venerdì 30 ottobre 2009

I poliziotti di “Aldro” sono ancora in servizio


PARLA LA MADRE DEL RAGAZZO DI FERRARA UCCISO DALLE PERCOSSE
di Federico Mello


Dopo la morte di Stefano Cucchi, la memoria va inesorabilmente alla vicenda di Federico Aldrovandi. A parlare oggi è la madre di Aldro, Patrizia Moretti: “È gravissimo - ci dice - che alla famiglia di Stefano sia stato impedito di vedere il proprio figlio in ospedale. Anche per il caso di Federico fu così: sperano che la famiglia non reagisca, si disperi e alla fine si rassegni”. Ma è stato proprio l’esempio di Patrizia a non far scivolare nella rassegnazione i familiari di Stefano Cucchi: hanno scelto lo stesso avvocato che ha difeso la memoria di Federico e si sono sentiti con Patrizia. “Sono loro vicina – ci dice lei – e se loro sono riusciti ad ottenere subito attenzione forse è anche grazie alle nostre denunce sul caso di Federico”. Il caso di Aldo è ancora una ferita aperta. “Io sto ancora aspettando che mi chiedano scusa” denuncia Patrizia. Federico, diciotto anni, fu ucciso a Ferrara da quattro poliziotti, il 25 settembre 2005. I quattro agenti lo scorso luglio sono stati condannati in primo grado ma sono ancora al loro posto: “Sono in servizio – ci spiega Patrizia – perché il regolamento di polizia prevede che non vengano sospesi dal lavoro fino al terzo grado di giudizio. Ma come si fa a dire una cosa del genere? Se il regolamento è questo, vuol dire che è sbagliato. È come una licenza di uccidere”. Federico fu fermato di notte, nella sua Ferrara, nel parchetto di casa, un “luogo familiare” dove i genitori lo portavano da piccolo. Dopo la sua morte per tre mesi scese un silenzio tombale sulla vicenda, “un muro di gomma della stampa locale che si limitava a riportare i bollettini di polizia”. Aldro aveva assunto delle droghe ma, si è dimostrato in tribunale, in quantità tali che in nessun modo avrebbero potuto ucciderlo. Ad ucciderlo furono invece le percosse subite durante il fermo (agli atti ci sono addirittura due manganelli rotti) e il ritardo con il quale fu chiamata l'ambulanza. “Dopo la morte su mio figlio hanno cercato di dire le cose peggiori - dice la madre - scrissero che era morto un drogato, da solo su una panchina. Ma Federico era splendido, solo un ragazzo diciotto anni, forse in assoluto niente di particolare, ma era il mio tesoro. Noi - racconta ancora la madre - siamo rimasti zitti fidandoci del questore e aspettando indagini. Ma intanto all'interno della questura stavano lavorando in senso opposto” (anche sul depistaggio ora è stata aperta un’altra inchiesta). Dopo tre mesi una breccia “nel muro di gomma” si apre solo quando Patrizia apre un blog. Il primo post, del 2 gennaio 2006, s’intitola semplicemente “Federico”. Si racconta la vera dinamica della morte di Aldro, quella che poi verrà confermata in tribunale. Dal blog la vicenda diventa pubblica. “Senza Internet non avremmo mai potuto far venir fuori le responsabilità. Quello che abbiamo fatto ci è costato veramente tanto. Ma in questi casi o si trova il coraggio di parlare o ci si arrende”. Patrizia non si è arresa. E anche i familiari ora chiedono quanto andrebbe garantito a tutti i cittadini in un paese civile: verità e giustizia.

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