Metteva a disposizione il suo appartamento per far visionare il video ai possibili acquirenti. E perquisiva le persone prima di farle entrare. C’è un altro carabiniere indagato nell’inchiesta sul ricatto a Piero Marrazzo. Si chiama Donato D’Autilia, ha 42 anni, e nel 2006 fu arrestato per un’indagine di pedofilia. Sospettato — insieme a una trentina tra professionisti, militari, sacerdoti — di aver costretto numerosi bambini rom ad avere rapporti sessuali. Nel caso del Governatore del Lazio, i magistrati gli contestano la ricettazione, ma stanno verificando se possa aver avuto un ruolo anche nelle rapine compiute nelle case dei transessuali di via Gradoli e delle altre zone di Roma nord contestate ai tre militari del Trionfale Carlo Tagliente, Luciano Simeone e Nicola Testini, tutti difesi da Marina Lo Faro.
«Ci controllava militarmente »
Il primo a parlare di lui è stato il fotografo Max Scarfone, spiegando che era «l’uomo che mi controllò militarmente quando andai la prima volta a vedere il filmato che volevano vendere». La conferma è arrivata da Giangavino Sulas, il giornalista di Oggi , pure lui portato nella sua casa per vedere le immagini. Scarfone sostiene che l’incontro avvenne a fine luglio e questo avvalora l’ipotesi che sin dai primi momenti D’Autilia fosse d’accordo con gli altri colleghi. Per quale motivo nei suoi confronti non è scattato un provvedimento di fermo, come invece è avvenuto per Antonio Tamburrino, anche lui accusato soltanto di ricettazione? È una delle questione che l’avvocato Mario Griffo porrà ai giudici del Riesame.
La mediazione degli imprenditori
Gli arrestati sostengono che a consegnare loro il filmato fu Gianguarino Cafasso, un confidente che chiese aiuto per poterlo vendere. Si sa che lui stesso lo fece vedere a due giornaliste di Libero a luglio. «A settembre, quando abbiamo saputo che era morto d’infarto, pensammo di proseguire in questo tentativo», ha ammesso Tagliente. E poi ha aggiunto: «Simeone aveva rapporti su due diversi canali. Il primo con un tale Riccardo, un imprenditore che a me non è mai piaciuto, che gli fu presentato da un suo confidente. Questa situazione non ha portato a nulla anche se Riccardo, con un tale che mi pare si chiami Massimo, ebbero modo di visionare il filmato a casa di Luciano. In quell’occasione ero presente anch’io e dopo l’incontro, nonostante i due fossero interessati, ebbi modo di confermare a Luciano la mia cattiva sensazione nell’avere avuto rapporto con queste persone. Per quanto mi disse Luciano non erano loro i diretti acquirenti del video, ma stavano agendo per conto di altri che non conosco». Di chi si trattava? Erano persone che volevano soltanto guardare il filmato per eventuali altri ricatti? Oppure — se davvero erano mediatori — a chi avevano intenzione di cederlo? Simeone, non fornisce questi dettagli, ma assicura che «con loro non si riuscì a concludere nulla». Cita invece un altro imprenditore «tale Pietro Colabianchi, che ha delle case in Sardegna dove sono andato in vacanza quest’estate che conosceva la vicenda del video, ma non so se abbia fatto qualcosa per venderlo».
«L’originale spezzato in due»
Tagliente sostiene che alla fine di luglio «Cafasso fece vedere il video a me e a Simeone e poi ce lo diede. Lo nascondemmo in una zona di campagna sulla via Trionfale, vicino al ponte nuovo. Era breve, durava circa due o tre minuti». Una versione smentita da Nicola Testini, che ammette di aver visionato un filmato di circa 13 minuti. Del resto era stato lo stesso Tagliente, parlando con Scarfone, a spiegare di non poter mostrare l’originale «perché contiene volti e voci che non si possono vedere». A che cosa si riferiva? È possibile che Marrazzo compaia con due transessuali, come sosteneva Cafasso, e loro non volevano tradire chi aveva fornito la «soffiata» sul Governatore. Oppure, ed è questa l’ipotesi esplorata dagli investigatori, il filmato lungo contiene immagini di diverse occasioni e dunque mostra altri protagonisti di incontri a pagamento. «In ogni caso — giurano i carabinieri — lo abbiamo distrutto cinque o sei giorni prima di essere arrestati». L’unica possibilità di recuperarlo è l’esame del computer dove Tagliente sostiene di averlo masterizzato.
