un ruolo non soltanto informativo, come mostrano le vicende anche degli ultimi giorni. Ma forse — aggiunge Vian — non si è data sufficiente attenzione al fatto che, il giorno stesso in cui è esploso il caso del direttore di Avvenire, su Repubblica Vito Mancuso ha attaccato, con molte approssimazioni storiche e una durezza insolita, il cardinale segretario di Stato, presentando come un appuntamento politico una cerimonia religiosa antica di sette secoli, che quest’anno rivestiva una solennità particolare dopo la tragedia di un terremoto da trecento morti. Così, nel giro di quattro ore, l’Osservatore ha risposto con un editoriale che ha chiarito il significato della Perdonanza e ribadito che non ci occupiamo di polemiche contingenti. Quanto alla rinuncia del presidente del Consiglio, che è stato rappresentato da Gianni Letta, si è trattato di un gesto concordato, di responsabilità istituzionale da entrambe le parti. Tanto più che i rapporti tra le due sponde del Tevere sono eccellenti, come più volte è stato confermato. Anche sul nostro giornale, che per la prima volta, l’anno scorso, ha intervistato, insieme agli altri media vaticani, sia il presidente della Repubblica sia il presidente del Consiglio». L’Osservatore Romano non si è mai occupato delle vicende di Berlusconi anche perché, spiega il direttore, «negli ultimi due anni il giornale è cambiato. Prima c’erano una o anche due pagine di cronaca italiana e un’altra di cronaca di Roma. Siamo un giornale piccolo, anche se importante. Proprio su richiesta del nostro 'editore' abbiamo triplicato lo spazio delle informazioni internazionali. E, in genere, il quotidiano della Santa Sede oggi non è solito entrare negli scontri politici interni dei diversi Stati, a cominciare dall’Italia. Preferiamo dedicarci ad analisi di ampio respiro, piuttosto che seguire vicende molto particolari, controverse e di cui spesso sfuggono i contorni precisi, come quelle italiane degli ultimi mesi».
Sul caso che riguarda il direttore di Avvenire, non è certo in discussione la solidarietà personale con Dino Boffo. Vian, che lo conosce da quindici anni ed è stato editorialista del giornale dei cattolici italiani, gliel’ha espressa per iscritto, il giorno stesso. E’ un dato però che la linea dell’Osservatore Romano non sia stata la stessa del giornale dei vescovi, e taluni editoriali di Avvenire molto critici verso il governo abbiano destato sconcerto Oltretevere: «Non si è forse rivelato imprudente ed esagerato — si chiede Vian — paragonare il naufragio degli eritrei alla Shoah, come ha suggerito una editorialista del quotidiano cattolico? Anche nel mondo ebraico, ferma restando la doverosa solidarietà di fronte a questa tragedia, sono state sollevate riserve su questa utilizzazione di fatto irrispettosa della Shoah. E come dare torto al ministro degli Esteri italiano quando ricorda che il suo governo è quello che ha soccorso più immigrati, mentre altri – penso per esempio a quello spagnolo – proprio sugli immigrati usano di norma una mano molto più dura? Mi sembra davvero un caso clamoroso, nei media, di due pesi e di due misure » .
Anche l’informazione religiosa, denuncia Vian, tende ad appiattirsi sulle tendenze deteriori di quella politica, anch’essa un tempo in genere più ampia e approfondita. «Sono stato accreditato in sala stampa vaticana dal 1975 al 2007, e ricordo quindi benissimo il direttore Federico Alessandrini, in precedenza vicedirettore dell’Osservatore: un gentiluomo d’altri tempi sempre disponibile a spiegare le cose, che aveva tutta la preparazione per farlo e interlocutori giornalisti ben più preparati e tuttavia desiderosi davvero di capire. Oggi, invece, sembra aperta la caccia al prelato, meglio se cardinale, e preferibilmente per una battuta polemica. E così si finisce anche per ripiegare su figure di ecclesiastici, magari autorevoli ma ormai ritirati, oppure che non hanno il ruolo istituzionale per parlare a nome della Santa Sede, come ha dovuto precisare l’attuale successore di Alessandrini, il gesuita Federico Lombardi. Mentre, per fortuna, mi sembra che questa abitudine non sia così diffusa tra i vaticanisti non italiani». Vian non fa nomi, ma non è impossibile vedere dietro le sue parole il profilo del cardinale Lozano Barragán per la sanità e di monsignor Sgreccia per la bioetica, entrambi emeriti. «Ora, per esempio, dei migranti ha la responsabilità un diplomatico come l’arcivescovo Vegliò, che ha dimostrato sensibilità e prudenza; certo, se si mette in discussione il suo ruolo o, peggio, si dicono enormità sul suo conto, come è stato fatto frettolosamente e con impudenza, lui ha tutto il diritto di reagire, anche con energia, come ha fatto».
Ma i rapporti tra l’Italia e la Santa Sede, ribadisce Vian, «sono buoni. Berlusconi è stato il primo a chiarire che non sarebbe andato a Viterbo per la prossima visita del Papa, quando ha capito che la sua presenza avrebbe causato strumentalizzazioni. L’incontro dell’Aquila è saltato per non alimentare le polemiche, ma era stato previsto proprio per segnare simbolicamente un impegno comune, dello Stato e della Chiesa, per le popolazioni colpite dal terremoto. Con la presenza del cardinale Bertone a rappresentare Benedetto XVI, che è anche primate d’Italia. No, nelle relazioni tra Repubblica Italiana e Santa Sede non cambia nulla».
Aldo Cazzullo
31 agosto 2009
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