sabato 31 ottobre 2009

I sei giorni di calvario di Cucchi: l’allarme dei medici mai spedito al giudice


«Signora, dica a mia so­rella Ilaria di tenermi il cane. Se lo ricor­di, mi raccomando...». È lunedì 21 otto­bre, la via crucis di Stefano Cucchi sta per compiersi. Il ragazzo, gracilissimo, scheletrico, con vistose ecchimosi sul volto e una vertebra lombare frattura­ta, esprime il suo ultimo desiderio a una volontaria che presta servizio tra i detenuti ricoverati all’ospedale Pertini. Morirà il mattino dopo, alle 6.20. Ora, però, bisognerà capire di che è morto. È stato pestato? È stato forse massacrato da qualcuno, nel suo viag­gio assurdo tra una caserma dei carabi­nieri e una cella di Regina Coeli? Per­ché da quando fu fermato dai carabinie­ri per spaccio e detenzione nel parco dell’Appio Claudio, la triste storia del geometra romano Stefano Cucchi, ap­pena trentunenne, diventa un grovi­glio di rapporti investigativi apparente­mente rassicuranti, referti medici allar­mantissimi e lettere di Sos mai arriva­te.

IL FERMO E LA DROGA - Dunque, vediamo. Tutto comincia al­l’una di notte tra il 15 e il 16 ottobre. I carabinieri dell’Appio Claudio fermano Cucchi: ha con sé 20 grammi di droga. Lo portano a casa sua a Torpignattara per la perquisizione, dove svegliano mamma Rita e papà Giovanni. Il ragaz­zo si siede sul divano, è tranquillo e al­meno a quell’ora non presenta ancora segni di violenza. Lo affermano senza ombra di dubbio i genitori. Alle 2 i carabinieri, senza usare le manette, lo portano alla caserma di via del Calice, ma lì non c’è posto per la notte, così mezz’ora dopo viene trasfe­rito in un’altra caserma: via degli Ar­menti, Tor Sapienza. Lo mettono in una cella, lui avvisa che è epilettico, po­co prima delle 5 il piantone sente Stefa­no che si lamenta, «tremo, ho mal di testa», allora chiama il 118, arriva l’am­bulanza e il medico lo visita. Nella me­moria presentata in procura dai carabi­nieri si annotano «una visita accurata» e «un referto che parla di epilessia e tre­mori senza però riscontrare ecchimosi o lesioni. L’uomo ha rifiutato ogni cura e anche il ricovero. Dopo la visita Cuc­chi ha detto 'voglio continuare a dor­mire'. E così ha fatto finché è stato por­tato in tribunale».

IL SALUTO CON IL PADRE - Quando lo svegliano sono le 8.40 del 16 ottobre. L’udienza di convalida in piazzale Clodio è fissata per le 12. Stefano arriva e c’è il padre ad aspettar­lo. I due si salutano, parlano su una panca per qualche minuto, il padre tro­va il figlio «molto gonfio in faccia», con «gli occhi neri». Ma il figlio non gli dice di aver subìto un pestaggio. Non dice niente. Però chiede comprensio­ne: «Sono epilettico, tossicodipenden­te e sieropositivo». Il giudice si accorge di quegli strani segni sul volto, così dispone che il me­dico del tribunale lo visiti. Il referto par­la di «lesioni ecchidomiche bilaterali in regione palpebrale inferiore» e «lesioni alla regione sacrale e agli arti inferio­ri». Il magistrato convalida il fermo, il ragazzo non ci sta, dà un calcio a una sedia, è scosso, contrariato, lui vorreb­be andare ai domiciliari oppure tornar­sene in comunità dove in passato ave­va provato a disintossicarsi. Niente. Viene portato in carcere, a Regina Coe­li. Racconta Giovanni Passaro, segreta­rio provinciale del Sappe (sindacato di polizia penitenziaria): «Il detenuto a quel punto viene visitato dal medico di turno, il dottor Rolando, che però date le sue condizioni ordina di portarlo su­bito in ospedale, al Fatebenefratelli...», dove gli fanno le lastre e uno dei medi­ci che lo visita, F.F., dice al Corriere: «Aveva una frattura a una vertebra lom­bare, lui mi ha detto che era caduto, era scivolato, non so dove, ma cammi­nava normalmente, anche le analisi del sangue non erano disastrose. Così gli ho consigliato il ricovero in ospedale con 25 giorni di prognosi, ma lui l’ha rifiutato, mi ha detto che voleva torna­re a Regina Coeli dove conosceva un medico che gli avrebbe dato più gior­ni... Così ha firmato e se n’è andato». Erano le nove e mezza di sera del 16 ot­tobre. Cucchi torna a Regina Coeli e ci dorme. Il mattino dopo lo visita un al­tro medico di Regina Coeli, il dottor Pe­tillo, così ricorda il dirigente del Sappe. Anche il referto di Regina Coeli è im­pressionante: «Ecchimosi sacrale cocci­gea, tumefazione del volto, algia della deambulazione». È successo qualcosa in cella, durante la notte? Cucchi torna al Fatebenefratelli, ma lo stesso medi­co che l’aveva visitato la sera prima, verso le 14 giura che «le sue condizioni erano invariate rispetto alla sera pri­ma... ».

IL TRASFERIMENTO - Il pomeriggio del 17 ottobre, infine, viene disposto il trasferimento nel re­parto di medicina penitenziaria del Per­tini, diretto dal dottor Aldo Fierro. «Il ragazzo — ricorda il dottore — oltre al­la frattura della vertebra lombare pre­sentava una contusione del volto pe­riorbitale, cioè intorno agli occhi, ma insomma parlava tranquillamente con i nostri medici e non ha mai accennato a un pestaggio subito. Però ha conti­nuato fino alla fine a rifiutare acqua e cibo, accettava solo le medicine per cu­rarsi l’epilessia». Dopo 4 giorni passati di­giunando, sul letto d’ospe­dale, senza mai vedere i suoi genitori, bloccati alla porta dai secondini, Stefa­no Cucchi sta ormai moren­do. È sempre più debole. Così alle ore 18 del 21 otto­bre il dottor Fierro prende la decisione e prepara una lettera da inviare al magi­strato Maria Inzitari, la stessa che la mattina del 16 in piazzale Clodio aveva giudicato il ragazzo. La lettera del dot­tore suona, a posteriori, come un Sos: «...Per il persistere di tale atteggiamen­to di rifiuto rispetto ad approfondimen­ti diagnostici e agli aggiustamenti tera­peutici, visto l’ulteriore aumento dei se­gnali di disidratazione, il pomeriggio del 21 ottobre abbiamo avvisato il ma­gistrato con una relazione allegata alla cartella clinica nella quale facciamo pre­sente il nostro disagio a gestire le con­dizioni cliniche del detenuto...». Ma la lettera non partirà mai. Stefano Cucchi, il mattino dopo, è già morto.

Fabrizio Caccia
31 ottobre 2009

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