Fiorenza Sarzanini
31 ottobre 2009
«Ci controllava militarmente »
Il primo a parlare di lui è stato il fotografo Max Scarfone, spiegando che era «l’uomo che mi controllò militarmente quando andai la prima volta a vedere il filmato che volevano vendere». La conferma è arrivata da Giangavino Sulas, il giornalista di Oggi , pure lui portato nella sua casa per vedere le immagini. Scarfone sostiene che l’incontro avvenne a fine luglio e questo avvalora l’ipotesi che sin dai primi momenti D’Autilia fosse d’accordo con gli altri colleghi. Per quale motivo nei suoi confronti non è scattato un provvedimento di fermo, come invece è avvenuto per Antonio Tamburrino, anche lui accusato soltanto di ricettazione? È una delle questione che l’avvocato Mario Griffo porrà ai giudici del Riesame.
La mediazione degli imprenditori
Gli arrestati sostengono che a consegnare loro il filmato fu Gianguarino Cafasso, un confidente che chiese aiuto per poterlo vendere. Si sa che lui stesso lo fece vedere a due giornaliste di Libero a luglio. «A settembre, quando abbiamo saputo che era morto d’infarto, pensammo di proseguire in questo tentativo», ha ammesso Tagliente. E poi ha aggiunto: «Simeone aveva rapporti su due diversi canali. Il primo con un tale Riccardo, un imprenditore che a me non è mai piaciuto, che gli fu presentato da un suo confidente. Questa situazione non ha portato a nulla anche se Riccardo, con un tale che mi pare si chiami Massimo, ebbero modo di visionare il filmato a casa di Luciano. In quell’occasione ero presente anch’io e dopo l’incontro, nonostante i due fossero interessati, ebbi modo di confermare a Luciano la mia cattiva sensazione nell’avere avuto rapporto con queste persone. Per quanto mi disse Luciano non erano loro i diretti acquirenti del video, ma stavano agendo per conto di altri che non conosco». Di chi si trattava? Erano persone che volevano soltanto guardare il filmato per eventuali altri ricatti? Oppure — se davvero erano mediatori — a chi avevano intenzione di cederlo? Simeone, non fornisce questi dettagli, ma assicura che «con loro non si riuscì a concludere nulla». Cita invece un altro imprenditore «tale Pietro Colabianchi, che ha delle case in Sardegna dove sono andato in vacanza quest’estate che conosceva la vicenda del video, ma non so se abbia fatto qualcosa per venderlo».
«L’originale spezzato in due»
Tagliente sostiene che alla fine di luglio «Cafasso fece vedere il video a me e a Simeone e poi ce lo diede. Lo nascondemmo in una zona di campagna sulla via Trionfale, vicino al ponte nuovo. Era breve, durava circa due o tre minuti». Una versione smentita da Nicola Testini, che ammette di aver visionato un filmato di circa 13 minuti. Del resto era stato lo stesso Tagliente, parlando con Scarfone, a spiegare di non poter mostrare l’originale «perché contiene volti e voci che non si possono vedere». A che cosa si riferiva? È possibile che Marrazzo compaia con due transessuali, come sosteneva Cafasso, e loro non volevano tradire chi aveva fornito la «soffiata» sul Governatore. Oppure, ed è questa l’ipotesi esplorata dagli investigatori, il filmato lungo contiene immagini di diverse occasioni e dunque mostra altri protagonisti di incontri a pagamento. «In ogni caso — giurano i carabinieri — lo abbiamo distrutto cinque o sei giorni prima di essere arrestati». L’unica possibilità di recuperarlo è l’esame del computer dove Tagliente sostiene di averlo masterizzato.
Fiorenza Sarzanini
31 ottobre 2009
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