mercoledì 28 ottobre 2009

Mastella, l’impudìco onesto


di Massimo Fini

Ho sempre avuto una certa simpatia per Clemente Mastella. Perché con la sua onesta impudicizia di conclamato ciurmadore smaschera l'ipocrisia altrui. Una volta che il presidente emerito Francesco Cossiga lo aggredì perché, come segretario dell'Udeur, stava facendo una sua campagna acquisti, con i soliti metodi, in altri partiti, Mastella non negò. Disse: «È quello che ho sempre fatto, anche a favore del presidente Cossiga. Ma non riesco a capire perché quando lo facevo per Cossiga andava bene e invece adesso che lo faccio per altri o per me stesso è immorale». E anche ora che è sotto inchiesta per "segnalazioni", raccomandazioni, promozioni, in cambio di favori e di assoggettamento al suo gruppo di potere, Mastella sostanzialmente non ha negato anche se ha cercato di buttarla sul fatto che lui soccorreva dei "disperati" mentre fra chi riceveva "l'aiutino" c'erano pure primari e professionisti di vario genere. Si è difeso dicendo: «Così fan tutti». Ed è la pura verità. Il "sistema Mastella" non è il "sistema Mastella" è il sistema di tutti i partiti, nessuno escluso, così penetrato nel costume politico che Mastella è probabilmente sincero quando afferma di essere una "persona perbene". E invece si tratta di fatti gravissimi anche se ormai la cosa sfugge ai più e non solo a Mastella. In un momento in cui ci sono milioni di giovani in cerca di un lavoro che non trovano o in stato di precarietà, chi conserva quel tanto di dignità e di rispetto di sé per non andare a baciare la babbuccia del boss di Ceppaloni o di capibastone di altri partiti resta fuori. Basterebbe questo per rovesciare il tavolo e giustificare una rivoluzione. Ma ormai in Italia siamo talmente infrolliti che accettiamo tutto, subiamo tutto senza fiatare.
E le "raccomandazioni" sono l'aspetto minore della faccenda. Poi ci sono le consulenze milionarie. Quindi le elezioni pilotate del personale politico regionale, provinciale, comunale. Mi ha detto Tiziana Maiolo, in questo caso insospettabile: «Non ce n'è uno che non abbia il compito di "portare la pappa" al suo capo-bastone. Se non lo fa esce dal giro». Infine vengono le tangenti sugli appalti e su altri affari. I partiti si comportano come delle organizzazioni mafiose. Sono delle organizzazioni mafiose, perché della mafia usano i metodi: il "pizzo", il ricatto, l'intimidazione, l'infeudamento in cambio di protezione. Manca l'assassinio. E non sempre (Per esempio a me piacerebbe sapere a favore di chi fu fatto l'attentato, definito "mafioso", al giudice Palermo che avendo avuto la sventura di imbattersi nel nome di Craxi in un'inchiesta su un traffico d'armi fu trasferito da un giorno all'altro da Trieste a Trapani. Carlo Palermo a Trapani ci stava da tre mesi e sulla mafia non poteva aver scoperto nulla. Il giudice salvò la pelle per miracolo, ma nell'attentato morirono una madre e i suoi due figlioletti, particolare marginale di cui tutti si sono dimenticati).
I partiti sono delle minoranze organizzate, delle oligarchie, delle aristocrazie mascherate (senza però avere nemmeno gli obblighi delle aristocrazie storiche) che schiacciano il singolo, l'uomo libero che non accetta di sottoporsi ad umilianti assoggettamenti, peggio che feudali, e che sarebbe il cittadino ideale di una democrazia, se esistesse davvero, e ne diventa invece la vittima designata. Del resto del sistema della democrazia rappresentativa aveva già fatto piazza pulita la "scuola elitista" italiana dei primi del Novecento: Vilfredo Pareto, Roberto Michels, Gaetano Mosca. Scrive Mosca ne "La classe politica": «Cento che agiscano sempre di concerto e di intesa gli uni con gli altri trionferanno sempre su mille presi uno a uno che non avranno alcun accordo fra loro».
I partiti non sono quindi, come sempre retoricamente si dice, l'essenza della democrazia, ma la sua fine. Perché ledono il principio cardine della liberaldemocrazia che avendo rinunciato all'uguaglianza sociale, ritenuta utopica, pretende perlomeno l'uguaglianza alla griglia di partenza. E così il pensiero liberale che voleva valorizzare l'individuo, promuovendone capacità, meriti, potenzialità, ha ottenuto esattamente l'opposto: sono le lobbies a schiacciare l'individuo, a mortificarne le legittime ambizioni, ad emarginarlo.
Non è certo un caso che tutti i padri nobili del sistema liberaldemocratico, da Stuart Mill a Locke, non facciano mai cenno ai partiti. E ancora nel 1920 Max Weber notava come in tutte le Costituzioni democratiche i partiti non fossero presenti. E nella nostra stessa Costituzione del 1946, che pur nasce già su una premessa e una logica spartitoria, quella del Cln, ai partiti è dedicato un solo articolo, il 49 che così recita: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Partendo da quell'unico articolo i partiti, organizzazioni private, hanno occupato gli altri 138 e quella che era solo una possibilità è diventata un obbligo, pena la riduzione a paria, a ciandala, a una casta inferiore. E noi subiamo, continuiamo a subire, senza avere la forza e la dignità di reagire. Anzi facciamo di peggio: continuiamo a seguire l'attività di queste organizzazioni para-mafiose come se fossero rispettabili e a interessarci delle loro miserabili beghe interne e esterne. Sudditi, nient'altro che sudditi.
www.massimofini.it

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