Di una possibile tregua tra i poli si parla da anni a scadenza più o meno semestrale e ogni volta col medesimo esito: i sondaggi reciproci, i timidi segnali di distensione e persino gli abboccamenti veri e propri - come i due faccia a faccia Veltroni-Berlusconi a cavallo delle politiche 2008 - evolvono sistematicamente in una nuova fiammata di guerra guerreggiata. Qualcosa può cambiare nei prossimi mesi? L'elezione di Pier Luigi Bersani, che ridà al Pd una guida stabile e al centrodestra un interlocutore pienamente legittimato, potrebbe aprire una fase nuova? La prudenza è obbligatoria. Ma qualcosa sembra muoversi davvero.
Piccoli segnali. Mosse formali più che sostanziali. Che indicano però una possibile direzione di marcia. Dice già molto, sul versante di centrosinistra, il fatto che Bersani abbia scelto di affrontare subito il dossier Antonio Di Pietro, incontrato ieri mattina al quartier generale democratico del Nazareno. Disinnescare l'ex pm, fermare la guerriglia quotidiana dell'Idv, interrompere la rincorsa giustizialista che ha imposto al Pd, rappresenta una priorità per il neosegretario. Il quale sa bene, però, che oggi nessuna coalizione di centrosinistra che si privi dell'apporto di Di Pietro ha i numeri per impensierire il centrodestra. E questo vale già per le prossime regionali, dove i dipietristi minacciano di andare da soli in alcune regioni del sud (Campania e Calabria), di fatto consegnandole in partenza al Pdl.
Bersani ha chiesto a Di Pietro di darsi una regolata. L'offerta all'ex pm poggia su una sorta di divisione dei ruoli all'interno dell'opposizione: il Pd fa da baricentro riformista, l'Idv è libera di organizzarsi altrimenti purché, in piazza come nelle altre sedi, tolga il Pd e il Colle dal suo mirino e si concentri sull'opposizione al Cavaliere. «Con l'Idv avremo anche degli incidenti di percorso, ma lavorerò perché ce ne siano di meno», ha spiegato Bersani al termine dell'incontro. Un Di Pietro insolitamente moderato ha commentato: «Abbiamo stabilito un impegno comune e sottolineato la necessità di iniziare insieme un percorso programmatico e di credibilità».
Il disarmo con Di Pietro è la prima mossa per ridare centralità al Pd nel gioco politico. Da mesi la dinamica maggioranza-opposizione è tutta interna al centrodestra, con Fini e Tremonti a fare le veci dei leader democratici impegnati a congresso. Bersani intende riprendersi il mestiere. Ma vuole anche stare attento a non impelagarsi in un nuovo stucchevole e astratto dibattito dialogo sì-dialogo no: «Dialogo è una parola malata. C'è un posto per discutere, si chiama Parlamento», ha spiegato l'altro giorno a Prato nel suo primo giorno da leader. E sarà in aula - senza tavoli, caminetti o bicameraline - che sul tema delle riforme istituzionali il Pd è pronto a dare seguito concreto alla piattaforma congressuale uscita vincente dalle primarie.
Bersani ha alcuni paletti che non può valicare. Sul capitolo giustizia i suoi margini di manovra e di confronto con le proposte del governo sono strettissimi: avrebbe seri problemi all'interno del suo stesso partito e minerebbe la tregua con Di Pietro, specie con un Berlusconi sotto processo per il caso Mills e che insiste nel cercare lo scontro frontale con la magistratura. Ma è convinzione profonda del segretario che il Pd non può stare a guardare se parte un serio tentativo di riforma dell'assetto istituzionale: poteri del premier, superamento del bicameralismo con l'istituzione di un Senato federale, riduzione del numero dei parlamentari e via dicendo. C'è un segnale però che Bersani attende per verificare le intenzioni del centrodestra ed è la disponibilità a rivedere, insieme al resto, la legge elettorale, «perché - spiega un autorevole rappresentante della nuova maggioranza interna - non si può pensare di riformare lo Stato e poi tenersi una legge-porcata come quella attuale e quindi un Parlamento di nominati». La preferenza di Bersani è nota: va al modello tedesco, mix di maggioritario e proporzionale. Lo schema cui tendere lo è altrettanto: un quadro di cinque-sei forze politiche in tutto, che ruotano intorno a due partiti principali, uno di qua uno di là.
Bersani pensa che si possa fare. Però non vuole accelerare al buio. I suoi spin doctor spiegano che la prassi del nuovo corso non sarà mai “prima l'annuncio e poi la discussione” e quindi il segretario si muoverà solo quando avrà un chiaro mandato del Pd. Il resto dipenderà dalle novità nel campo di centrodestra. Ma anche lì qualcosa pare muoversi. C'è il lavorìo trasversale di Gianfranco Fini. La ritrovata centralità di Gianni Letta, uomo chiave di qualsiasi eventuale trama di distensione. I molti e autorevoli esponenti del Pdl che invocano una moratoria bipartisan sull'uso politico degli scandali a sfondo sessuale. E poi lo stesso Berlusconi: quando rivendica di aver avvisato Piero Marrazzo che in Mondadori circolava il famigerato video sull'ex governatore, a suo modo lancia anche un segnale all'opposizione per uscire dal tunnel dei dieci cento mille sexgate già in incubazione. Che poi il premier lo faccia con una mossa a dir poco eterodossa, che riapre un sesquipedale caso di conflitto di interessi, è altro discorso. La buona disposizione di Berlusconi verso il nuovo segretario è confermata dal racconto di deputato Pdl che lunedì era ad Arcore: «Bersani? Il “Migliore”, con la M maiuscola - ha detto il premier - è una persona che stimo, è bravo e bada alla concretezza. Ma...». Ma? «È comunista», ha risposto il Cavaliere. Riassumendo così il quadro della situazione: il confronto sulle riforme può davvero decollare. O naufragare alle prime difficoltà.
