Il ministro Sacconi esitante, visibilmente quasi sofferente, non riesce a “nascondere il suo disagio”. Lui che si trova “in una rete della televisione di Stato”, in un programma di prima serata”, quando già in apertura il comico Maurizio Crozza aveva usato la sua parola “insultante” - “insulti diretti e non mediati” - contro il presidente del Consiglio. Strategia del vittimismo posturale, aggressivo e sfrontato.
A Ballarò (mercoledì, Rai 3, 21.10) va in scena la parola. Il dramma della parola. “Dove nasce lo scontro feroce che divide il paese?” Chiede Floris, il conduttore, volenteroso e inascoltato. E sembra di vederla, la parola insanguinata, offesa, vilipesa, astratta e separata dalle cose. La parola che ormai non solo ha abbandonato ogni parentela con la dialettica o con la retorica, ma che perfino la logica disdegna. Quando ad esempio il ministro Alfano proclama serafico che dalla bocciatura della legge che portava il suo nome (il cosiddetto lodo) il paese si trova peggio, e infatti abbiamo “già avuto i primi assaggi di questo”, ovvero: “il clima sulla giustizia si è rinfiammiato”. La sequenza è istruttiva. Perché non sfugge a chi abbia seguito gli eventi degli ultimi giorni chi sia stato a “infiammare” lo scontro. Chi sia stato a determinarlo.
Che cosa pensare? Che il ministro Alfano stia accusando il premier di appiccare l’incendio dello scontro? Che Berlusconi è un incendiario e che quindi è responsabile del “peggio” nel quale ci troviamo? Dovremmo dedurne questo. Ma non è così, se non in forma involontaria, o magari per un lapsus rivelatore.
In realtà non c’è logica, non c’è ragionamento che tenga. Nel clima della nuova barbarie mediatica nel quale ci troviamo valgono gli slogan, le posture ardimentose, le strategie gestuali prima ancora che verbali, lo scuotere il capo e sgranare gli occhi quando parla l’avversario e ci si accorge di essere inquadrati. E’ più forte il gesto della parola. Più sonoro ed efficace lo schiaffo della mimica piuttosto che la determinazione pensosa di un sillogismo. E chi provasse a “sviluppare un ragionamento” si troverebbe in realtà inviluppato in una rete fatta di occhiatacce, interruzioni, sorrisetti e battutacce. Di che cosa ragioniamo?
D’Alema prova a farlo, efficace, certo, con la sua ratio e la prosa secca e laica, nel ribattere contro i due ministri che gli siedono di fronte, ma lo scontro vero è un altro: quello della parola orfana di logica, dialettica e retorica che dovrebbero governarla. Orfana della sua relazione con le cose, con i fatti. E’ uno scontro tra le parole e le cose. Lucio Villari prova a spiegarlo. Siamo il paese della Controriforma, della dissimulazione. Si esercita da sempre una violenza sulle parole che le allontana dai fatti. E che cosa ribattono i due ministri? Sei un comunista, anzi lo sei stato. Consequenziale, no?
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