di Mario Coffaro
ROMA (5 ottobre) - La decisione della Corte costituzionale sui ricorsi dei magistrati di Milano e di Roma che vorrebbero una pronuncia di illegittimità del “lodo Alfano” (sospende i processi per le alte cariche dello Stato, presidente della Repubblica, del Senato, della Camera e del Consiglio) non è detto si risolva in un sì o un no secco. Potrebbe essere un verdetto più complesso, con una conferma e una dichiarazione di illegittimità solo di alcune parti del “lodo Alfano”.
Secondo i ricorsi sarebbero violati: il principio di uguaglianza previsto dall’art.3, la ragionevole durata del processo (art.111), l’obbligatorietà dell’azione penale (art.112), il giudicato costituzionale (art.136), e le guarentigie dei parlamentari, del Capo dello Stato e dei ministri (art. 68, 90 e 96). Ma la censura di violazione dell’art.3 della Costituzione (uguaglianza dei cittadini davanti alla legge) fu già considerata e superata proprio dalla sentenza n. 24 del 2004, che ha ritenuto fondamentali i valori rispetto ai quali il legislatore ha ritenuto prevalente l’esigenza di protezione della serenità nello svolgimento delle attività connesse alle cariche in questione. E quella sentenza che bocciò il “lodo Schifani” è stata scritta dall’attuale presidente Francesco Amirante. Domani il relatore Franco Gallo e i suoi 14 colleghi si troveranno davanti a una decisione delicata. Il “lodo” potrebbe superare le censure dei ricorsi ma è sufficiente la legge ordinaria oppure occorre una legge costituzionale?
Il collegio.
Il plenum. Il plenum nell’udienza sul “lodo Alfano” è garantito. L’istanza dell’avvocato veneto Ivone Cacciavillani per chiedere che dall’udienza sul “lodo Alfano” si astengano Luigi Mazzella e Paolo Maria Napolitano - i due giudici che la scorsa estate sedettero a cena con il premier Silvio Berlusconi e il Guardasigilli Angelino Alfano - non ha fondamento giuridico. I giudici costituzionali godono della insindacabilità delle opinioni e dei voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni; non possono essere rimossi nè sospesi (salvo per decisione della Corte a maggioranza dei due terzi e quando si tratti di sopravvenuta incapacità fisica o civile, o per gravi mancanze); non possono essere ricusati e non hanno l’obbligo di astenersi (lo prevede il regolamento integrativo della Corte modificato un anno fa).
Gli orientamenti. Gli orientamenti dei giudici costituzionali non sono prevedibili, considerata l’eterogeneità della Corte che per un terzo è composta da giudici nominati dal Capo dello Stato (Franco Gallo, Sabino Cassese, Giuseppe Tesauro e Maria Rita Saulle scelti dall’ex presidente Ciampi, Paolo Grossi da Napolitano), per un altro terzo da giudici provenienti dalle alte Corti (il presidente Francesco Amirante dalla Cassazione assieme ad Alfio Finocchiaro e Alessandro Criscuolo, dal Consiglio di Stato Alfonso Quaranta, dalla Corte dei Conti Paolo Maddalena). Né l’area di provenienza dei giudici eletti dal Parlamento (Ugo De Siervo è stato votato su indicazione del centrosinistra, così come Gaetano Silvestri, mentre Luigi Mazzella, Paolo Maria Napolitano e Giuseppe Frigo del centrodestra) basta a predirne i voti.
I tempi. Quella sul “lodo Alfano” è la prima causa in ruolo domani alla Consulta. È la più importante e finita l’udienza i giudici si riuniranno nel pomeriggio in camera di consiglio per discutere la causa e votare la decisione. Potrebbe essere necessario un rinvio al giorno successivo, ma non è detto. Meno probabile un rinvio a lungo termine. Gli avvocati del premier Silvio Berlusconi e l’avvocatura generale dello Stato puntano a una pronuncia della Corte a favore dell’infondatezza o dell’inammissibilità per difetto di rilevanza della questione: in entrambi i casi il “lodo Alfano” non verrebbe intaccato e i processi di Berlusconi resterebbero sospesi. Ma nell’ipotesi di una bocciatura i processi in cui è imputato (Mills e diritti televisivi a Milano, istigazione alla corruzione a Roma) riprenderebbero subito.
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