In Italia non c’è il regime. Un regime non prevede una Corte Costituzionale che boccia una legge di fondamentale importanza per il primo ministro. Un regime non contempla un’articolazione di poteri e di contrappesi, la voce dell’opposizione che si fa sentire attraverso la televisione (pubblica), la protesta sociale di chi patisce gli effetti della crisi, la magistratura che, presumibilmente, è in procinto di rimettere in moto un’attività ibernata per il tempo in cui un Lodo faceva da scudo al premier.
Il regime non c’è, nei fatti. Ma aleggia il suo fantasma, negli spiriti. In quelli di sinistra che non sanno vivere senza la sindrome emergenzialista di una cittadella democratica sul punto di essere espugnata dal tiranno. E in quelli di destra che intravedono in ogni critica un colpo di mano, in ogni critica un complotto nell’ombra, in ogni sentenza (sfavorevole) la traccia di un cospiratore che trama nell’ombra. È come se l’Italia bipolare fosse incapace di vivere senza il pericolo del Nemico alle porte. E sono più di quindici anni che quest’ossessione appare dominante. Nella legislatura 2001-2006, anch’essa governata da Berlusconi, la paura del regime, anzi la certezza che un regime si fosse già imposto, portò l’opposizione sulle barricate, ridiede fuoco a una passione politica spenta, fece da sottofondo psicologico- politico a quella riedizione quasi ciellenistica dell’Unione che riportò provvisoriamente il centrosinistra al governo, ma con la fragile e caotica eterogeneità che ne determinò lo squagliamento. A destra la percezione di un leader provvisto di uno strabiliante consenso elettorale, ma costretto a subire le manovre del Palazzo (stampa e magistratura, istituzioni e persino il Quirinale) che lo vorrebbe disarcionare, è stata il carburante di una visione manichea quasi impossibile da abbandonare. La paura del «regime berlusconiano» compatta e galvanizza i suoi avversari depressi dalla sconfitta.
La paura del «regime della sinistra» giustifica l’arroccamento del centrodestra nella sua fortezza, il clima di conflitto permanente, l’impossibilità (intravista il 25 aprile attraverso l’immagine di Berlusconi con il fazzoletto partigiano al collo) di pacificarsi con l’Italia, pur minoritaria, che non l’ha votato. Il fantasma del regime è però un veleno che agisce in profondità. Incendia la lotta politica, ma intossicandola con un clima di sospetti incrociati, di guerra civile a bassa intensità, di reciproca e permanente delegittimazione. Non il regime, ma il caos, un ininterrotto comizio che seppellisce la normalità politica rinfocolando un forsennato spirito di fazione che è la deformazione caricaturale del bipolarismo. Il regime non c’è, ma il suo spettro può generare frutti ancora peggiori. Travolgere istituzioni. Alimentare una rissa interminabile tra le truppe contrapposte, ma incomprensibile agli italiani che non sono militanti ma seguono allibiti la politica dei blitz e degli agguati, delle urla e dei proclami stentorei che ci perseguita implacabile da quindici anni. Incapaci, una buona volta, di voltare pagina.
Pierluigi Battista
09 ottobre 2009
Il regime non c’è, nei fatti. Ma aleggia il suo fantasma, negli spiriti. In quelli di sinistra che non sanno vivere senza la sindrome emergenzialista di una cittadella democratica sul punto di essere espugnata dal tiranno. E in quelli di destra che intravedono in ogni critica un colpo di mano, in ogni critica un complotto nell’ombra, in ogni sentenza (sfavorevole) la traccia di un cospiratore che trama nell’ombra. È come se l’Italia bipolare fosse incapace di vivere senza il pericolo del Nemico alle porte. E sono più di quindici anni che quest’ossessione appare dominante. Nella legislatura 2001-2006, anch’essa governata da Berlusconi, la paura del regime, anzi la certezza che un regime si fosse già imposto, portò l’opposizione sulle barricate, ridiede fuoco a una passione politica spenta, fece da sottofondo psicologico- politico a quella riedizione quasi ciellenistica dell’Unione che riportò provvisoriamente il centrosinistra al governo, ma con la fragile e caotica eterogeneità che ne determinò lo squagliamento. A destra la percezione di un leader provvisto di uno strabiliante consenso elettorale, ma costretto a subire le manovre del Palazzo (stampa e magistratura, istituzioni e persino il Quirinale) che lo vorrebbe disarcionare, è stata il carburante di una visione manichea quasi impossibile da abbandonare. La paura del «regime berlusconiano» compatta e galvanizza i suoi avversari depressi dalla sconfitta.
La paura del «regime della sinistra» giustifica l’arroccamento del centrodestra nella sua fortezza, il clima di conflitto permanente, l’impossibilità (intravista il 25 aprile attraverso l’immagine di Berlusconi con il fazzoletto partigiano al collo) di pacificarsi con l’Italia, pur minoritaria, che non l’ha votato. Il fantasma del regime è però un veleno che agisce in profondità. Incendia la lotta politica, ma intossicandola con un clima di sospetti incrociati, di guerra civile a bassa intensità, di reciproca e permanente delegittimazione. Non il regime, ma il caos, un ininterrotto comizio che seppellisce la normalità politica rinfocolando un forsennato spirito di fazione che è la deformazione caricaturale del bipolarismo. Il regime non c’è, ma il suo spettro può generare frutti ancora peggiori. Travolgere istituzioni. Alimentare una rissa interminabile tra le truppe contrapposte, ma incomprensibile agli italiani che non sono militanti ma seguono allibiti la politica dei blitz e degli agguati, delle urla e dei proclami stentorei che ci perseguita implacabile da quindici anni. Incapaci, una buona volta, di voltare pagina.
Pierluigi Battista
09 ottobre 2009
1 commento:
QUESTA MATTINA MI VA DI DIVERTIRMI.
P.Q.M. VI PROPINO L'OPINIONE DI PIGI BATTISTA - COME LO CHIAMA TRAVAGLIO - CHE ATTACCA SUBITO A SCRIVERE SCIOCCHEZZE MA IN MALA FEDE.
EGLI CONFONDE DI PROPOSITO IL REGIME AUTORITARIO CON IL REGIME DITTATORIALE.
IN ITALIA IL REGIME C'E', NON C'E' (NON ANCORA) DITTATURA.
QUESTA FRASE " Un regime non prevede una Corte Costituzionale che boccia una legge di fondamentale importanza per il primo ministro" E' DI UNA SPUDORATEZZA UNICA. INFATTI, A MIO GIUDIZIO, IL PRIMO MINISTRO NON E' OGGETTO DI UN ACCANIMENTO GIUDIZIARIO.
DI ACCANIMENTO GIUDIZIARIO SI POTREBBE PARLARE SE PER LO STESSO REATO CI FOSSE UNA SERIE INFINITA DI PROCESSI.
SE INVECE SI INSTAURA UNA SERIE DI PROCESSI OGNUNO PER FATTI DELITTUOSI COMMESSI IN PIU' TEMPI E DI DIVERSA NATURA, ALLORA VUOL DIRE CHE LA MAGISTRATURA FA IL SUO DOVERE, NON ALTRO.
SPERO CHE IL LETTORE NON ABBIA VOMITATO.
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