I rutelliani minacciano una microscissione, Dario Franceschini e i veltroniani si sono dati alla guerriglia interna: a meno di 24 ore dalla sua elezione Pier Luigi Bersani si è trovato a dover affrontare le prime grane. Il neosegretario stava già pensando a un organigramma molto classico: una segreteria in cui coinvolgere i leader del partito, come Massimo D’Alema, e un esecutivo di giovani e volti nuovi per la politica nazionale come Andrea Orlando (ex portavoce del Pd versione Walter Veltroni) e il presidente della Regione Toscana Claudio Martini. Un modo per non emarginare i maggiorenti del partito e per valorizzare, nel contempo, il resto della classe dirigente sparsa in tutta Italia. Ma non è detto che questo basti, visto che le fibrillazioni aumentano. Perciò si sta facendo strada l’idea di un estremo tentativo: quello di coinvolgere Romano Prodi offrendogli la presidenza del Pd che originariamente Bersani aveva in mente di affidare a Rosy Bindi. Finora l’ex premier ha sempre rifiutato questa prospettiva. Ma anche in politica tentar non nuoce: riuscire a raggiungere questo obiettivo darebbe maggior respiro al segretario e gli consentirebbe di affrontare le beghe interne con maggiore tranquillità.
Infatti con Prodi alla presidenza del Pd difficilmente Franceschini e i veltroniani potrebbero continuare la loro battaglia in nome del «vero» Partito democratico. Prodi è l’uomo che nell’immaginario del popolo ulivista incarna il Pd, è colui che potrebbe dare a Bersani la patente di autentico «democratico» e dimostrare che con lui non si torna indietro. Se l’ex premier confermerà la propria indisponibilità ancora una volta e in maniera definitiva, allora Bersani tornerà su Bindi, anche perché le donne non si sentono adeguatamente rappresentate nel Pd: una vicesegretaria, come previsto dal farraginoso statuto, non basta. Intanto, però, in attesa che si sciolga il nodo della presidenza del partito, la guerriglia interna ha preso il via. Alla Camera dei deputati Antonello Soro, fedelissimo dell’ex segretario, si è impuntato: non vuole farsi sostituire. Una mossa che ha messo in difficoltà Bersani.
Il neo leader non ha nessun interesse a mostrare che il «suo» Pd è spaccato. Perciò al momento sta temporeggiando. Dicono che a questo punto, pur di arrivare a una resa interna, sarebbe disposto ad aspettare le elezioni regionali prima di procedere al cambio della guardia a Montecitorio. Un altro esempio delle frizioni tra franceschiniani e bersaniani è dato da quel che è accaduto in Puglia. Lì il candidato di Massimo D’Alema alla segreteria regionale, Blasi, non è riuscito a farsi eleggere al primo turno, cioè non ha oltrepassato il 50 per cento. Franceschini ha pensato di far convergere i propri voti non su di lui, ma su Michele Emiliano, il sindaco di Bari in pessimi rapporti con il presidente della Fondazione Italianieuropei, intenzionato ad arginarne il potere in Puglia. Un vero e proprio atto di guerra nei confronti di D’Alema. Per fortuna dell’ex ministro degli Esteri e del segretario, nonché del «povero» Blasi, è arrivato il soccorso bianco. Ossia quello degli ex popolari di Peppe Fioroni e Franco Marini. Sia il primo che il secondo sono intenzionati ad aprire un dialogo con la nuova maggioranza. L’ex presidente del Senato in modo più che esplicito, tant’è vero che ieri si è affrettato a spargere parole di apprezzamento nei confronti di Bersani, sottolineando come il neosegretario abbia azzeccato la campagna elettorale per le primarie ed elogiando il fatto che si sia defilato dalle risse e dagli scambi di accuse (attività, questa, in cui si è invece distinto Franceschini).
Ma anche Fioroni sta lavorando con alacrità per cercare di ricucire i rapporti con l’altro fronte. E ieri, in un colloquio riservato con Dario Franceschini ha ribadito più volte che la mozione deve restare unita, ma ha anche lasciato chiaramente intendere che l’ex segretario non può fare di testa sua e portare tutti alla guerra contro Bersani e D’Alema. Se non altro perché quasi il 60 per cento dei delegati della mozione Franceschini sono ex popolari, poco propensi allo scontro. Un aiuto a Bersani potrebbe perciò venire da Marini e Fioroni, ma non è detto che basti. I due dovrebbero riuscire a mettere ai margini i veltroniani più accaniti e convincere Franceschini ad andare alla trattativa o spingersi fino a spaccare la corrente dell’ex segretario. Ieri, comunque, Bersani non è rimasto certamente con le mani in mano e ha contattato anche gli esponenti dell’altra minoranza, quella di Ignazio Marino. Per ora però non sembrano esservi molti margini di manovra per intessere una trattativa con il senatore-chirurgo. Il quale, peraltro, sembra intenzionato a presentarsi alle primarie per il candidato regionale del Lazio scontrandosi con Enrico Gasbarra, l’ex presidente della Provincia di Roma fortemente sponsorizzato da D’Alema. Dunque, le grane ci sono e i problemi anche, ma Bersani sorride e tira dritto: «Non mi spavento certo per così poco».
