domenica 25 ottobre 2009

E Fini avverte il Cavaliere: rischi la fine del berlusconismo


«Berlusconi sa che deve passare sul mio corpo per andare alle elezioni anticipate, ma sa anche che di me può fidar­si, che non darò mai il mio as­senso a un governo senza il man­dato popolare». Da settimane Fi­ni ripete questo concetto nei suoi colloqui ri­servati. Da settima­ne il presidente della Camera osserva quel­la porta che conduce al­le urne e che vuole resti chiu­sa. Ieri pe­rò, al termi­ne della conversazio­ne con il pre­mier, ha avuto come l’impressio­ne che nell’uscio si fosse aperto uno spira­glio, sebbene appaia impensa­bile una crisi provocata dal brac­cio di ferro tra il premier e Tre­monti, che chiede per sé la vice­presidenza del Consiglio e la de­lega dell’economia. Non gli è chiaro se il Cavaliere voglia usare strumentalmen­te lo scontro con il Professore per anticipare la fine della legi­slatura, anche perché non gli è chiaro l’atteggiamento della Le­ga, che non è compatta dietro il titolare di via XX settembre. Semmai gli è chiaro cosa acca­drebbe se Berlusconi concedes­se a Tremonti quello che preten­de. «Silvio il problema è tuo», gli ha detto Fini, secondo il qua­le un cedimento del premier rap­presenterebbe il suo «commissa­riamento» e «la fine del berlu­sconismo», con «conseguenze disastrose nel Pdl, alleanze com­prese». Infatti il Cavaliere ha det­to «no» al Professore, che si la­menta per essere «isolato» nel governo, «senza incarichi» nel partito, e vorrebbe perciò un ri­conoscimento. «Tremonti non cambierà mai». Per formarsi questa opi­nione l’inquilino di Montecito­rio non ha avuto bisogno di sa­pere ciò che gli ha riferito Berlu­sconi del vertice di ieri: «Giulio è sempre lo stesso, è sempre la stessa storia. Come nel 2004». Allora Fini era vicepremier e ac­cusò il collega di governo di «truccare i bilanci dello Stato» la sera in cui ottenne le sue di­missioni. Stavolta non è così semplice, e la rottura sarebbe traumatica, sebbene ieri il Cava­liere fosse infuriato dopo l’in­contro, perché avanti così «un tecnico alla Banca d’Italia si tro­va sempre». Pare che Tremonti se ne sia reso conto e abbia capi­to il rischio.

Berlusconi non può permet­tersi una simile figuraccia: un conto è assecondare il suo mini­stro sulla linea del rigore, rinvia­re il sogno del taglio dell’Irap, in­vitare alla calma gli altri rappre­sentanti del governo; altra cosa è lasciare al Professore il control­lo di palazzo Chigi e da lì di tutti i dicasteri, consegnargli la testa di Gianni Letta, e di fatto anche la sua. Così aspetterà l’incontro con Bossi e Fini per trovare un’intesa sulle Regionali, sicco­me — è il ragionamento del pre­sidente della Camera — il leader del Carroccio si starebbe muo­vendo dietro Tremonti per otte­nere i candidati governatori di Veneto e Piemonte. Quando sa­rà chiusa quella vertenza, si an­drà al «chiarimento» definitivo con il responsabile di via XX set­tembre. Nel frattempo il premier ha iniziato un sondaggio nel parti­to per avere un’opinione sul­l’ipotesi di «promuovere Giu­lio». È un’assoluta novità: quan­do mai il Cavaliere ha avuto biso­gno di sentire i dirigenti del Pdl per prendere una decisione? Non l’ha mai fatto. Se l’ha fatto stavolta l’obiettivo era quello di scatenare la rivolta. E c’è riusci­to. Ieri sera non c’erano distin­zioni tra ex forzisti ed ex aenni­ni, mai si è registrata una tale unanimità di giudizi, con un’in­tensità superiore alle attese. Già nei conciliaboli prima del referendum su Tremonti, il Pdl era una tonnara. «Sarebbe uno sbracamento», ha urlato Scajola a un collega di partito. A Fitto manco a domandarlo. Alla Pre­stigiacomo nemmeno, lei che aveva saputo di un colloquio tra Tremonti e Miccichè dopo la sciagura di Messina. Il Professo­re si era rivolto al sottosegreta­rio siciliano per cercare di far pa­ce con «Stefania», e in quell’oc­casione si era sentito perorare la richiesta di fondi per il dicastero dell’Ambiente: «Ma per risolve­re i problemi dell’ambiente lei non deve venire da me. Deve ri­volgersi a Dio», era stata la rispo­sta salace di Tremonti giunta al­le orecchie della ministra. Ieri, nel commentare l’even­tuale «promozione di Giulio», la voce di La Russa era più roca del solito: «Simili decisioni non si prendono nè stasera nè doma­ni, ma nell’ufficio di presidenza del partito. Poi è chiaro che non è ininfluente quanto dice Berlu­sconi». E giù una staffilata con­tro Tremonti ormai considerato un ministro leghista: «Un uomo del Pdl non ha bisogno di avvo­cati difensori». Chiara l’allusio­ne alla presenza di Bossi e Calde­roli al vertice di Arcore, una pre­senza «superflua, se non danno­sa». Per una volta tutti uniti. Per­sino Fini e Schifani d’accordo: «Giulio stavolta ha esagerato».

Francesco Verderami
25 ottobre 2009

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