sabato 31 ottobre 2009

Marrazzo, c’è un quinto carabiniere indagato


Metteva a disposi­zione il suo appartamento per far visionare il video ai possibi­li acquirenti. E perquisiva le persone prima di farle entrare. C’è un altro carabiniere indaga­to nell’inchiesta sul ricatto a Piero Marrazzo. Si chiama Do­nato D’Autilia, ha 42 anni, e nel 2006 fu arrestato per un’indagi­ne di pedofilia. Sospettato — insieme a una trentina tra pro­fessionisti, militari, sacerdoti — di aver costretto numerosi bambini rom ad avere rapporti sessuali. Nel caso del Governa­tore del Lazio, i magistrati gli contestano la ricettazione, ma stanno verificando se possa aver avuto un ruolo anche nel­le rapine compiute nelle case dei transessuali di via Gradoli e delle altre zone di Roma nord contestate ai tre militari del Trionfale Carlo Tagliente, Lucia­no Simeone e Nicola Testini, tutti difesi da Marina Lo Faro.

«Ci controllava militarmente »

Il primo a parlare di lui è sta­to il fotografo Max Scarfone, spiegando che era «l’uomo che mi controllò militarmente quando andai la prima volta a vedere il filmato che volevano vendere». La conferma è arriva­ta da Giangavino Sulas, il gior­nalista di Oggi , pure lui portato nella sua casa per vedere le im­magini. Scarfone sostiene che l’incontro avvenne a fine luglio e questo avvalora l’ipotesi che sin dai primi momenti D’Auti­lia fosse d’accordo con gli altri colleghi. Per quale motivo nei suoi confronti non è scattato un provvedimento di fermo, come invece è avvenuto per An­tonio Tamburrino, anche lui ac­cusato soltanto di ricettazione? È una delle questione che l’av­vocato Mario Griffo porrà ai giudici del Riesame.

La mediazione degli imprenditori

Gli arrestati sostengono che a consegnare loro il filmato fu Gianguarino Cafasso, un confi­dente che chiese aiuto per po­terlo vendere. Si sa che lui stes­so lo fece vedere a due giornali­ste di Libero a luglio. «A settem­bre, quando abbiamo saputo che era morto d’infarto, pen­sammo di proseguire in questo tentativo», ha ammesso Tagliente. E poi ha ag­giunto: «Simeone ave­va rapporti su due di­versi canali. Il primo con un ta­le Riccardo, un imprenditore che a me non è mai piaciuto, che gli fu presentato da un suo confidente. Questa situazione non ha portato a nulla anche se Riccardo, con un tale che mi pa­re si chiami Massimo, ebbero modo di visionare il filmato a casa di Luciano. In quell’occa­sione ero presente anch’io e do­po l’incontro, nonostante i due fossero interessati, ebbi modo di confermare a Luciano la mia cattiva sensazione nell’avere avuto rapporto con queste per­sone. Per quanto mi disse Lu­ciano non erano loro i diretti acquirenti del video, ma stava­no agendo per conto di altri che non conosco». Di chi si trat­tava? Erano persone che voleva­no soltanto guardare il filmato per eventuali altri ricatti? Oppu­re — se davvero erano mediato­ri — a chi avevano intenzione di cederlo? Simeone, non forni­sce questi dettagli, ma assicura che «con loro non si riuscì a concludere nulla». Cita invece un altro imprenditore «tale Pie­tro Colabianchi, che ha delle ca­se in Sardegna dove sono anda­to in vacanza quest’estate che conosceva la vicenda del vi­deo, ma non so se abbia fatto qualcosa per venderlo».

«L’originale spezzato in due»

Tagliente sostiene che alla fi­ne di luglio «Cafasso fece vede­re il video a me e a Simeone e poi ce lo diede. Lo nascondem­mo in una zona di campagna sulla via Trionfale, vicino al ponte nuovo. Era breve, dura­va circa due o tre minuti». Una versione smentita da Nicola Te­stini, che ammette di aver visio­nato un filmato di circa 13 mi­nuti. Del resto era stato lo stes­so Tagliente, parlando con Scar­fone, a spiegare di non poter mostrare l’originale «perché contiene volti e voci che non si possono vedere». A che cosa si riferiva? È possibile che Marraz­zo compaia con due transessua­li, come sosteneva Cafasso, e lo­ro non volevano tradire chi ave­va fornito la «soffiata» sul Go­vernatore. Oppure, ed è questa l’ipotesi esplorata dagli investi­gatori, il filmato lungo contie­ne immagini di diverse occasio­ni e dunque mostra altri prota­gonisti di incontri a pagamen­to. «In ogni caso — giurano i carabinieri — lo abbiamo di­strutto cinque o sei giorni pri­ma di essere arrestati». L’unica possibilità di recuperarlo è l’esame del computer dove Ta­gliente sostiene di averlo ma­sterizzato.

Fiorenza Sarzanini
31 ottobre 2009

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