venerdì 30 ottobre 2009

DUE PROCESSI PER IL DECESSO DI ALDO BIANZINO


Nessuno ha il diritto di farti pagare gli errori commessi. Aspetto verità perché queste vergogne non devono più succedere”. Forte, determinata, caparbia. Gioia è l’ex moglie di Aldo Bianzino, il falegname 44enne trovato misteriosamente morto nel carcere Capanne a Perugia il 14 ottobre 2007. Era stato arrestato due giorni prima, nella sua casa di campagna vicino Città di Castello, per coltivazione e detenzione di marijuana. Viene subito portato nel penitenziario, dove 48 ore dopo muore. Apparentemente per cause naturali. Caso chiuso. Non per la famiglia e gli amici di Bianzino che chiedono subito un’autopsia che, eseguita dal medico legale Lalli, rileva “lesioni viscerali di indubbia natura traumatica (lacerazione del fegato) e una vasta soffusione emorragica subpiale, ritenuta di origine parimenti traumatici”. Le percosse avrebbero poi generato un aneurisma. “Hanno provato subito ad insabbiare il caso, per fortuna non ci sono riusciti - ricorda Gioia - Aldo è morto per le violenze subite”. E un suo interrogatorio al comando non risulterebbe nel registro degli spostamenti. Inizia così l’iter giudiziario. Due processi. Il primo vede imputato per omissione di soccorso la guardia carceraria che la notte del 13 ottobre non sarebbe intervenuta quando Bianzino, in preda ai dolori, chiedeva disperatamente aiuto. Mercoledì scorso il pm e il gup hanno rigettato il rito abbreviato chiesto dal legale dell’agente. Il secondo procedimento è per “omicidio volontario da parte di ignoti”. Prima udienza fissata l’11 dicembre. “E’ un caso di depistaggio”, attacca il “comitato verità per Aldo”, che il 10 novembre 2007 ha organizzato una manifestazione a Perugia, cui hanno partecipato migliaia di persone, e un blog. Per rompere il muro del silenzio. Su Facebook esiste il profilo “Giustizia per Bianzino” con più di mille iscritti. Anche Dario Fo, Franca Rame e Beppe Grillo si sono occupati della vicenda, contro “qualsiasi insabbiamento”. Ma il caso Bianzino non è isolato. A Livorno nel 2003 muore Marcello Lonzi, ventinove anni. La prima autopsia parla di cause naturali, la seconda invece, richiesta dai familiari, riconosce la presenza di abusi evidenti, quali numerose vergate sul corpo del ragazzo. Così si è esposto il magistrato: “Le indagini continuano senza sosta (...), su questa triste vicenda vogliamo andare fino in fondo”. Al momento sotto processo sono due agenti di polizia penitenziaria e un detenuto del carcere livornese, imputati di omicidio. Altra morte “sospetta” avviene nella casa circondariale di Genova il 20 luglio 2008. Intanto un dossier dell’associazione Antigone rileva che “tante sono le denunce di detenuti contro gli agenti di polizia penitenziaria”. A Parma, Torino, Milano, Lecce sono in corso processi, con gli imputati accusati di violenza privata e lesioni aggravate.

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