La Corte costituzionale ha sospeso la camera di consiglio sul lodo Alfano cominciata questa mattina alle 9. La discussione sulla costituzionalità della legge Alfano riprenderà alle 15,30-16. Dopo la fumata nera di ieri, oggi dovrebbe essere il giorno del verdetto. Che forse potrebbe essere comunicato già alle 16, secondo quanto riferisce l’Adnkronos citando fonti interne alla Consulta. Tre i possibili scenari della sentenza sulla legge che sospende i processi per le quattro più alte cariche dello Stato: il rigetto dei ricorsi, l’incostituzionalità parziale del lodo e infine l’incostituzionalità totale. Ieri mattina al palazzo della Consulta si è svolta l’udienza pubblica. Un primo round che ha segnato un punto a favore dei difensori del lodo: secondo quanto disposto dalla Consulta, è inammissibile la presenza dei pm nei giudizi di costituzionalità sulla legge Alfano. Decisione accolta con rammarico da Alessandro Pace, rappresentante della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano. Contro la presenza di Pace era stata presentata una memoria dai legali del premier Silvio Berlusconi (Niccolò Ghedini, Gaetano Pecorella e Piero Longo). Di fronte all’istanza di Pace, che aveva chiesto di essere ammesso in giudizio per garantire la parità fra le parti nell’ambito della discussione, il presidente della Consulta Francesco Amirante ha spiegato che si tratta di una richiesta “inammissibile” per “giurisprudenza della Corte” in quanto “la parità tra accusa e difesa non comporta necessariamente la presenza del pm”. “C’è un po’ di amarezza: come si fa - ha commentato Pace coi cronisti - a dire che la procura non è parte in un processo penale?”. Per il costituzionalista “questa è una legge ad personam. Dieci anni fa sarebbe stata dichiarata incostituzionale solo per questo fatto”. Pace ora la vede “più negativamente: ci sono più spiragli che questa sentenza ribalti quella del 2004” sul lodo Schifani, e che quindi la Corte giudichi inammissibili i ricorsi contro il lodo Alfano. “D’altra parte - aggiunge - se i giudici della Corte sono riusciti a fare la sentenza su Abu Omar...”. Un riferimento al pronunciamento della Consulta sfavorevole alla Procura di Milano sul segreto di Stato relativo al sequestro dell’ex imam di Milano.
Alle 9.30 – dopo un minuto di silenzio per i morti dell’alluvione a Messina - il presidente Francesco Amirante ha aperto ufficialmente l’udienza pubblica. Poi la parola è passata al relatore Franco Gallo per riassumere i motivi dei tre ricorsi contro il lodo Alfano. Due di questi sono stati presentati dai giudici di Milano, nell’ambito dei processi in cui il premier Silvio Berlusconi è imputato per corruzione in atti giudiziari dell’avvocato inglese David Mills e per presunte irregolarità nella compravendita dei diritti televisivi Mediaset. Il terzo ricorso è stato inoltrato dal gip di Roma, chiamato a decidere se rinviare o meno a giudizio Berlusconi, indagato per istigazione alla corruzione di alcuni senatori eletti all’estero durante la scorsa legislatura. Dopo una breve sospensione e il giudizio di inammissibilità in merito alla presenza di Pace, la Corte ha ascoltato i legali del premier. “La legge è uguale per tutti, ma non necessariamente la sua applicazione, come del resto già ribadito dalla Corte Costituzionale”, ha sottolineato nel suo intervento Ghedini, citando tra l’altro come esempio “le norme sui reati ministeriali, dove la legge ordinaria distingue il comune cittadino dal ministro e dal suo eventuale concorrente privato”. Per Ghedini la legge sul lodo Alfano “è assolutamente coerente con i dettati costituzionali e con i principi emanati dalla Corte". Longo ha invece insistito sul fatto che “non è possibile rivestire la duplice veste di alta carica dello Stato e di imputato perché, per esercitare il proprio diritto di difesa, si rischia di non poter adempiere il proprio servizio per lo Stato”. E ciò “costituirebbe un vulnus alla Costituzione” che impone “a chi ricopre incarichi istituzionali di dedicare il proprio tempo”.
Pecorella ha poi posto l’accento sul fatto che “con le modifiche apportate alla legge elettorale, il presidente del Consiglio non può più essere considerato uguale agli altri parlamentari, ossia non è più ‘primus inter pares’, ma deve essere considerato ‘primus super pares’”. Infatti ieri, ha notato Pecorella, “le coalizioni depositano il programma elettorale indicando il nome del loro leader. Rimangono certamente salde le prerogative del presidente della Repubblica, ma il presidente del Consiglio è l’unico che riceve la sua legittimazione dalla volontà popolare”. Dunque, sempre per Pecorella, occorre registrare che “con la legislazione di oggi sulle elezioni delle cariche politiche, la posizione del presidente del Consiglio si è venuta staccando da quella che era stata disegnata dalle tradizioni liberali”. La Corte ha infine ascoltato l’avvocato dello Stato che, a chiusura del suo intervento, ha replicato alle critiche suscitate dalla memoria che aveva presentato alla Corte: “C’è stato un equivoco e ricostruzioni fantasiose della nostra posizione: parlando di danni irreparabili alle funzioni di governo, intendevo dire che si danneggerebbero queste funzioni, basti pensare agli impegni del presidente del Consiglio a livello europeo”. Secondo l’avvocatura dello Stato, il lodo Alfano è “il danno minore” che la sospensione del processo penale a carico delle quattro alte cariche dello Stato posa causare alla giustizia italiana. Per Nori “la ‘ratio’ della norma è la soluzione del possibile conflitto fra le esigenze legate alle funzioni di governo e al diritto alla difesa in processo: un problema non ipotetico ma reale, in corso, che è giusto sia stato affrontato e risolto dalla legge ordinaria. Si tratta di un problema di compatibilità fra due interessi, entrambi totalmente tutelati e garantiti dalla Costituzione”.
(Remo Urbino) 7 ott 2009
Nessun commento:
Posta un commento