Le primarie del Partito democratico, con una partecipazione oltre le attese, hanno incoronato Pier Luigi Bersani.
Ma la strada del nuovo segretario è tutta in salita.
di Emilio Carnevali
di Emilio Carnevali
Pier Luigi Bersani è il nuovo segretario del Partito democratico. È stato eletto con percentuali che non si sono discostate molto dal precedente responso degli iscritti del partito, segno che – piaccia o no – aveva ragione D’Alema nell’affermare: “gli iscritti non sono marziani, ma normali cittadini”.
La cosiddetta “base democratica” – costituita in gran parte da borghesia urbana, insegnanti, impiegati pubblici, intellettualità di massa con formazione prevalentemente umanistica, qualche studente di “cultura Erasmus-Mtv” molto sensibile alle battaglie sulla laicità e la modernizzazione dei costumi – ha fornito ieri una straordinaria prova di partecipazione, garantendo un risultato molto al di sopra delle stesse aspettative della macchina organizzativa del partito. Su questo risultato ha influito anche la voglia di molti cittadini – al di là delle preferenze sui singoli candidati – di dare una testimonianza di vitalità di quei settori sociali non catturati dal consenso verso l’attuale maggioranza di governo.
Le sobrie parole con le quali Bersani ha celebrato la vittoria rivelano come l’uomo sia ben consapevole che i problemi sono ancora tutti sul tappeto. Veltroni aveva ricevuto una investitura di voto popolare altrettanto forte, eppure la sua segreteria è stata un totale disastro (e non certo perché l’ex sindaco di Roma non abbia tenuto fede alle idee con le quali si era presentato di fronte al “popolo delle primarie”…). Comunque aver evitato che il voto degli elettori ribaltasse quello degli iscritti è – dal punto di vista della tenuta del partito – un primo successo che il neosegretario può oggettivamente rivendicare.
Bersani non sarà promotore di alcuna grande discontinuità nel profilo strategico del Partito democratico. Le rimostranze di diverse personalità del Pd per il rischio di uno spostamento troppo a sinistra della nuova segreteria non si fondano su reali divergenze programmatiche, ma su problemi di riposizionamento di settori del ceto politico che con i nuovi assetti interni potrebbero trovare meno spazio (e che si stanno organizzando di conseguenza).
Che però il nuovo segretario voglia dedicare, stando alle sue prime dichiarazioni, particolare attenzione al “lavoro e alla precarietà” è cosa saggia e apprezzabile, come tutte le cose che dovrebbero essere ovvie ma che non lo sono: è incredibile che immersi come siamo in una crisi economica e occupazionale di tale portata, l’opposizione non abbia dato assoluta priorità a tali questioni.
L’ex ministro dell’industria e dello sviluppo economico ha grande familiarità col mondo della piccola e media impresa (familiarità grazie alla quale ha sempre tenuto ottimi rapporti con la Lega Nord e con Comunione e Liberazione, leggasi Compagnia delle Opere, che contende alle cooperative rosse – grandi sponsor di Bersani – il prelibato boccone del federalismo). La sua è una visione pragmatica ed interclassista molto più concentrata sulla produzione della ricchezza che sulla sua distribuzione (una buona panoramica delle sue idee in materia è fornita dal volume scritto qualche anno fa con Enrico Letta Viaggio nell’economia italiana, Donzelli Editore).
Anche sulla precarietà le sue idee sono tutt’altro che radicali, tanto più che dovrà mediare – come ha già fatto nel corso dell’estensione della propria mozione – tra l’ala “confindustriale” del partito, l’ala liberal (quella, per capirci, sostenitrice della flexsecurity basata su contratto unico, salario minimo orario, riforma degli ammortizzatori sociali) e quella vicina al sindacato (all’interno del quale molti vedono con sospetto tutti quei progetti che mirano a disarticolare il sistema della contrattazione collettiva).
Non sarà facile il cammino del nuovo segretario. Bersani si è laureato in filosofia con una tesi su Gregorio Magno, un grande papa che alla fine del VI secolo indagò la natura del potere arrivando a conclusioni originalissime per il suo tempo: “Il diritto è connaturato al potere e come istituzione il potere è buono”, scriveva Gregorio al re dei franchi Childeberto. A patto che chi lo esercita ne faccia buon uso e sia “più lieto di aiutare gli uomini che di comandarli”.
Le parole di un papa sono il miglior augurio che si possa fare al nuovo segretario: per ritirare su questa opposizione, infatti, ci vorrebbe un miracolo.
(26 ottobre 2009)
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