venerdì 9 ottobre 2009

Occhiali


Dal nuovo libro di Ilvo Diamanti, una riflessione su una società guardona che si nasconde
E' in libreria il nuovo libro di Ilvo Diamanti, editorialista del nostro giornale e autore delle "Bussole", cliccatissima rubrica del nostro sito. Dal "Sillabario dei tempi tristi" (Feltrinelli editore), ecco un capitolo inedito.

Nel mio vagone dell'Eurostar che da Roma mi conduce a Padova quasi tutti indossano occhiali neri. Uomini, donne e perfino i bambini. Di età diversa. Anch'io, d'altronde, ho gli occhi schermati dalle lenti scure. Certo, è un pomeriggio di giugno. La giornata è luminosa. In treno, poi, è facile assopirsi. Capita spesso. Mentre si legge oppure si ascolta musica con l'Ipod. Magari si fanno entrambe le cose insieme. Gli occhiali neri e l'Ipod servono a isolarti. Però, non occorre avere un'età troppo avanzata per accorgersi del cambiamento profondo e rapido annunciato da questo segno. Un paio di decenni, più o meno. Nel frattempo, la posta elettronica è divenuta un mezzo di comunicazione normale, per molta parte della popolazione. E il telefono cellulare ha invaso la nostra vita. Peraltro, rispetto al cellulare e alla posta elettronica (che insieme alla foto-videocamera, il riproduttore MP3 e molte altre funzioni oggi è riassunta dal cellulare) gli occhiali neri sono meno generazionali. Il loro uso è meno legato all'età, ma anche al genere e alla classe sociale. Perché, appunto, li portano tutti. Non solo i più giovani o i più istruiti oppure, ancora, quelli che abitano nei centri urbani. Ma tutti. Non è un caso che i negozi di ottica si siano evoluti così tanto in così poco tempo.

Non più centri specializzati, dove si acquistano occhiali con lenti adeguate ai "vizi" della vista. Naturale complemento dell'oculista. Ma megashop, Optical Store, dove gli occhiali coprono tutte le pareti. Decine di marche e di modelli. Che cambiano rapidamente, di mese in mese. Un tempo - quand'ero giovane perfino io - erano simboli di status. O meglio: marchi e etichette che evocavano un tipo sociale. Uno stile di vita. Li indossavano James Dean, Audrey Hepburn, Jacky Kennedy. E Clint Eastwood, quando interpretava l'ispettore Callaghan. Al posto del sigaro che gli permetteva, secondo Sergio Leone, di cambiare espressione. Come David Caruso, quando "è" Horatio Caine nel serial CSI Miami. Due sole espressioni: con oppure senza gli occhiali neri. Allora, anche in tempi non lontanissimi (la serie CSI si è imposta nell'ultimo decennio), gli occhiali servivano a distinguere, a vestire i panni di un personaggio. Erano la maschera con cui si affrontavano gli altri. Nella vita pubblica. Nelle relazioni sociali di ogni giorno. Un capo di abbigliamento o un taglio di capelli fra gli altri. Un giornale esibito, sotto il braccio. Diceva agli altri chi sei. Cosa pensi. Oppure: come vorresti essere. Come vorresti essere percepito dagli altri. A modo loro: un modo per comunicare e per socializzare. Ora non più. Gli occhiali neri li portano - e li portiamo - tutti. Non perché il giorno si sia allungato e la luce sia divenuta più invasiva. (Anche se è vero). Non perché l'aria, i pollini, le polveri fini abbiano diffuso le allergie a una quota di popolazione più ampia. (Anche se è vero).
D'altronde, gli occhiali neri si indossano solo di giorno e non solo in periodi e in luoghi "allergogeni". Ma dovunque e ogni ora. Gli occhiali neri (come, in fondo, l'Ipod) si usano non per "distinguersi", ma per "distanziarsi" dagli altri. Non solo una maschera, ma uno schermo fra sé e gli altri. Servono a vedere senza essere visti. A scrutare senza essere scrutati. Senza che gli altri possano vederti mentre gli scruti. Non servono a essere riconosciuti, ma a non farsi riconoscere. Non perché si cambi identità, ma perché si nascondono gli occhi. E gli occhi parlano di noi più di qualsiasi parola. Trasmettono e rivelano emozioni, sentimenti, paure. Il popolo degli occhiali neri è una folla di persone che vogliono vivere sole in mezzo agli altri. O meglio: come fossero da sole, ma insieme agli altri. Sempre alla finestra (sul cortile), dovunque e a ogni ora. Con poche pause e poche riserve. A casa propria, con i propri familiari, la cerchia delle persone più vicine. L'uomo che guarda senza essere visto pur sapendo che tutti gli altri lo guardano. Una società guardona e guardata al tempo stesso. Per paura degli altri, nasconde - e sta perdendo - gli occhi.

(9 ottobre 2009)

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