All’ultima chiamata Rutelli non risponde. Il faccia a faccia con D’Alema non fa cambiare idea al leader della Margherita. D’altra parte la vera missione dell’ex ministro degli esteri non era quella, impossibile, di fermare l’addio dell’ex leader della Margherita, ma quella di gestire la separazione, senza strappi immediati e traumatici. Chiudere con un “arrivederci”, senza scontri e scambi di accuse fuori controllo, perché nel Pd neoulivista della “vocazione alla coalizione” è scritto che chi oggi se ne va domani sarà alleato. E così le rassicurazioni di D’Alema a Rutelli sulla linea del Pd (“che non intende tornare alla vecchia socialdemocrazia, perché anche in Europa le cose sono cambiate”) suonano piuttosto come un impegno per strade future da percorrere insieme, strade più agevoli se ci sarà magari una nuova legge elettorale sul modello tedesco, che potrebbe tornare sul tavolo se si riaprisse il capitolo delle riforme.
Certo per Bersani insediarsi con l’addio di uno dei soci fondatori del Pd non è esattamente uno spot. E l’appello a restare del segretario è qualcosa di più che un atto dovuto: “ Mi auguro che la sua non sia un’uscita. Andiamo avanti non per fare un partito vecchio, ma per farne uno nuovo. Spero che Rutelli si impegni in questo” – dice Bersani. Il neoleader del Pd è preoccupato più che dalla scissione di Rutelli dagli attacchi degli oppositori interni, pronti a sventolare l’addio dell’ex leader della Margherita come il sintomo lampante del rischio di un ritorno al passato. Ma tutto sommato quelli di Area democratica, la corrente di minoranza, non si stracciano le vesti per l’addio di Rutelli, che - se restasse – diventerebbe un concorrente nella rappresentanza dell’area moderata del partito. Anche perché oggi con Rutelli andrebbero davvero in pochi.
Mentre D’Alema parla con Rutelli, infatti Fioroni – uno che si è meritato dal conterraneo viterbese e rivale dalemiano Ugo Sposetti i galloni di “erede di Franco Marini” - contatta gli ex popolari uno per uno, tagliando l’erba attorno all’ex sindaco di Roma. E di ora in ora la schiera dei disponibili a seguire Rutelli si assottiglia. L’ultimo distinguo arriva da Enzo Carra, ex-dc dato per pronto a fare il salto verso il nuovo centro: “Non ho niente a che vedere con episodi frettolosi come quelli di Rutelli”- ci tiene a chiarire. Perché la questione è proprio l’accelerazione che Rutelli ha voluto imprimere. Una mossa tanto repentina da far pensare che pronta a lasciare il Pd con lui ci fosse già una squadra in grado di formare gruppi parlamentari autonomi. Così non è stato. Non lo seguono neppure quelli dei tempi del Campidoglio come Gentiloni, Giachetti, e Zanda o gli ex Legambiente Realacci e Della Seta. E ogni giorno Europa – giornale un tempo vicinissimo a Rutelli prende le distanze dalla “scelta discutibile”. Pronti a seguire l’ex leader della Margherita oggi sarebbero solo Leddi e Gustavino al Senato (Lusi, il tesoriere della Margherita, alla fine avrebbe detto ‘no’), Binetti, Mosella e Sarubbi alla Camera. Forse Rutelli ha sbagliato i conti, o forse la spiegazione è un’altra.
“Non deve stupire – commenta Francesco Saverio Garofani, deputato e consigliere di Franceschini - lui è uno che ha sempre giocato da solo, ha capito che non l’avrebbero seguito e forse nemmeno gli interessa. Ha scelto di uscire adesso che i riflettori del congresso sono ancora accesi”. Più che un esodo verso il “nuovo centro” insomma sembra sempre più una traversata in solitaria.
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