sabato 24 ottobre 2009

Quel documento anti-Tesoro sulla scrivania del Cavaliere


Il Cavaliere tende sempre a sdrammatizzare nei passaggi delicati. E se arriva a evocare Dino Grandi per allentare le tensioni con il suo ministro dell’Economia, se sorridendo cita il gerarca fascista — autore dell’ordine del giorno che segnò la fine di Mussolini — vuol dire che stavolta non è come le altre volte, che la lite con Giulio Tremonti è cosa seria.

C’è un motivo se ieri Silvio Berlu­sconi ha disertato il faccia a faccia con il titolare di via XX Settembre, se dalla Russia è volato fino a Milano senza atterrare nella Capitale dov’era atteso per il «chiarimento» con Tre­monti. «Avevo detto che sarei torna­to nella serata di venerdì senza passa­re da Roma. E non cambio program­ma », ha fatto sapere a Gianni Letta, cui è toccato inventarsi la storia del­la nevicata che impediva al jet del premier di decollare. In realtà il Cava­liere voleva evitare che l’incontro sancisse la rottura, perché la battuta scherzosa sul Gran Consiglio del fa­scismo non basta a celare l’irritazione: «Sono stanco della situazione».

Non è dato sapere se davvero abbia confidato il proprio stato d’animo direttamente a Gianfranco Fini, è certo che Letta ne ha parlato con il presidente della Camera, riferendogli lo scontento di Berlusconi. Il dettaglio svela la delicatezza del momento e segnala una novità politica rispetto al 2004, quando Tremonti fu dimissionato sotto la spinta dell’allora leader di An, nonostante il Cavaliere opponesse resistenza. D’altronde il malumore di Berlusconi era già emerso, dopo il burrascoso Consiglio dei ministri sulla Banca del Sud. «Qui non ci vengo più», si era sfogato: «D’ora in avanti lascerò che le riunioni le presieda Gianni». Non ne può più di essere solo il «primus inter pares» nel governo, che sulla linea di politica economica «nemmeno io possa dire nulla altrimenti Giulio minaccia di dimettersi », che «quotidianamente » debba dirimere le controversie tra il superministro e gli altri esponenti dell’esecutivo: «È come se non contassi nulla». Invece il premier vuol contare. La sortita sull’Irap segue imessaggi lanciati a Confindustria e l’apertura sulla riforma della previdenza, invocata dal Governatore di Bankitalia. Raccontano non l’abbia presa bene nei giorni scorsi, quando un dirigente leghista gli ha riferito una battuta di Tremonti: «Se Silvio si fa convincere da Draghi sulle pensioni, dovrà poi convincere Draghi a fare il ministro dell’Economia». Nel frattempo «Silvio» è andato avanti. Da due settimane il documento di politica economica che circolava nel Pdl, e che è rimasto senza paternità, stava sulla scrivania di Berlusconi.

E insieme ad altri appunti, frutto di riunioni riservate, sul suo tavolo c’era anche lo studio di Mario Baldassarri, critico verso la «politica inerziale» di Tremonti, sostenitore del taglio dell’Irap e di altre iniziative, «ma senza aggravio di deficit, perché su questo Giulio ha ragione». «Caro Mario, come stai? Ho letto la tua analisi, è interessante. Ci dobbiamo vedere appena torno dalla Russia». Clic. Chissà se il ministro dell’Economia sia a conoscenza di questo colloquio, di sicuro sabato scorso non ha gradito la presenza di Claudio Scajola al vertice dei coordinatori e dei capigruppo pdl con il Cavaliere: «Che ci fa lì, quello?». Sia chiaro, Berlusconi non vuole fare a meno di Tremonti, gli chiede però maggior duttilità e collegialità, «non può accentrare tutto»: in Consiglio dei ministri non può presentarsi con le copertine dei provvedimenti su cui chiede voto favorevole a scatola chiusa, «nè può sempre dire "o così o lascio"». Invece non c’è riunione senza scontri, anche ieri in pre-consiglio gli sherpa della Presidenza hanno litigato con i colleghi dell’Economia sul provvedimento taglia-enti che cassa altri 400 milioni. Mentre Mariastella Gelmini si è sentita dire di «ripassare» per i fondi sulla riforma dell’Università, dopo che Tremonti aveva fatto un filtro preventivo persino sui risvolti non economici del disegno di legge.

«Eppoi basta con la storiella che nel governo ci sarebbe un partito della spesa opposto al partito del rigore », si è infuriata Stefania Prestigiacomo: «Semmai si dovrebbe far squadra per il partito della ripresa». Anche perché, dopo l’accordo chiuso da Tremonti con le Regioni, alcuni ministri hanno iniziato a domandarsi: «Da dove provengono quei miliardi? Ci sono quindi dei soldi nelle pieghe del bilancio? E perché tocca a lui decidere dove destinarli?». Come non bastasse, commentando l’intesa, Raffaele Fitto ha accusato Tremonti di aver concesso alle Regioni quanto avrebbe potuto concedere già sei mesi fa. È questo il clima alla vigilia del rendez-vous tra «Silvio» e «Giulio», che chiede al premier di riaffermare la bontà della linea economica e il primato del Tesoro sulle scelte. L’unica concessione del Cavaliere è stata per ora una nota di Sandro Bondi, del Pdl nessuno, nessuno si è mosso in sua difesa. Umberto Bossi, sì, ma è il capo della Lega. La situazione è pesante, Maurizio Gasparri prova a sdrammatizzare, perché «alla fine andrà tutto bene. D’altronde l’anagramma di Tremonti è Tormenti... Lo dico per scherzare, eh?». Vero, ma stavolta è Berlusconi che non scherza.

Francesco Verderami
24 ottobre 2009

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