giovedì 29 ottobre 2009

BERSANI PARTE DA DI PIETRO E CERCA DI FERMARE RUTELLI


Il neosegretario alle prese con le alleanze interne ed esterne
di Stefano Ferrante


Davanti ai giornalisti, nell’atrio della sede del Pd, alla fine del faccia a faccia, Bersani e Di Pietro vanno via insieme. È l’istantanea che consacra l’alleanza. Perché aspettando le intese che verranno il neosegretario riparte da chi già con il Pd si è presentato alle elezioni. Le distanze – quelle stesse che Bersani accentuava durante il congresso per smarcarsi dalla gestione Veltroni-Franceschini – restano, a cominciare dai rapporti con il Quirinale, ma adesso finiscono in secondo piano. D’altra parte bisogna “costruire l’alternativa al governo” per il leader del Pd, occorre “liberarsi della cappa berlusconiana” per quello dell’Idv. “L’analisi della situazione economica e sociale è condivisa, c’è la volontà di convergere, alle regionali vedremo caso per caso, faremo incontri periodici”, dice Bersani, che precisa: “ciascuno manterrà le sue individualità, ci sono modi diversi di fare opposizione su temi diversi”. E Di Pietro: “Ognuno ha il suo modo di essere e di fare, Bersani è pragmatico, a me mi conoscete”. Differenze che a tutti e due i leader conviene comunque rimarcare. Ma il messaggio è chiaro e forte: il Partito democratico del nuovo corso non pensa a sostituire un alleato con un altro, l’Italia dei valori con l’evoluzione dell’Udc - tutta da costruire - ma piuttosto ad allargare il centrosinistra. La spiegazione è in bersanese puro: “Il mio messaggio è largo, la politica non è un lenzuolo che lo puoi tirare da una parte e dall’altra, se noi siamo il baricentro le convergenze arriveranno da tutti i lati”. Di Pietro dal canto suo non rivendica candidati governatori: “Facciamo un passo indietro, ma vogliamo che ci sia il rinnovamento della classe dirigente, soprattutto dove c’è stata cattiva amministrazione”. Ovvero, non si confermino i presidenti uscenti nelle regioni squassate dalle inchieste. Il caso più spinoso è quello della Calabria. L’Idv non vuole la ricandidatura del governatore Loiero, che però è un grande elettore di Bersani. Il neosegretario ha chiesto tempo. Prematuro parlarne ora, visto che ben sei segretari regionali del Pd devono ancora essere scelti al ballottaggio.
Ma prima della grana delle candidature c’è quella del nuovo organigramma del partito. Per questo Bersani ha visto Franceschini. Il primo nodo è quello dei capigruppo di Montecitorio e Palazzo Madama, dopo le dimissioni di Soro e Finocchiaro. “Una scelta che Bersani dovrà fare tenendo conto di tutti, non possono pensare di imporli, deputati e senatori non sono in maggioranza bersaniani, sono stati eletti quando segretario era Veltroni, ma lui deve accontentare troppi dei suoi, Enrico Letta, la Bindi…”, dicono dallo staff di Franceschini. Quelli di Area democratica, la corrente battezzata dal segretario uscente all’indomani della sconfitta alle primarie, sono in preallarme, vedono con sospetto l’ultimo tentativo affidato a D’Alema, di trattenere Rutelli, temono che alla fine pur di tenerlo nel Pd possano offrirgli un ruolo visibile da capofila degli oppositori interni proprio a scapito degli ex popolari e dei veltroniani. Anche per questo l’anticipazione dell’intervista rilasciata da Veltroni a Bruno Vespa per il suo prossimo libro, suona quasi come un avvertimento: “Se il Pd rifluisce sulle posizioni della sinistra socialista o punta alla grande coalizione si suicida”- dice Veltroni. Bersani non crede a un esodo degli ex dc, però ha tranquillizzato Franceschini: “Non ci saranno epurazioni, lavoreremo insieme”. Ma la ricaduta dello strappo di Rutelli è tutta da vedere. L’ex leader della Margherita tace. Ma prima, a palazzo Ruspoli, tiene a battesimo la nuova Associazione del Buon Governo, embrione del nuovo centro che “ vuole costruire una nuova offerta politica”, con un manifesto, una pagina sottoscritta da 11 big, dal sindaco di Venezia Cacciari, al presidente trentino Dellai, all’ex ministro Lanzillotta, a Bruno Tabacci, poi va a fare visita al leader dell’Udc Casini, che “manifesta rispetto e apprezzamento“ per l’iniziativa. “Così si costruisce un nuovo centro – spiega Tabacci - il Pd guarda a sinistra, lo spazio c’è, il bipolarismo ha fallito. Questo è l’unico modo possibile per traghettare gli scontenti del Pd, che non sarebbero mai entrati nell’Udc”. Anche per questo, i centristi sono decisi ad andare ovunque da soli alle regionali.

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