martedì 20 ottobre 2009

COSÌ TORNA LA VECCHIA ALITALIA


Accorpamenti di voli debiti e bassi ricavi
di Stefano Feltri


Quando sabato, all’aeroporto di Verona, i passeggeri di un volo Alitalia hanno iniziato a sospettare che l’annullamento del loro volo nascondesse in realtà un accorpamento, hanno iniziato a farsi una domanda. Non sarà che sta tornando la solita vecchia Alitalia, nonostante le privatizzazioni, i capitani coraggiosi della Cai e i 300 milioni di prestito ponte forniti per patriottismo aziendale dal contribuente italiano?
Il caso, denunciato sul “Fatto Quotidiano” da Oliviero Beha, nasconde una prassi sgradevole per i clienti ma normale per l’azienda: “In Alitalia si è sempre fatto - spiega un ex pilota - sulle rotte con voli frequenti non si fanno viaggiare gli aerei mezzi vuoti, piuttosto si sopprime il volo e si spostano i passeggeri sulla corsa successiva. Soprattutto se il numero di persone non basta a coprire neppure i costi di carburante”. Discorso diverso per i voli intercontinentali che possono viaggiare anche quasi vuoti su una tratta se c’è la certezza che torneranno indietro pieni.
Il ricorso agli accorpamenti non è il solo indizio che la nuova Alitalia sta tornando a essere come quella vecchia, almeno in certe caratteristiche.
IL BUSINESS. Nei giorni scorsi l’amministratore delegato di Alitalia, Rocco Sabelli, si è detto soddisfatto del load factor dei suoi aerei, cioè della percentuale di riempimento: “Il nostro coefficiente di riempimento è salito al 76,8 per cento”, ha detto in un colloquio con “La Stampa” il 13 ottobre. Circa gli stessi livelli della vecchia Alitalia, anche se ancora di qualche punto inferiori a quelli dei concorrenti. Ma sono altre le continuità più rilevanti. Il piano Fenice, quello con cui la Cai (Compagnia aerea italiana, presieduta da Roberto Colaninno e alleanza dei “capitani coraggiosi” raccolti da Silvio Berlusconi) aveva quattro pilastri: avere “costi più bassi e meno inefficienze”, come ha detto Sabelli; sfruttare al meglio il monopolio su alcune rotte italiane, in particolare quella Milano-Roma (che da sola vale il 10 per cento del traffico interno), avere un’azienda più piccola con meno aerei e farli volare di più. Quest’ultimo punto è stato abbandonato, perché tecnicamente impraticabile, anche se la flotta è stata ridotta di 45 veicoli. Un taglio che, secondo alcuni osservatori dell’azienda, è la vera spiegazione per la tenuta del load factor (stesso numero di passeggeri ripartito su meno aerei che quindi sono più pieni).
Per quanto riguarda gli altri obiettivi, Ugo Arrigo, professore di Finanza pubblica alla Bicocca di Milano, spiega: “Con la crisi economica Alitalia non ha potuto alzare i prezzi sul mercato interno, come avrebbe voluto fare (combinando il rincaro con un taglio delle tariffe per i voli europei e un’altra lieve maggiorazione su quelli intercontinentali), perché non c’erano le condizioni di domanda. Secondo l’Istat il costo dei voli aerei è addirittura sceso del 18 per cento”. I mancati rincari, però, sono stati compensati dal crollo del prezzo del petrolio che in un anno è passato da 140 dollari al barile a 70: nel 2009 la compagnia è riuscita a procurarselo a circa 57 dollari mentre per il 2010 ha già accordi per averlo a 68/69. Alitalia sta anche riuscendo a risparmiare sui costi fissi - incluso quello dei dipendenti - che però non sono mai stati il suo vero punto debole, tanto che il commissario liquidatore della bad company (quel che resta della vecchia Alitalia, soprattutto debiti) non lo includeva nella lista dei fattori strutturali che hanno determinato il fallimento, come si può leggere nella sua relazione al tribunale civile di Roma del novembre scorso. E lo stesso sostengono i dipendenti in cassa integrazione di Alitalia che hanno realizzato il documentario “Tutti giù per aria”: il problema non è mai stato il costo del lavoro.
I CONTI. “Anche la vecchia Alitalia chiudeva il trimestre estivo in pareggio”, dice il professor Arrigo per ridimensionare l’ottimismo con cui Sabelli ha annunciato ieri i risultati del terzo trimestre 2009 alle rappresentanze dei sindacati. Colaninno ha smentito che ci sia bisogno di un aumento di capitale, ma i soci della Cai non sono entusiasti dell’investimento anche se - si è scoperto da poco - nessuno si è ancora sganciato, neppure Emma Marcegaglia che lo aveva annunciato quasi un anno fa. “Il problema di Alitalia è che è riuscita a ridurre alcuni costi, ma non ha trovato un modo per aumentare i ricavi. Ha tagliato alcuni voli intercontinentali che sono quelli con un maggior margine di guadagno per passeggero. Anche per questo, basandomi sui numeri e sui trend attuali, temo che l’azienda chiuderà il 2009 in rosso di 500 milioni di euro”. Nei primi sei mesi ne ha già persi 273. Il recente finanziamento di 100 milioni di euro per quattro anni concesso all’azienda dalle banche Unicredit e Intesa Sanpaolo (che è pure azionista della Cai, oltre che consulente del governo nella fase di privatizzazione) è una normale operazione di finanza aziendale, ma non tutti hanno visto come un segnale positivo il fatto che un’azienda fallita per i troppi debiti ora ricominci a indebitarsi per cifre così rilevanti.
I LAVORATORI. Tra i risultati vantati da Berlusconi - “la sfida è quasi vinta”, ha detto nei giorni scorsi - c’è la difesa dei posti di lavoro. Ma quei dipendenti che sono riusciti a conservarlo (sugli aerei e a terra gli organici sono ridotti al minimo, si racconta anche di impiegati distaccati allo scarico bagagli durante l’esodo estivo), stanno scoprendo a quale prezzo. Il movimento delle “mamme inCAIvolate” protesta da mesi contro le lettere di assunzione firmando le quali - con l’avallo dei sindacati - hanno rinunciato a una serie di limitazioni di orario che spettano per legge a chi ha figli piccoli (sotto i tre anni o sotto i dodici se si è unici affidatari) o disabili in famiglia. Oltre a condurre una battaglia legale contro la compagnia, si sono mossi per cercare sponde politiche. E visto che le promesse sui dipendenti sono state una vicenda molto politica, argomento forte della campagna elettorale berlusconiana, bisogna registrare le posizioni in campo: Maurizio Sacconi, ministro del Welfare, rappresenta la linea dura, che cerca di difendere l’Alitalia per evitare che il malcontento dei lavoratori danneggi l’immagine dell’impresa e dei “sedici coraggiosissimi imprenditori”, come li ha definiti Berlusconi. Le mamme e gli altri dipendenti in rivolta stanno invece trovando una sponda in Mara Carfagna, ministro delle pari opportunità, e in una parte della destra, da Gianfranco Fini ad Alessandra Mussolini. Il ruolo di mediazione, come sempre, spetta al sottosegretario Gianni Letta che ha il compito di non far rimpiangere troppo - almeno ai dipendenti - l’Alitalia di una volta.

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Non ne abbiamo mai dubitato, tutto quello che tocca il cav. è oro per lui e merda per gli altri.