Piccoli segnali. Mosse formali più che sostanziali. Che indicano però una possibile direzione di marcia. Dice già molto, sul versante di centrosinistra, il fatto che Bersani abbia scelto di affrontare subito il dossier Antonio Di Pietro, incontrato ieri mattina al quartier generale democratico del Nazareno. Disinnescare l'ex pm, fermare la guerriglia quotidiana dell'Idv, interrompere la rincorsa giustizialista che ha imposto al Pd, rappresenta una priorità per il neosegretario. Il quale sa bene, però, che oggi nessuna coalizione di centrosinistra che si privi dell'apporto di Di Pietro ha i numeri per impensierire il centrodestra. E questo vale già per le prossime regionali, dove i dipietristi minacciano di andare da soli in alcune regioni del sud (Campania e Calabria), di fatto consegnandole in partenza al Pdl.
Bersani ha chiesto a Di Pietro di darsi una regolata. L'offerta all'ex pm poggia su una sorta di divisione dei ruoli all'interno dell'opposizione: il Pd fa da baricentro riformista, l'Idv è libera di organizzarsi altrimenti purché, in piazza come nelle altre sedi, tolga il Pd e il Colle dal suo mirino e si concentri sull'opposizione al Cavaliere. «Con l'Idv avremo anche degli incidenti di percorso, ma lavorerò perché ce ne siano di meno», ha spiegato Bersani al termine dell'incontro. Un Di Pietro insolitamente moderato ha commentato: «Abbiamo stabilito un impegno comune e sottolineato la necessità di iniziare insieme un percorso programmatico e di credibilità».
Il disarmo con Di Pietro è la prima mossa per ridare centralità al Pd nel gioco politico. Da mesi la dinamica maggioranza-opposizione è tutta interna al centrodestra, con Fini e Tremonti a fare le veci dei leader democratici impegnati a congresso. Bersani intende riprendersi il mestiere. Ma vuole anche stare attento a non impelagarsi in un nuovo stucchevole e astratto dibattito dialogo sì-dialogo no: «Dialogo è una parola malata. C'è un posto per discutere, si chiama Parlamento», ha spiegato l'altro giorno a Prato nel suo primo giorno da leader. E sarà in aula - senza tavoli, caminetti o bicameraline - che sul tema delle riforme istituzionali il Pd è pronto a dare seguito concreto alla piattaforma congressuale uscita vincente dalle primarie.
Bersani ha alcuni paletti che non può valicare. Sul capitolo giustizia i suoi margini di manovra e di confronto con le proposte del governo sono strettissimi: avrebbe seri problemi all'interno del suo stesso partito e minerebbe la tregua con Di Pietro, specie con un Berlusconi sotto processo per il caso Mills e che insiste nel cercare lo scontro frontale con la magistratura. Ma è convinzione profonda del segretario che il Pd non può stare a guardare se parte un serio tentativo di riforma dell'assetto istituzionale: poteri del premier, superamento del bicameralismo con l'istituzione di un Senato federale, riduzione del numero dei parlamentari e via dicendo. C'è un segnale però che Bersani attende per verificare le intenzioni del centrodestra ed è la disponibilità a rivedere, insieme al resto, la legge elettorale, «perché - spiega un autorevole rappresentante della nuova maggioranza interna - non si può pensare di riformare lo Stato e poi tenersi una legge-porcata come quella attuale e quindi un Parlamento di nominati». La preferenza di Bersani è nota: va al modello tedesco, mix di maggioritario e proporzionale. Lo schema cui tendere lo è altrettanto: un quadro di cinque-sei forze politiche in tutto, che ruotano intorno a due partiti principali, uno di qua uno di là.
Bersani pensa che si possa fare. Però non vuole accelerare al buio. I suoi spin doctor spiegano che la prassi del nuovo corso non sarà mai “prima l'annuncio e poi la discussione” e quindi il segretario si muoverà solo quando avrà un chiaro mandato del Pd. Il resto dipenderà dalle novità nel campo di centrodestra. Ma anche lì qualcosa pare muoversi. C'è il lavorìo trasversale di Gianfranco Fini. La ritrovata centralità di Gianni Letta, uomo chiave di qualsiasi eventuale trama di distensione. I molti e autorevoli esponenti del Pdl che invocano una moratoria bipartisan sull'uso politico degli scandali a sfondo sessuale. E poi lo stesso Berlusconi: quando rivendica di aver avvisato Piero Marrazzo che in Mondadori circolava il famigerato video sull'ex governatore, a suo modo lancia anche un segnale all'opposizione per uscire dal tunnel dei dieci cento mille sexgate già in incubazione. Che poi il premier lo faccia con una mossa a dir poco eterodossa, che riapre un sesquipedale caso di conflitto di interessi, è altro discorso. La buona disposizione di Berlusconi verso il nuovo segretario è confermata dal racconto di deputato Pdl che lunedì era ad Arcore: «Bersani? Il “Migliore”, con la M maiuscola - ha detto il premier - è una persona che stimo, è bravo e bada alla concretezza. Ma...». Ma? «È comunista», ha risposto il Cavaliere. Riassumendo così il quadro della situazione: il confronto sulle riforme può davvero decollare. O naufragare alle prime difficoltà.
29 ottobre 2009
Nessun commento:
Posta un commento