lunedì 26 ottobre 2009

L'incognita Tremonti sul governo


26/10/2009
UGO MAGRI


La vera incognita è cosa farà Tremonti. Lascia? Resta al suo posto? Le intenzioni del premier, invece, sono sufficientemente chiare: guadagnare tempo. Prendere qualche giorno prima di rispondere all’ultimatum del suo ministro che, secondo la versione accreditata ai vertici Pdl, avrebbe posto al Cavaliere un aut-aut, «o divento vice-premier oppure me ne vado». Berlusconi non è in grado di dirgli sì. Avrebbe la sollevazione dell’intero partito, dove non c’è uno solo dalla parte di Tremonti. Tuttavia nemmeno è in condizione di sbattergli la porta in faccia, perché la Lega sostiene a spada tratta il ministro e manda segnali minacciosi. Dunque, Berlusconi adotta la tattica del troncare e sopire. Chi gli ha parlato ieri, racconta un premier parecchio prudente. Non si pone più come controparte del ministro ribelle, bensì come mediatore nel braccio di ferro tra Giulio e il partito. Dunque oggi riceverà ad Arcore la trojka dei coordinatori, Bondi-Verdini-La Russa. Ma non prenderanno decisione alcuna. Dovrebbero limitarsi, secondo quanto filtra, a convocare un ufficio di presidenza, sede istituzionale dove dirimere le beghe interne. Nel frattempo, il Cavaliere avvierà la sua opera di persuasione. Da una parte metterà la museruola a quanti, tra i fedelissimi, nei giorni scorsi avevano addentato i polpacci del Professore.

Tremonti gli ha sottoposto un intero dossier con tutti gli attacchi ricevuti dal «fuoco amico», cominciando dal «Giornale» per finire alle controproposte di politica economica circolate sui «blog», dietro le quali il Professore intravvede la sagoma dei vari Sacconi, Brunetta, Baldassarri e Matteoli che dice: «Abbiamo bisogno di soluzioni non di nuove poltrone». Basta, dirà a tutti Berlusconi, Giulio è il migliore. Nello stesso tempo, però, chiederà a Tremonti di essere più flessibile, perché pure il partito ha le sue ragioni, e comunque l’ultima parola (come segnala Quagliariello) spetta pur sempre al premier. Il quale ha in mente, secondo il portavoce Pdl Capezzone, un cambio di passo sull’economia. Taglio dell’Irap e non solo: anche quoziente familiare, e poi riduzione dell’Irpef a due sole aliquote, suo antico pallino... Il Cavaliere proverà a convincere Tremonti che la carica di vice-premier non gli aggiungerebbe nulla, in fondo già guida da solo quattro ministeri (Tesoro, Finanze, Bilancio e Partecipazioni Statali) e gode di un potere immenso. Di cedere su questo punto, non ci pensa nemmeno. E’ il passaggio più delicato. Se le intenzioni attribuite a Tremonti fossero vere, dovremmo attenderci le sue dimissioni. Difatti un tam-tam incontrollato sostiene che potrebbe darle addirittura già oggi, con Berlusconi pronto a chiamare in campo al suo posto il governatore di Bankitalia, Draghi. Palazzo Chigi fa gli scongiuri. Però il fatto stesso che circolino queste voci, la dice lunga sull’aria che tira. Dove Tremonti è in urto praticamente con tutti. Ha litigato con Fitto e Scajola, con Gelmini e Prestigiacomo, ha fatto arrabbiare Bondi e perfino Letta.

Nello stesso tempo, però, il premier sa bene che senza Tremonti si aprirebbe una crisi devastante con la Lega. Calderoli è quasi irridente: dare il ministero dell’Economia a Draghi? «Un tecnico durerebbe quanto un gatto sull’Aurelia», dunque assai poco. E Berlusconi, avverte Calderoli, non si illuda di mettere tutti in riga con la pistola del ricorso alle urne: «Più che il rischio di elezioni anticipate», taglia corto, «c’è quello di governicchi». Che non sarebbe Berlusconi a guidare. E lui lo sa.

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