lunedì 19 ottobre 2009

Alla Lega anche il Piemonte



19/10/2009
AMEDEO LA MATTINA

Non è ancora ufficiale, i vertici del Pdl non possono ancora annunciarlo per evitare subito il finimondo, Berlusconi deve ancora convincere Giancarlo Galan a mollare la poltrona di governatore, ma l’accordo tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi sembra cosa fatta: Veneto e Piemonte andranno alla Lega.

L’accordo segreto è stato chiuso martedì della scorsa settimana a Roma in un incontro tra il Cavaliere e il Senatur. Finora l’indiscrezione più accreditata assegnava il Veneto a un candidato-presidente leghista e il Piemonte in quota Pdl, lasciando fuori dalla corsa Roberto Cota. Si è detto che in questo modo il Carroccio veniva accontentato alla grande e che Bossi non poteva pretendere altro, tranne la difficile sfida in Emilia Romagna oppure, in alternativa, in Liguria.

Sarebbe stato troppo dare al Carroccio due Regioni del Nord che insieme fanno quasi un terzo del Pil nazionale: questo il ragionamento che facevano nel Pdl a livello nazionale e locale. E invece l’intesa Berlusconi-Bossi ribalta ogni previsione. Tra l’altro le candidature Pdl non convincevano il premier. Nè quella del sottosegretario Guido Crosetto nè quella del deputato e vicepresidente vicario dell’Anci Osvaldo Napoli, nonostante quest’ultimo avesse il sostegno dei sindaci. Così, anche di fronte ai contrasti interni al suo partito, il Cavaliere ha deciso di accontentare Bossi.

E’ un colpaccio politico per la Lega che non avrà grandi difficoltà a conquistare con Luca Zaia il feudo veneto e che ha buone chance di farcela in Piemonte con un candidato competitivo come Roberto Cota. Non sfugge a nessuno il significato politico di questa operazione che configura il modello bavarese di alleanza che vede una forza politica nazionale e una regionale che governano insieme, come accade in Germania con Cdu-Csu. Ma c’è un altro fattore, quello più importante, che ha portato il premier a cedere a Bossi: la necessità di avere la Lega che marcia al suo fianco nei prossimi mesi.

Il presidente del Consiglio, spiegano nel Pdl, ha rotto gli indugi, deciso più che mai a percorrere la strada delle riforme costituzionali sulla giustizia e sul presidenzialismo. E’ convinto che il Pd, anche se il tandem Bersani-D’Alema dovesse vincere il congresso, non avrà la forza di affrancarsi dal dipietrismo e di stringere accordi con la maggioranza. Allora la prospettiva è fare affidamento solo sui voti del centrodestra, con l’inevitabile sbocco nella battaglia referendaria.

In questo percorso, appunto, ha bisogno di avere accanto un alleato forte e contento come sarà la Lega dominus del Nord in Veneto e in Piemonte. Nel quartier generale del Pdl è stata notata una dichiarazione fatta ieri da Calderoli: la riforma della giustizia va fatta «vedendo se c’è la possibilità di arrivare a un testo condiviso. Diversamente, va fatta comunque».

Insomma, il Carroccio è pronto a mettersi l’elmetto per difendere Berlusconi in questo momento di difficoltà ed è pronto a votare in Parlamento le proposte che sulla giustizia stanno preparando Alfano e Ghedini. C’è però l’incognita Fini: è disposto a rafforzare la golden share che, a suo stesso avviso, Bossi già esercita sul governo? L’altra incognita è Galan. Il governatore minaccia di ricandidarsi alla testa di liste civiche: «Mi devono spiegare perché chi ha governato bene deve passare la mano».

Oggi a Venezia glielo spiegherà Berlusconi: è pronto per Galan il ministero dell’Agricoltura che verrà lasciato da Zaia, oppure quello della Pubblica amministrazione, se Brunetta correrà per sindaco di Venezia. Poi ci sono motivi di ordine superiore: tenere salda la maggioranza nazionale in un passaggio difficile per il governo e il Cavaliere. In casa Pdl sono convinti che fine Galan accetterà l’offerta e non si metterà a capo di una ribellione veneta, intruppandosi in «una pericolosa alleanza con il Pd e l’Udc».

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