La "rivoluzione dei calzini" nasce alle 8 e 58. E diventa il leit motiv della giornata. Lo slogan insistente di magistrati che si parlano l'un l'altro nelle mailing list per esprimere incredulità, esasperazione, ma anche paura. "A mia memoria, una cosa del genere non era mai accaduta" scrive uno. E l'altro: "Credo che non basti più "resistere resistere resistere", bisogna agire per noi, per i nostri figli, per la democrazia".
Dunque si arrivi alla "rivoluzione dei calzini". Che il primo propone così: "Tutti senza calzini davanti alla sede del Tg5". E un altro rilancia subito dopo: "Tutti in tribunale con calzini di colore diverso la settimana prossima". E il terzo: "Perché non andiamo tutti in udienza con qualcosa di fucsia visibile sull'abito? I calzini purtroppo non si vedono". E il quarto: "Il gesto avrebbe una valenza simbolica di immediata percepibilità ed evidenza. E non sarebbe disdicevole".
Il quinto: "Andrò senza calzini, me ne infischierò dei semafori, non mi metterò più seduto sulle panchine, non mi taglierò più né capelli né barba, insomma sarò un magistrato inappuntabile". La sesta cerca di scherzare e spezzare l'angoscia di una categoria sotto attacco: "Lo confesso: già oggi sotto i pantaloni indosso il "gambaletto", ed è imperdonabile...". Il settimo scrive una poesia: "La giustizia, cari amici,/è ormai un fatto sol di visi/ compiacenti ed assai proni,/ anzi un fatto di calzoni/ o calzini ben portati!/Tenga duro il buon Mesiano/che noi tutti lo portiamo/ in un sol palmo di mano!/La giustizia dei calzini/è il conforto dei cretini".
A Roma i due capi dell'Anm, il presidente Luca Palamara e il segretario Giuseppe Cascini, vivono una giornata di tensione. Sommersi di telefonate di protesta, di richieste d'intervento. Anche loro leggono le mailing list dei colleghi che si riempiono di messaggi sempre più sconcertati e allarmati. Lo specchio unico di una giornata in cui campeggia l'amara constatazione: "Non c'è bisogno di manganelli e olio di ricino, bastano tv e stampa di famiglia: forse meno cruenti, ma certamente più efficaci".
Niente nomi nel ripercorrere i messaggi. Ma i contenuti sì, ché sono la fotografia unica del disperato appello delle toghe a fermare l'escalation. Invocano dall'Anm lo sciopero: "Ciò che accade ha dell'inimmaginabile o forse ha un sapore antico. Comunicati, assemblee, uffici aperti di domenica, incontri con la gente servono a poco. Abbiamo scioperato per molto meno. Ma ora quanto manca al balcone di piazza Venezia?".
La parola fascismo non compare mai, ma sono i metodi che i giudici temono. Tant'è che uno scrive: "Si sta operando un linciaggio terrificante di Mesiano, il passo all'olio di ricino è breve". Per questo vogliono uno sciopero che non sarebbe contro una legge, ma per contrastare il timore diffuso che il centrodestra voglia usare il triste slogan delle BR "colpirne uno per educarne cento". Citano la frase, analizzano le coincidenze: "Dopo il filmato su Mesiano e le presunte rivelazioni di un avvocato al Giornale su una cena di anni addietro, siamo tutti potenzialmente sotto scacco". Dunque serve lo sciopero, la protesta massima che hanno sempre centellinato per gli scontri più gravi.
Per una toga che ironizza ("D'ora in avanti a cena al ristorante solo stornelli e chiacchiere di pallone"), un'altra non nasconde la paura: "Se la televisione pedina un magistrato, cosa possono fare a noi, alle nostre famiglie, ai nostri figli le centinaia di persone per cui si chiedono misure cautelari e le migliaia di cui si chiede il rinvio a giudizio o la condanna? Qui la solidarietà verbale e gli appelli sono come il nulla più assoluto".
Eppure da Reggio Calabria, dove Mesiano ha lavorato, parte un appello per lui perché "in democrazia le parti coinvolte hanno il diritto di criticare le sentenze, ma a nessuno è consentito l'attacco e l'invasione della sfera privata del magistrato solo perché ha emesso una decisione a taluno sgradita". Sciopero? Quantomeno "assemblee nei palazzi di giustizia aperte alla stampa e sospensione delle udienze per 15 minuti", come successe quando Berlusconi, era settembre 2003, dichiarò a due giornalisti dello Spectator che i giudici sono "antropologicamente pazzi".
Citano una delle dieci domande al premier di Repubblica. Questa: ""Lei ha parlato di un progetto eversivo che la minaccia". Può garantire di non aver usato, né di volere usare intelligence e polizie contro testimoni, magistrati, giornalisti?". Temono che Berlusconi stia facendo proprio questo. Dall'Anm, che per un caso riunisce giusto oggi il suo parlamentino, pretendono un ombrello protettivo che li metta al riparo. Mesiano in testa.
(17 ottobre 2009)
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