Maria Teresa Meli
27 ottobre 2009
Infatti con Prodi alla presidenza del Pd difficilmente Franceschini e i veltroniani potrebbero continuare la loro battaglia in nome del «vero» Partito democratico. Prodi è l’uomo che nell’immaginario del popolo ulivista incarna il Pd, è colui che potrebbe dare a Bersani la patente di autentico «democratico» e dimostrare che con lui non si torna indietro. Se l’ex premier confermerà la propria indisponibilità ancora una volta e in maniera definitiva, allora Bersani tornerà su Bindi, anche perché le donne non si sentono adeguatamente rappresentate nel Pd: una vicesegretaria, come previsto dal farraginoso statuto, non basta. Intanto, però, in attesa che si sciolga il nodo della presidenza del partito, la guerriglia interna ha preso il via. Alla Camera dei deputati Antonello Soro, fedelissimo dell’ex segretario, si è impuntato: non vuole farsi sostituire. Una mossa che ha messo in difficoltà Bersani.
Il neo leader non ha nessun interesse a mostrare che il «suo» Pd è spaccato. Perciò al momento sta temporeggiando. Dicono che a questo punto, pur di arrivare a una resa interna, sarebbe disposto ad aspettare le elezioni regionali prima di procedere al cambio della guardia a Montecitorio. Un altro esempio delle frizioni tra franceschiniani e bersaniani è dato da quel che è accaduto in Puglia. Lì il candidato di Massimo D’Alema alla segreteria regionale, Blasi, non è riuscito a farsi eleggere al primo turno, cioè non ha oltrepassato il 50 per cento. Franceschini ha pensato di far convergere i propri voti non su di lui, ma su Michele Emiliano, il sindaco di Bari in pessimi rapporti con il presidente della Fondazione Italianieuropei, intenzionato ad arginarne il potere in Puglia. Un vero e proprio atto di guerra nei confronti di D’Alema. Per fortuna dell’ex ministro degli Esteri e del segretario, nonché del «povero» Blasi, è arrivato il soccorso bianco. Ossia quello degli ex popolari di Peppe Fioroni e Franco Marini. Sia il primo che il secondo sono intenzionati ad aprire un dialogo con la nuova maggioranza. L’ex presidente del Senato in modo più che esplicito, tant’è vero che ieri si è affrettato a spargere parole di apprezzamento nei confronti di Bersani, sottolineando come il neosegretario abbia azzeccato la campagna elettorale per le primarie ed elogiando il fatto che si sia defilato dalle risse e dagli scambi di accuse (attività, questa, in cui si è invece distinto Franceschini).
Ma anche Fioroni sta lavorando con alacrità per cercare di ricucire i rapporti con l’altro fronte. E ieri, in un colloquio riservato con Dario Franceschini ha ribadito più volte che la mozione deve restare unita, ma ha anche lasciato chiaramente intendere che l’ex segretario non può fare di testa sua e portare tutti alla guerra contro Bersani e D’Alema. Se non altro perché quasi il 60 per cento dei delegati della mozione Franceschini sono ex popolari, poco propensi allo scontro. Un aiuto a Bersani potrebbe perciò venire da Marini e Fioroni, ma non è detto che basti. I due dovrebbero riuscire a mettere ai margini i veltroniani più accaniti e convincere Franceschini ad andare alla trattativa o spingersi fino a spaccare la corrente dell’ex segretario. Ieri, comunque, Bersani non è rimasto certamente con le mani in mano e ha contattato anche gli esponenti dell’altra minoranza, quella di Ignazio Marino. Per ora però non sembrano esservi molti margini di manovra per intessere una trattativa con il senatore-chirurgo. Il quale, peraltro, sembra intenzionato a presentarsi alle primarie per il candidato regionale del Lazio scontrandosi con Enrico Gasbarra, l’ex presidente della Provincia di Roma fortemente sponsorizzato da D’Alema. Dunque, le grane ci sono e i problemi anche, ma Bersani sorride e tira dritto: «Non mi spavento certo per così poco».
Maria Teresa Meli
27 ottobre 2009
1 commento:
SE IN QUESTO ARTICOLO C'E' ANCHE SOLO UNA BRICIOLA DI VERITA' E NON 'GOSSIP' INTEGRALE, ALLORA DAVVERO A SINISTRA SONO TUTTI UN PO' STRONZI.
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