20/10/2009
L'unico posto fisso che milioni di italiani conoscono è quello in lista d'attesa. Per avere il rinnovo del contratto a termine, per uscire o entrare dagli elenchi della cassa integrazione, per avere accesso alle graduatorie e ancora prima ai concorsi, per trovare qualcuno disposto a dare una chance di lavoro che non sia al nero pur senza raccomandazioni, altrimenti al nero o sottopagato o precario al punto da essere incompatibile con un progetto di vita.
L'altro posto fisso che gli italiani conoscono non è il loro: è quello di una nomenclatura politica che fa della garanzia del posto in lista il primo degli ostacoli al rinnovo di una classe dirigente davvero rappresentativa delle esigenze del Paese in cui viviamo e non di quelle della nomenclatura medesima. Quasi tutte le centinaia di lettere che arrivano in redazione - giovani studiosi e ricercatori, laureati e specializzati, giovani cosiddetti flessibili ma rigidissimi nella loro determinazione - iniziano così: «Non ho nessuno che mi raccomandi, spero che voi possiate almeno leggere la mia richiesta». In modo sistematico e ormai da anni esportiamo lavoro qualificato, al quale non riusciamo a dare posto né garanzie di continuità, ed importiamo lavoro dequalificato, quello delle manovalanze immigrate che svolgono compiti di cui nessuno vuole occuparsi salvo poi lamentarci dell'invasione dei «barbari», del triste destino dei nostri figli destinati all'espatrio.
Il 70 per cento dei nuovi contratti di lavoro, ricorda oggi Tito Boeri, è a tempo determinato. È in questo contesto che il ministro Tremonti e con un giorno di ritardo il presidente del Consiglio tessono l'elogio del «posto fisso». Difficile crederci quando le parole dicono una cosa e i fatti il suo contrario. Ieri alla Camera in una tumultuosa seduta l'opposizione non è riuscita a far passare una modifica alla legge sui precari della scuola: il testo dice «i contratti a tempo determinato non possono in alcun caso trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato», l'opposizione chiedeva che fosse tolto «in alcun caso». Niente da fare. Boeri dice che «non è possibile garantire il posto fisso a tutti». Non è possibile. Propone la soluzione del contratto unico: che tutti siano a tempo indeterminato con tutele progressive, che sia nei primi tre anni possibile il licenziamento a certe condizioni, con certe garanzie. Un diverso sistema di assicurazioni per tutti, dice anche. È un'ipotesi sulla quale sarebbe interessante sentire Tremonti e Berlusconi, molto più interessante di un generico auspicio che chiunque sottoscrive ma che non si vede come possa realizzarsi. Un auspicio che appare destinato soprattutto a preservare il loro posto fisso da eventuali ripercussioni elettorali. Il livello di esasperazione degli italiani è del resto palpabile. Un modesto ma eloquente indicatore è il ricorso compulsivo alla lotteria, specie a quella nuovissima che promette di garantire uno stipendio: leggete cosa scrive Chiara Valerio del successo di Win for life, qualcosa che se dovesse diffondersi fino a diventare un costume più di quanto non sia è destinato a cambiare radicalmente l'idea stessa di responsabilità, di progressiva fatica per ottenere un risultato, di valore e dignità del lavoro. Sul quale, non per caso, si fonda la Costituzione.
Il 70 per cento dei nuovi contratti di lavoro, ricorda oggi Tito Boeri, è a tempo determinato. È in questo contesto che il ministro Tremonti e con un giorno di ritardo il presidente del Consiglio tessono l'elogio del «posto fisso». Difficile crederci quando le parole dicono una cosa e i fatti il suo contrario. Ieri alla Camera in una tumultuosa seduta l'opposizione non è riuscita a far passare una modifica alla legge sui precari della scuola: il testo dice «i contratti a tempo determinato non possono in alcun caso trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato», l'opposizione chiedeva che fosse tolto «in alcun caso». Niente da fare. Boeri dice che «non è possibile garantire il posto fisso a tutti». Non è possibile. Propone la soluzione del contratto unico: che tutti siano a tempo indeterminato con tutele progressive, che sia nei primi tre anni possibile il licenziamento a certe condizioni, con certe garanzie. Un diverso sistema di assicurazioni per tutti, dice anche. È un'ipotesi sulla quale sarebbe interessante sentire Tremonti e Berlusconi, molto più interessante di un generico auspicio che chiunque sottoscrive ma che non si vede come possa realizzarsi. Un auspicio che appare destinato soprattutto a preservare il loro posto fisso da eventuali ripercussioni elettorali. Il livello di esasperazione degli italiani è del resto palpabile. Un modesto ma eloquente indicatore è il ricorso compulsivo alla lotteria, specie a quella nuovissima che promette di garantire uno stipendio: leggete cosa scrive Chiara Valerio del successo di Win for life, qualcosa che se dovesse diffondersi fino a diventare un costume più di quanto non sia è destinato a cambiare radicalmente l'idea stessa di responsabilità, di progressiva fatica per ottenere un risultato, di valore e dignità del lavoro. Sul quale, non per caso, si fonda la Costituzione.
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