domenica 4 ottobre 2009

Lodo, le ragioni per dire no


di Antonella Mascali

Per responsabilità di due giudici, un vero scandalo ha toccato la Corte Costuzionale che martedì prossimo si riunirà per decidere se salvare o bocciare il cosiddetto Lodo Alfano. Era una sera di maggio quando, a Roma, in una bella casa si è consumato un banchetto decisamente sconveniente. Ospite il giudice costituzionale Luigi Mazzella che ha invitato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il ministro della Giustizia Angelino Alfano, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, il presidente della commissione affari costituzionali del Senato Carlo Vizzini e il collega, Paolo Maria Napolitano. Cioè: due giudici della Consulta cenano con il premier-imputato ibernato Silvio Berlusconi e il Guardasigilli pochi mesi prima della decisione che dovranno prendere con gli altri colleghi sul lodo Alfano. Una legge in teoria approvata per fermare i processi delle quattro più alte cariche dello Stato, nei fatti per congelare quelli a carico di Berlusconi. A cominciare dai processi milanesi per la corruzione dell’avvocato Mills e per i presunti costi gonfiati degli acquisiti dei diritti tv e cinematografici.
La cena, rivelata dal giornalista Peter Gomez, è stata rivendicata dal padrone di casa Mazzella. Il giudice ha addirittura scritto una lettera aperta “all’amico Silvio” per dire che non si è parlato di lodo Alfano e di riforma della Costituzione. Mazzella dice “di essere un uomo libero in un Paese ancora libero e di avere il diritto umano di invitare a casa mia un amico di vecchia data quale tu sei”. Poi insinua: “Molti miei attuali ed emeriti colleghi della Corte Costituzionale hanno sempre ricevuto nelle loro case, come è giusto che sia, alte personalità dello Stato e potrei fartene un elenco chilometrico”. Neppure per un momento ha pensato di dover almeno astenersi sul lodo Alfano anche se non c’è alcun regolamento che lo preveda: “Ma stiamo scherzando? Allora dovrei astenermi da tutti i lavori della Corte. A cena invito chi voglio: a casa mia vengono tutti, dall'estrema sinistra alla destra; sono amico personale di Fausto Bertinotti e di tanti altri che vivono nel mondo della politica. Io rispondo soprattutto della mia onestà intellettuale e morale, autonomia e indipendenza. Nulla da nascondere”. Mazzella, napoletano, è stato avvocato generale dello Stato dal dicembre 2001 al 14 novembre 2002 quando, per poco più di un anno, diventa il ministro della funzione pubblica del governo Berlusconi bis. E’ giudice della corte Costituzionale dal giugno 2005 su indicazione della maggioranza parlamentare di centro-destra. Una lettera, pubblicata dal “Corriere della Sera”, la scrive anche l’altro giudice della Consulta presente alla cena, Paolo Maria Napolitano, ex capo dell’ufficio legislativo dell’allora ministro degli esteri Fini. “C’è una sperequazione tra il fatto contestato e la brutale campagna di aggressione che ne è seguita” e di fronte alla richiesta di dimissioni da parte di Idv e di astensione da parte del Pd, il giudice scrive di “tentativo per condizionare la corte costituzionale nella sua futura attività, intimidendo alcuni dei suoi componenti”. Il presidente della Consulta, Francesco Amirante, ai primi di luglio, a quanto pare spinto dagli altri giudici, emette un comunicato nel giorno in cui il capo dello Stato invita “a non alzare i toni del dibattito pubblico”. Scrive Amirante: “La Corte costituzionale nella sua collegialità deciderà, come ha sempre fatto, in serenità e obiettività, le questioni sottoposte al suo esame”. E l’unico beneficiario del lodo Alfano? L’estate scorsa Berlusconi ostentava sicurezza e lanciava segnali: “Sono assolutamente convinto che passerà il vaglio della Consulta, altrimenti ci sarebbe da fare una profonda riflessione su tutto il sistema giudiziario». Veramente le ultime indiscrezioni, che possono essere smentite in ogni momento, dicono che la Corte boccerà il lodo Alfano, sia pure a maggioranza risicata. Il centro-destra, però, in caso di bocciatura sarebbe pronto con un’altra legge. Maurizio Gasparri l’ha detto chiaramente: “Ci sarà un Ghedini o un Ghedoni che troverà un cavillo”. Anche Vittorio Feltri, nell’editoriale sul “Giornale” in cui ha minacciato di colpire Fini con un dossier a luci rosse se non cambiava registro, gli ricordava anche che se il lodo Alfano non passerà c’è già pronta un’altra legge.

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