martedì 27 ottobre 2009

«Guerriglia» nel Pd. Spunta la carta Prodi


I rutelliani minacciano una microscissione, Da­rio Franceschini e i veltronia­ni si sono dati alla guerriglia interna: a meno di 24 ore dal­la sua elezione Pier Luigi Ber­sani si è trovato a dover af­frontare le prime grane. Il neosegretario stava già pensando a un organigram­ma molto classico: una segre­teria in cui coinvolgere i lea­der del partito, come Massi­mo D’Alema, e un esecutivo di giovani e volti nuovi per la politica nazionale come An­drea Orlando (ex portavoce del Pd versione Walter Veltro­ni) e il presidente della Regio­ne Toscana Claudio Martini. Un modo per non emarginare i maggiorenti del partito e per valorizzare, nel contem­po, il resto della classe diri­gente sparsa in tutta Italia. Ma non è detto che questo basti, visto che le fibrillazioni aumentano. Perciò si sta fa­cendo strada l’idea di un estremo tentativo: quello di coinvolgere Romano Prodi of­frendogli la presidenza del Pd che originariamente Bersani aveva in mente di affidare a Rosy Bindi. Finora l’ex premier ha sem­pre rifiutato questa prospetti­va. Ma anche in politica ten­tar non nuoce: riuscire a rag­giungere questo obiettivo da­rebbe maggior respiro al se­gretario e gli consentirebbe di affrontare le beghe interne con maggiore tranquillità.

Infatti con Prodi alla presi­denza del Pd difficilmente Franceschini e i veltroniani potrebbero continuare la loro battaglia in nome del «vero» Partito democratico. Prodi è l’uomo che nell’immaginario del popolo ulivista incarna il Pd, è colui che potrebbe dare a Bersani la patente di autenti­co «democratico» e dimostra­re che con lui non si torna in­dietro. Se l’ex premier confermerà la propria indisponibilità an­cora una volta e in maniera definitiva, allora Bersani tor­nerà su Bindi, anche perché le donne non si sentono ade­guatamente rappresentate nel Pd: una vicesegretaria, co­me previsto dal farraginoso statuto, non basta. Intanto, però, in attesa che si sciolga il nodo della presi­denza del partito, la guerri­glia interna ha preso il via. Al­la Camera dei deputati Anto­nello Soro, fedelissimo del­l’ex segretario, si è impunta­to: non vuole farsi sostituire. Una mossa che ha messo in difficoltà Bersani.

Il neo lea­der non ha nessun interesse a mostrare che il «suo» Pd è spaccato. Perciò al momento sta temporeggiando. Dicono che a questo punto, pur di ar­rivare a una resa interna, sa­rebbe disposto ad aspettare le elezioni regionali prima di procedere al cambio della guardia a Montecitorio. Un altro esempio delle fri­zioni tra franceschiniani e bersaniani è dato da quel che è accaduto in Puglia. Lì il can­didato di Massimo D’Alema alla segreteria regionale, Bla­si, non è riuscito a farsi eleg­gere al primo turno, cioè non ha oltrepassato il 50 per cen­to. Franceschini ha pensato di far convergere i propri voti non su di lui, ma su Michele Emiliano, il sindaco di Bari in pessimi rapporti con il presi­dente della Fondazione Italia­nieuropei, intenzionato ad ar­ginarne il potere in Puglia. Un vero e proprio atto di guer­ra nei confronti di D’Alema. Per fortuna dell’ex mini­stro degli Esteri e del segreta­rio, nonché del «povero» Bla­si, è arrivato il soccorso bian­co. Ossia quello degli ex popo­lari di Peppe Fioroni e Franco Marini. Sia il primo che il se­condo sono intenzionati ad aprire un dialogo con la nuo­va maggioranza. L’ex presi­dente del Senato in modo più che esplicito, tant’è vero che ieri si è affrettato a spargere parole di apprezzamento nei confronti di Bersani, sottolineando co­me il neosegreta­rio abbia azzecca­to la campagna elettorale per le primarie ed elo­giando il fatto che si sia defilato dalle risse e dagli scambi di accuse (attività, questa, in cui si è inve­ce distinto France­schini).

Ma anche Fioroni sta lavoran­do con alacrità per cerca­re di ricu­cire i rap­porti con l’altro fronte. E ieri, in un colloquio riservato con Dario France­schini ha ribadito più volte che la mozione deve restare unita, ma ha anche lasciato chiaramente intendere che l’ex segretario non può fare di testa sua e portare tutti alla guerra contro Bersani e D’Ale­ma. Se non altro perché quasi il 60 per cento dei delegati del­la mozione Franceschini sono ex popolari, poco propensi al­lo scontro. Un aiuto a Bersani potreb­be perciò venire da Marini e Fioroni, ma non è detto che basti. I due dovrebbero riusci­re a mettere ai margini i vel­troniani più accaniti e convin­cere Franceschini ad andare alla trattativa o spingersi fino a spaccare la corrente dell’ex segretario. Ieri, comunque, Bersani non è rimasto certamente con le mani in mano e ha contatta­to anche gli esponenti dell’al­tra minoranza, quella di Igna­zio Marino. Per ora però non sembrano esservi molti margi­ni di manovra per intessere una trattativa con il senato­re-chirurgo. Il quale, peraltro, sembra intenzionato a presen­tarsi alle primarie per il candi­dato regionale del Lazio scon­trandosi con Enrico Gasbarra, l’ex presidente della Provincia di Roma fortemente sponso­rizzato da D’Alema. Dunque, le grane ci sono e i problemi anche, ma Bersani sorride e tira dritto: «Non mi spavento certo per così po­co».

Maria Teresa Meli
27 ottobre 2009

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

SE IN QUESTO ARTICOLO C'E' ANCHE SOLO UNA BRICIOLA DI VERITA' E NON 'GOSSIP' INTEGRALE, ALLORA DAVVERO A SINISTRA SONO TUTTI UN PO' STRONZI.