FRA media e politica è ormai difficile distinguere. I ruoli si rovesciano. I comici, i presentatori, gli attori, i direttori di giornali e i giornalisti, gli editori sono spesso più importanti dei politici. E viceversa. I leader politici fanno spettacolo. Non sempre con successo. L'identificazione è quasi totale. Il Pdl è un esempio di Partito Mediale di Massa, guidato dal più importante imprenditore mediatico italiano. D'altra parte, come mostra l'indagine dell'Osservatorio di Demoscoop, oltre 6 italiani su 10 ritengono che questa situazione "condiziona l'andamento della politica".
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E più di 1 su 2 - la maggioranza assoluta - pensa che danneggi la libertà di informazione. Tuttavia, anche queste opinioni risentono del cortocircuito mediatico-politico. Che, dal punto di vista dei mezzi di comunicazione, appare attraversato da tre fratture.
1. La più nota - e al tempo stesso più discussa - è tutta interna alla televisione. Indiscutibilmente, il mezzo più utilizzato per informarsi. Come fa, con cadenza quotidiana, oltre l'86% degli italiani. Cioè: quasi tutti. D'altronde, circa il 18% della popolazione (con più di 15 anni) passa più di 4 ore davanti alla tivù. Il 46% fra 2 e 4. Il tempo trascorso davanti alla televisione rende fragili i confini tra realtà e politica. Per cui, oltre le 4 ore di esposizione televisiva, la percezione del conflitto di interessi come vincolo per la libertà politica e dell'informazione diminuisce e, quasi, svanisce.
Comunque, nell'immagine politica dei notiziari e dei programmi di infotaiment (informazione e intrattenimento, miscelati) continua a pesare la distinzione fra Mediaset e le altre reti. Tutti i programmi e i notiziari di Mediaset sono apprezzati dagli elettori di centrodestra - e soprattutto del PdL. Al contrario quelli della Rai e ancor più delle altre reti: Sky e La 7, in particolare. Tuttavia, questa "frattura" appare meno profonda rispetto a due anni fa. In particolare perché l'identità delle due testate leader della rete leader di ascolti - la prima - si è spostata in modo significativo a destra. Ci riferiamo a Porta a Porta, condotta da Bruno Vespa, e al Tg1 diretto da Minzolini. Il quale, anche per questo motivo, ha perso terreno nella classifica della fiducia degli italiani. Superato dai Tg regionali, ma anche, dal Tg3, fra quelli nazionali. Il che spiega la definizione di RaiSet. O di MediaRai. Usata polemicamente per sottolineare la fine della concorrenza e della differenza tra network. Sostituita da una sola entità televisiva, condizionata dal premier e orientata da Mediaset. Il conflitto, semmai, attraversa la Rai, dove il gradimento per il Tg 3, Ballarò (ancora il programma più affidabile nel giudizio degli italiani) e Annozero si allarga fra gli elettori di centrosinistra. La caratterizzazione politica dei programmi più popolari, in tempi di crescente contrapposizione politica, ne ha peraltro ridimensionato il grado di fiducia, negli ultimi anni. (Inversamente agli ascolti). Mentre è significativa la crescita (+10%) di Report, di Milena Gabanelli. Che è un programma di inchieste scomode per tutti.
2. La seconda frattura attraversa i media stessi. Oppone, in particolare, il pubblico televisivo a quello dei quotidiani. Circa un terzo della popolazione, se si considerano i lettori assidui. I quali pesano - molto più della media - fra le persone adulte e anziane (oltre 45 anni) e tra quelle più istruite (al contrario dei teledipendenti). Mentre si eclissano - e quasi scompaiono - fra i giovani e soprattutto i giovanissimi (con meno di 25 anni). I quali non leggono più i giornali. Nel formato cartaceo, almeno. I lettori fedeli sono, politicamente, molto più orientati a centrosinistra. Sono sensibili al conflitto di interessi. Considerano, ovviamente, l'informazione dei giornali più libera di quella della televisione. E ciò riflette, in modo simmetrico, l'opinione del premier. Secondo il quale i giornali fanno informazione distorta - in particolare alcuni, che agiscono in modo eversivo. Mentre la televisione sarebbe più equilibrata. Con alcune eccezioni.
3. La terza frattura ha segno diverso dalle precedenti. Ed è nuova. La si coglie osservando com'è cambiata la frequenza nell'uso dei canali di informazione. Fra tutti gli strumenti utilizzati, due fanno rilevare una crescita esponenziale e significativa negli ultimi due anni. La componente di coloro che si affidano alle reti satellitari e al digitale terrestre è più che raddoppiata: dal 19% al 40%. Ma è cresciuta di un terzo anche la quota di persone che si informano, quotidianamente, attraverso Internet: dal 25% al 39%. La rete, d'altronde, è considerata il luogo (!) più libero. In cui si sperimentano pratiche di democrazia e di partecipazione diretta. Il pubblico di questi due media in parte si sovrappongono, ma hanno caratteristiche distinte. In particolare, gli internauti pesano molto più della media fra i giovani e i giovanissimi, fra le persone più istruite - e quindi fra gli studenti, i dirigenti, i professionisti. Leggono i giornali ma guardano la televisione meno degli altri. Sono maggiormente diffusi a sinistra e a centrosinistra, ma soprattutto fra gli elettori della sinistra radicale e della Lista Di Pietro (sostenuti dal "popolo" di Grillo).
La guerra mediatica, dunque, coincide con la guerra politica. E la libertà politica coincide con quella mediatica. La crescente importanza che stanno assumendo Internet, le tivù satellitari e il digitale permettono - e permetteranno - maggiore autonomia e nuovi spazi agli attori politici e sociali. Tuttavia, la televisione e i giornali sono ancora (e tali resteranno a lungo) luoghi di formazione e informazione politica importanti. Per quel che riguarda la tivù: il più frequentato dai partiti e dai loro leader. Per questo oggi questione mediatica e democratica sono indistinte. E indistinguibili.
(19 ottobre 2009)
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