giovedì 8 ottobre 2009

Ah, se fosse rimasto Prodi


di Rodolfo Brancoli

Quanto ha pesato l’avvicinarsi della sentenza nel processo Mills sullo scioglimento anticipato delle camere nel 2008? Molto, anzi moltissimo, se si parte da un dato incontrovertibile: con la prosecuzione della legislatura, non importa se con il governo Prodi o con il governo Marini, non ci sarebbe stato nessun lodo Alfano e Berlusconi sarebbe stato condannato assieme all’avvocato inglese. Stando all’opposizione, o anche garantendo l’appoggio a un governo istituzionale, non ci sarebbe stata salvezza. Infatti il tentativo affidato da Napolitano al sen.Marini venne bocciato, aprendo la strada alle elezioni.

Perciò, partendo da quel dato di fatto, e dalla fretta con cui a vittoria avvenuta governo e maggioranza votarono il lodo, si può tentare una rilettura delle vicende che portarono allo scioglimento del Parlamento e alle elezioni nella primavera del 2008. Berlusconi, appunto, aveva fretta. Lui e i suoi avvocati sapevano che la sentenza si avvicinava. Nella frenetica ricerca della “spallata” che attraversò tutto il 2007 non c’era solo una legittima sete di rivincita. Bisognava che le camere fossero sciolte a gennaio, che si votasse in primavera, che – scontando la vittoria – il governo si insediasse entro maggio, che il lodo venisse approvato prima dell’estate. E prima della sentenza.

Ma la strategia delle spallate, malgrado uno shopping furioso al Senato e raccomandazioni di divette per far felice qualche senatore, non stava portando risultati. L’ultimo tentativo venne fatto il 15 novembre, sulla Finanziaria. Berlusconi era così sicuro di farcela, che aveva fatto organizzare per il 17 e 18 dei gazebo in tutta Italia per raccogliere firme sotto una petizione per andare subito a elezioni. Fallita anche quell’ennesima spallata, si trovò in un angolo, abbandonato anche da alcuni dei suoi alleati. Rilanciò con l’annuncio, dal predellino di un auto per farsi vedere, che Forza Italia si sarebbe sciolta in un nuovo partito “per raccogliere tutti i moderati in una sola formazione”. Ma non bastava certo per raggiungere il suo obbiettivo.

Per sua fortuna scattò in parallelo il “soccorso rosso”. E qui le date sono importanti. Il 9 novembre 2007 Veltroni aveva incontrato Bertinotti per illustrargli la sua proposta di legge, che prevedeva il proporzionale senza premi di coalizione. E lì prese corpo quella “separazione consensuale” che verrà ufficializzata a camere sciolte, i due condividendo l’intenzione di sciogliere l’Unione e correre ciascuno per proprio conto. L’11 novembre la proposta di legge diventa pubblica. Il 30 novembre Veltroni incontra Berlusconi, proclamando la fine dell’antiberlusconismo, definendo ”importante e utile” l’apertura di Berlusconi al dialogo sulla legge elettorale, e affermando di aver verificato una “convergenza sula necessità di tornare al sistema proporzionale”. E Berlusconi conferma che su quella proposta ci sono “francamente buone probabilità di trovare una intesa” .

Il 4 dicembre, in una intervista a Repubblica, Bertinotti liquida l’Unione e paragona Prodi a “un poeta morente”. Berlusconi invece è un'altra cosa, gli appare uno statista pensoso delle sorti delle istituzioni. Dice nella stessa intervista: “Penso abbia preso atto della crisi del sistema e della crisi del centrodestra. Dunque, se rileggo le sue mosse, considero attendibile che anche lui, stavolta, cerchi un accordo per rinnovare il quadro politico istituzionale”. Siamo a gennaio 2008. Il 16 Mastella, indagato, si dimette da ministro ma garantisce l’appoggio esterno dell’Udeur. Numericamente non cambia niente. Il 19, in un discorso a Orvieto Veltroni annuncia però che si è “a un passo” dall’intesa sulla legge elettorale e che comunquequale che sia il sistema elettorale, la prossima volta alle urne il Pd si presenterà con le sue liste”. Cioè da solo. Un commentatore definisce quell’annuncio “l’autospallata” del centrosinistra. Capito il messaggio, il 21 L’Udeur esce dalla maggioranza. E’ la crisi, e Prodi cade al Senato il 24 gennaio. Tempo tre minuti e Bettini, anche lui affermando che “eravamo a un passo dall’accordo” sulla nuova legge elettorale, si appella a Berlusconi perché accetti un governo a termine per le riforme.

Per le riforme, ma anche per spostare al 2009, assieme alle europee, l’appuntamento elettorale in modo da prendere le distanza dalla fallimentare esperienza dell’Unione e dar tempo al Pd di rafforzarsi. Ci si era bizzarramente autoconvinti che Berlusconi avrebbe fatto cioè l’interesse degli altri anziché, logicamente, il proprio. E infatti tolse subito ogni illusione, dichiarando al Tg5: “Chiederemo al Capo dello Stato le elezioni, sperando che possano tenersi al più presto. Ci opporremo a eventuali manovre di Palazzo”. L’incarico a Marini nacque morto, e le camere vennero sciolte. Tanto peggio per chi si era fidato. Vinte, come era prevedibile, le elezioni, il 26 giugno 2008 il consiglio dei ministri approvò il lodo Alfano, che divenne legge il 27 luglio.

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